Ducumentu
Literatura siciliana - Sciascia

Biografia di Leonardo Sciascia

(Racalmuto, Agrigento, 1921 - Palermo, 1989)

Dopo un inizio all’insegna dell’impegno poetico (“Favole della dittatura”, 1950; “La Sicilia, il suo cuore”, 1952), ben presto si dedica alla sua più autentica vocazione, quella - per adoprare le parole dell’autore - di “una materia saggistica che assume i modi del racconto”. L’uscita de “Le parrocchie di Regalpetra” (1956) e de “Gli zii di Sicilia” (1958) già lascia individuare le linee-guida dell’opera sua. Nel primo - sulla scorta di diversi precedenti, primo fra tutti il Nino Savarese de “I fatti di Petra” (1937) - sono raccolte le “cronache” su un immaginario paese della Sicilia; il secondo vede riuniti quattro racconti di vario argomento (dalla delusione risorgimentale ne “Il quarantotto” alla presa di coscienza d’uno zolfataro ne “L’antimonio”), tesi ad illustrare momenti fondamentali delle vicende dell’isola. Quel che di diverso, rispetto ai toni elegiaci od indulgenti al colore locale di molti altri scrittori, è possibile qui riscontrare, risiede nell’ottica sciasciana: la nozione di “sicilianità” che vi è indagata (“l’umano nella sua forma più esasperata, estrema, micidiale anche”), infatti, è filtrata pel tramite di uno sguardo illuministico, da un lato speranzoso nel valore della ragione e nell’andamento positivo della Storia, dall’altro consapevole dei guasti causati dalle classi dirigenti passate e presenti.
Sciascia credeva che la verità c’è ed è, se cosi si può dire, individuabile, localizzabile; e che di conseguenza è definibile cosa è giusto e cosa è ingiusto e la possibilità di una lotta contro l’ingiusto dalla parte del giusto” (G.Fofi): dal punto di vista narrativo, ecco quindi la predilezione per l’investigazione poliziesca o giudiziaria, in qualche modo per il “giallo” quale veicolo di genere, adatto a raggiungere un pubblico di lettori il più possibile vasto. Sarà così sia nei lavori di ambientazione contemporanea, da “Il giorno della civetta” (1961) e passando per “A ciascuno il suo” (1966), al medesimo tempo romanzi avvincenti ed analisi penetranti del fenomeno della mafia, a “Il contesto” (1971), dove l’indagine supera i confini regionali per farsi ritratto di foschi intrecci di potere gravanti sull’Italia intera; sia in quelli collocati in secoli anteriori, dallo splendido “Morte dell’inquisitore” (1964), sulla figura di un frate finito sul rogo nel Seicento, a “I pugnalatori” (1976), rievocazione di un complotto contro lo Stato ordito a Palermo nel 1862, con più di un riferimento all’oggi. Sovente impegnato nel dibattito civile, ha accentuato in tal direzione la sua presenza nel corso degli anni Settanta,seguendo i canoni della letteratura d’intervento (”L’affaire Moro”, 1978) ed ancor più attraverso numerosi articoli di giornale. Convinto, come sempre e da sempre, che “la letteratura può permettersi di esercitare la parte della verità perché può permettersi di non essere potere”.