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Ducumentu
Storia della Sicilia

STORIA DELLA SICILIA

 

I primi popoli che giunsero in Sicilia, unendosi alle popolazioni autoctone, furono i Sicani e Siculi; in seguito, da altre terre, giunsero Elimi e Fenici che si stabilirono nella parte occidentale dell’isola.

Sicani e Siculi combatterono a lungo tra loro, fino a raggiungere la tacita intesa di stabilirsi in zone diverse dell’Isola: a ovest i Sicani; ad est i Siculi.

Il fiume Imera (che nella parte sud, essendo formato da acqua salmastra, venne chiamata Salso) divenne il confine tra i due popoli. E da quel tempo il fiume separa la Sicilia occidentale da quella orientale.

Nell’anno 734 avanti Cristo giunsero i primi colonizzatori Greci: si stabilirono ai piedi di una montagna, dove oggi sorge la nota cittadina di Taormina, e su quella spiaggia fondarono la prima colonia:  Naxos.

L’anno seguente, il 733, altri unomini, provenienti da Corinto, si recarono più a sud e fondarono Siracusa.

In pochi anni nacquero numerose colonie lungo la costa orientale e meridionale della Sicilia: Zancle, l’attuale Messina (730), Megara Hiblea (728), Catania e Leontini (727).

Durante il secolo successivo i colonizzatori greci si spinsero sino alle isole Eolie o Lipari e nell’anno 680 a nord della Sicilia e, in seguito, lungo la costa meridionale, quella che si affaccia verso l’Africa, da dove provenivano i Fenici Cartaginesi.

Tra le colonie ricordiamo: Gela (688), Selinunte (628), Akrai (623), Camarina (598), Akragas (580).

Gli abitanti di Zancle, l’attuale Messina, fondarono Milazzo e Imera (vicino all’omonimo fiume).

Le città, in questa fase storica, avevano un governo simile a quello della “polis” ellenica: le leggi venivano fatte e discusse davanti al popolo e ogni città poteva coniare la propria moneta. I governatori eletti dal popolo avevano nome di “Tiranni”.

Nel 452  i Siculi, con il re Ducezio, mosse guerra ai Greci.

Ducezio aveva stabilito il suo comando a Noto: le potenti città di Agrigento e di Siracusa si mossero contro le armate dei Siculi.

Ducezio, sconfitto, fu esiliato a Corinto, la città da cui provenivano i fondatori di Siracusa, a condizione che non facesse più ritorno in Sicilia. Passati cinque anni, però, egli ritornò nell’isola, spinto dal vaticinio di un oracolo, per fondare sulla costa tirrenica la città di Calatta (oggi Caronìa).

Nel 440, Ducezio morì, a soli 48 anni.

Con la morte di Ducezio l’ellenizzazione della Sicilia non trovò più ostacoli.

Le città elleniche siciliane, e tra queste soprattutto Siracusa ed Agrigento, divennero ricche e potenti in tutto il Mediterraneo. Esse intrapresero guerre con altri popoli, Fenici tra i primi.

Imera fu distrutta all’inizio del quinto secolo, mentre Gela, fu abbandonata dagli abitanti, trasferiti a Siracusa per ordine di Dionisio e scomparve completamente nel 282.

Alcuni storici affermano che i superstiti di Gela si spostarono verso occidente e si stabilirono sulla montagna Ecnomo, proprio davanti alla foce del fiume Salso.

Oggi nel sito di Ecnomo sorge Licata, città che assunse grande importante nei secoli a venire.

Le guerre contro i Cartaginesi si susseguirono fino a quando i Romani arrivarono a Messina: da qui prese avvio la secolare inimicizia fra i due popoli.

I Romani avevano ambizioni sulla Sicilia. A seguito delle guerre contro i Cartaginesi e contro tutte le città siciliane, Agrigento poneva fine alla sua potenza nel 262 avanti Cristo; e Siracusa, l’ultima città a resistere contro i Romani, anche se ben difesa dallo scienziato Archimede, cadde nel 212. Con la caduta di Siracusa, la Sicilia divenne una provincia di Roma: e tale rimase per tanti e tanti secoli.

Ma prima di trattare dell’occupazione Romana, è opportuno parlare di due tiranni che fecero la storia greca in Sicilia: Falàride di Agrigento (al potere per sedici anni, 570-554 a.C., morì lapidato) e Dionìsio di Siracusa (al potere per trentotto anni, 405-367 a.C.).

Falaride era un re crudele che godeva ad assistere all’esecuzione di suoi nemici ed oppositori, bruciati vivi nella pancia di un toro di bronzo: i lamenti dei condannati si trasformavano in muggiti di buoi.

Pare che questo strumento di morte crudele fosse sistemato sulla montagna di Licata di nome Ecnomo, che nella lingua greca aveva il significato di “scellerato”.

La crudeltà di Falaride fu tale che fece torturare dentro il toro di bronzo lo fece il suo stesso inventore, Perillo o Perilao di Atene.

Il potere di Dionisio, tiranno di Siracusa, durò quasi 40 anni, durante i quali amministrò con buon governo e difese la Sicilia dalle mire di Cartagine.

Non aveva fiducia in nessuno, tanto che si faceva radere la barba soltanto dalle sue figliole.

Narra la leggenda che Dionisio teneva i prigionieri in una grotta a forma di orecchio cosicché e egli li poteva ascoltare i loro discorsi dalla parte alta della grotta, ancora oggi chiamata “Orecchio di Dionisio”.

Divenuta provincia di Roma, la Sicilia perse la sua importanza politica, divenendo il granaio dell’Urbe.

Il comando dell’Isola era affidato ad un Pretore insediato a Siracusa, capitale di tutta la provincia, coadiuvato da altre due Questori, uno dei quali risiedeva a Siracusa; l’altro a Lelibeo, punta estrema della Sicilia occidentale.

A lavorare le terre, i Romani portarono in Sicilia molti schiavi dall’Asia.

Le ribellioni erano però frequenti; e tra queste merita di essere citata la rivolta di Enna scatenata da Euno della Siria che si protrasse per settant’anni fino all’anno 138 avanti Cristo.

Sotto il dominio di Roma, la Sicilia attraversò anche secoli di pace, la “pax romana” e, dopo due secoli dalla nascita dell’impero, nel 212 dopo Cristo ai siciliani fu concessa loro “la cittadinanza romana”.

I primi secoli dopo la nascita di Cristo furono per la Sicilia gli anni di diffusione del Cristianesimo:  a Siracusa ebbe grande effetto il martirio di Santa Lucia, a cui tutti i fedeli onorano ancora oggi e a lei si raccomandano per la salvaguardia della vista.

Dopo la caduta dell’impero romanio (476), la Sicilia fu occupata dai Bizantini che dominarono per quasi tre secoli dal 535. La dominazione bizantina si caratterizzò per l’imposizione di tasse elevate. Durante questo periodo i Saraceni assalivano le città di mare, tanto che nel 663 l’Imperatore d’Oriente Costante II trasferì la capitale dell’impero bizantino da Costantinopoli a Siracusa (fino all’anno 669).

Gli attacchi degli arabi portarono all’occupazione di gran parte della Sicilia, iniziata con quella della città di Mazara (anno 827).

Gli Arabi divisero la Sicilia in tre unità amministrative: il Vallo di Mazara (a ovest), il Vallo di Demona (a nord-est) e il Vallo di Noto (a sud-est), considerando per confini la valle del fiume Salso, così come era avvenuto quando l’isola fu divisa fra Siculi e Sicani.

Palermo, per la sua vicinanza all’Africa, divenne capitale con la costruzione di splendidi monumenti e centinaia di moschee.

Gli arabi portarono in Sicilia numerosi tecniche della loro civiltà: migliorarono i metodi di lavorazione della terra in Sicilia; praticando un uso razionale delle risorse idriche.

Molti termini e vocaboli del linguaggio siciliano sono di derivazione araba.

Comandanti ed Emiri arabi erano però in lite fra loro; il signore di Siracusa, Ibn at Tumnah, chiese aiuto ai Normanni, stanziatisi da poco in Calabria, per andare contro Ibn Hawas, signore di Girgenti.

Questo fu l’inizio della conquista normanna in Sicilia. Nell’Italia meridionale c’era già Roberto il Guiscardo, figlio di Tancredi d’Altavilla, ed in Sicilia giunse un suo fratello di lui, Ruggero, a cui il Papa Urbano II aveva concesso il titolo di Gran Conte di Sicilia (capitale della Contea fu Troina, 1089) e nel 1098 la facoltà di nominare  Vescovi, secondo la “Apostolica legatio”.

Tale privilegio fu esteso anche ai suoi discendenti.

I Normanni avevano cacciato dalla Sicilia i Musulmani: ciò rappresentava un merito per il Papa.

Alla morte di Roberto (1085) il Regno dell’Italia meridionale passò ad un figlio Ruggero, che era in lotta con il fratello Beomondo; lo zio Ruggero, il Gran Conte, riappacificò i nipoti, ricevendo in cambio metà della Calabria ed i diritti completi sulla Sicilia.

Quando il Conte Ruggero morì (Mileto 1101), lasciò erede, all’età di sei anni, il figlio Ruggero, avuto dalla terza moglie, Adelasia, detta anche Adelaide.

Il titolo di Cavaliere e Conte di Sicilia passò al figlio Ruggero II, intorno al 1112, quando aveva 16 anni.

La sua politica è di cura à non scontentare tutte le etnie presenti in Sicilia, quelle di cultura araba, latina e bizantina.

Palermo divenne una città ricca. nel 1127, Alla morte di Guglielmo II, nipote di Roberto, non avendo questi eredi, Ruggero II divenne padrone della Puglia e della Calabria e, con l’appoggio della Chiesa, ricevette la Corona di Re nell’anno 1130 nella Cattedrale di Palermo, dove ancora si legge “Prima Sedes Corona Regis ed Regni Caput”.

Da questo momento in poi, cominciò la storia del “Regnum Siciliane”, durata quasi otto secoli (1130-1860), chiamato anche “Regnum utriusque Siciliane”, citra pharum et ultra pharum.

Quando Ruggero II morì (1154), gli successe al trono il figlio Guglielmo I, detto “il Malo”, colui che nel 1155 impose l’aquila come stemma della città di Palermo. Dopo la morte di questi (1166), li successe il figlio Guglielmo II, detto “il Buono”, governò con giustizia e allontanò dalle cariche i disonesti e malvagi. Fece costruire una imponente chiesa fuori Palermo sopra una collina, chiamata “Mons Regalis” (oggi Monreale).

Guglielmo II, all’età di 39 anni, prima di morire (1189), non avendo figli, fece nominare erede al trono sua zia Costanza, figlia di suo nonno Ruggero II.

Costanza nel 1186 aveva sposato Enrico VI di Germania ed era appoggiata dal vescovo di Palermo; ma fu incoronato Re Tancredi, figlio di un fratellastro di Costanza, un altro Ruggero duca di Puglia.

Tancredi moriva nel 1194 e lasciava al suo posto il figlio ragazzino, Guglielmo III.

Enrico VII di Germania, pretendendo il trono, mosse guerra dapprima al nipote Tancredi e, in seguito, dopo a Guglielmo III, che dovette consegnare la corona del Regno il giorno di Natale 1194.

Mentre sua moglie Costanza partoriva il figlio Federico, Enrico VII fece incatenare il piccolo Re spodestato e tutti gli altri fratelli di Tancredi e li trasferì in Germania all’insaputa della moglie.

Nel 1197, poco prima di morire, Enrico VII fece massacrare tutti i pronipoti.

Con la morte di Ruggero II (1154) la stirpe normanna, durata appena quaranta anni, dovette cedere il regno alla dinastia sveva con Enrico VI, morto nel 1198.

Alla morte del padre, Federico II, all’età di quattro anni, fu nominato Re ed Imperatore.

La madre Costanza affidò il figlioletto Federico a Papa Innocenzo III, che lo educò alla sua corte fino all’età di quattordici anni quando Federico II assunse i pieni poteri di Re.

Costanza morì nel 1198 pochi mesi dopo la morte del marito, ma poco prima, insieme al Papa, aveva pensato di dare in moglie al figlio la sorella del Re d’Aragona, pure lei Costanza, di dieci anni più anziana di Federico.

Il matrimonio venne celebrato nel 1209, ma nel 1222 Costanza morì a Catania e, da questo momento in poi, Federico si allontanò sempre più da Palermo, dove, pur restando capitale del Regno, egli tornava di rado.

Federico preferiva abitare in Puglia, vicino Foggia, visto che la sua politica era principalmente ridotto alla la Germania.

Egli fu un uomo colto, regnò con saggezza e, ancora piccolo, fu soprannominato “Stupor Mundi”; parlava diverse lingue: il tedesco, il “siciliano”, il francese, il greco e anche l’arabo.

Scrisse un trattato sulla caccia con il falcone dal titolo “De arte venandi cum avibus”. Nel 1231, raccolse le leggi del Regnum in un volume dal titolo “Liber Augustalis” (Le Costituzioni di Melfi).

Federico non si sottomise al potere e al controllo papista: per tale ragione fu scomunicato dai Papi Gregorio IX ed Innocenzo IV.

Egli si impegnò a far conoscere la lingua della sua Corte e fondò la “Scuola Siciliana”.

Nel 1250 Federico II morì e gli successe al trono il figlio Corrado, mentre Manfredi, figlio naturale di Federico, si era messo alla guida del Regnum Siciliane e aveva fatto sposare sua figlia, anch’essa Costanza, al Re Pietro d’Aragona.

L’Imperatore Corrado morì nel 1254 lasciando erede al trono il figlio Corradino.

Manfredi, approfittando della giovane età di Corradino, si fece incoronare Re nel 1258.

Frattanto il Papa aveva assegnato la corona di Sicilia a Carlo d’Angiò. Tale situazione condusse a guerre incrociate tra pretendenti svevi che si conclusero con la sconfitta e la morte di Corradino nel 1268. L’Imperatore era ancora ragazzino, senza eredi.

Con lui finisce la dinastia sveva.

 

Gli Angioini, chiamati “francesi”, furono mal soppostati dai Siciliani, perché prepotenti.

Il giorno di Pasqua del 1282 scoppiarono i Vespri Siciliani.

La rivolta si diffuse rapidamente in tutta l’isola. I francesi furono sopraffatti dal popolo siciliano: della situazione creatasi ne approfittò Pietro d’Aragona, nominato Re di Sicilia nel settembre del 1282.

Alla morte di Pietro (1285) gli successe al trono d’Aragona il figlio Alfonso, mentre il secondo figlio, Giacomo, fu Re di Sicilia fino a quando morì suo fratello (1291) e lasciò il governo della Sicilia al terzo fratello, Federico.

Ma i Siciliani, per evitare di unire la corona d’Aragona e quella di Sicilia, nel 1296 incoronarono Re di Sicilia Federico III.

Le guerre e i contrasti con gli Angioini di Napoli non erano mai cessati. Soltanto nel 1302 fu firmata la pace di Caltabellotta, con cui si riconosceva a Federico d’Aragona il Regno della Sicilia, mentre la parte continentale “Ultra pharum” dell’antico Regnum Siciliane era affidata agli Angioini.

Federico III affidò funzioni al parlamento siciliano e lo divise in tre sezioni: ecclesiastica, militare e demaniale. Fu proprio quella demaniale che concesse immensi diritti ai Baroni e così, mentre nell’Italia settentrionale tramontava il feudalesimo, in Sicilia cominciava un lungo periodo di sottomissione ai potenti latifondisti.

Federico III stabilì anche che l’aquila sveva avrebbe dovuto essere apposta sui gonfaloni e sugli stemmi di molti Comuni, comuni che, ai tempi di Federico II, si venivano chiamati “Universitas”.

Quando egli morì, nel 1337, divenne Re suo figlio Pietro IV (1337-1342) e poi il figlio di questi, Ludovico, di appena cinque anni; anche questo morì giovanissimo, a diciassette anni, nel 1335, lasciando il Regno al fratello Federico IV, soprannominato “Il Semplice, di soli 13 anni,”.

Data la sua tenera età, Federico IV era sotto la tutela di sua sorella Eufemia con il titolo di Vicaria. In questo periodo tornarono le liti con gli Angioini di Napoli e, quando Federico IV morì (1377), avendo una sola figlia, Maria, lasciò il trono a costei che andò in sposa a Martino d’Aragona detto “Il giovane”, nel 1390 (e morì nel 1402) e, quando questi morì, nel 1409, il potere passò a costei Martino il Vecchio, Re d’Aragona.

Da questo momento in poi, la Sicilia fu privata della sua autonomia e della libertà, passando sotto la dominazione spagnola.

Iniziò così il periodo dei viceré; nel 1415 il nuovo Re, Ferdinando di Castiglia, Re d’Aragona e di Sicilia, detto “Il Giusto”, diede il primo incarico di Viceré a Juan de Panefiel.

Tra tutti i Re di Spagna si ricorda maggiormente Alfonso V (1416-1458), chiamato “Il Magnanimo”, con il quale tornarono uniti il Regno di Napoli e quello di Sicilia.

Re Alfonso fondò la prima università siciliana a Catania nel 1434, chiamata “Siculorum Gymnasium”.

Altro Re importante importante fu Ferdinando il Cattolico, soprannominato così perché nel 1492 aveva liberato, dopo otto secoli di dominazione saracena, la regione di Granata ed aveva espulso dal suo regno tutti gli Ebrei che non vollero essere battezzati come Cristiani. Egli portò in Sicilia nel 1487 il Tribunale d’Inquisizione, che rimarrà fino al 1782, al tempo del Viceré Domenico Caracciolo.

In questi tre secoli furono bruciate al rogo 188 persone considerate “eretiche” dalla Chiesa; tutto ciò proprio in Sicilia, terra che era stata capace di far convivere pacificamente popoli diversi per religione, lingua e usanze.

Ferdinando il Cattolico morì nel 1516 e aveva una sola figlia, Giovanna, che nel 1496 aveva sposato Filippo il Bello, figlio dell’Imperatore Massimiliano d’Austria.

Giovanna, quando rimase vedova (1506), si ammalò e fu considerata “pazza” fino alla sua morte (1555).

Così, alla morte di Ferdinando il Cattolico (1516) e Massimiliano d’Austria (1519), le due corone passarono al nipote Carlo V (1500-1558).

Questo giovane Imperatore era particolarmente ambizioso: era Re di Spagna, di Sicilia, Sardegna, Napoli, dei domini italiani ed americani, della Germania meridionale, ed Imperatore d’Austria; poteva vantare che sul suo Regno non tramontasse mai il sole.

Egli portò in Sicilia l’aquila bicipite originaria dell’Austria e, per affrontare le molte guerre contro i Turchi, vendeva diritti ai nobili disposti a pagare.

Carlo V riuscì ad arginare l’espansione turca il Sicilia ed in Europa: egli dovette affrontare più volte Mohammed Dragut, chiamato dal popolo Mammo Drago: questo nome è diventato per secoli il sostituto dell’orco che tanta paura fa ai bambini.

Carlo fece costruire diverse centinaia di torri sulla costa della Sicilia, posti da dove si poteva osservare in lontananza l’arrivo di nemici dal mare.

Carlo V abdicò nel 1556 e morì nel 1558.

Dopo di lui regnarono i suoi eredi Filippo II (1556-1598), Filippo III (1598-1621) e Filippo IV (1621-1665), che difesero la Sicilia dagli attacchi dei Turchi.

Bisogna metter in evidenza che durante il periodo della dominazione spagnola il popolo soffriva molto e si verificarono diverse insurrezioni popolari, come, ad esempio, quelle guidate da Giovanni Pollastra, detto “Surciddu” (topolino) nel 1511, da Gianluca Squarcialupo (1517) e da Giuseppe D’Alesi (1647).

Il Viceré, se moriva mentre era in carica o si assentava per qualche motivo, veniva sostituito da un Presidente del Regno, nella persona dell’Arcivescovo di Palermo o del Luogotenente Generale delle armi in servizio in Sicilia.

I Viceré in Sicilia furono circa settanta, fino a quando, con l’accordo di Utrecht (1713), il potere passò prima ai Savoia (1713-1720), poi agli Austriaci (1720-1734) ed infine ai Borbone (1734-1860).

Sotto i Borbone il Vicerè ebbe la funzione di Ministro e nel 1816 tale istituto cessò di esistere, perché fu creato il Regno delle Due Sicilie ed a Palermo venne assegnato un Luogotenente Generale che, di solito, era un Principe o un personaggio legato da parentela alla casa reale.

Il Re che fece questi cambiamenti (divenuto Re nel 1759 a soli otto anni) si chiamava Ferdinando IV, quale Re di Napoli, Ferdinando III quale Re di Sicilia e Ferdinando I quale Re del Regno delle Due Sicilie.

Spesso i siciliani hanno accusato i Borbone quali unici responsabili unici della arretratezza economica della Sicilia: in realtà essi avevano ereditato nel 1734 una Sicilia poverissima.

Nell’anno 1860 Garibaldi e i suoi “picciotti” (così erano detti i giovani soldati al suo seguito) giunse in Sicilia e sconfisse i Borbone, aprendo la strada ai Savoia di Vittorio Emanuele II: da questo momento la Sicilia fece parte dell’Italia unita (1861).

La Sicilia, che il 12 gennaio del 1848 era stata la prima regione a dare il via alla rivoluzione europea, attendeva con ansia di migliorare le disastrose condizioni di vita del popolo. Non fu così: il nuovo governo emanò la leva obbligatoria, l’ordine di partenza dei giovani per il servizio militare –obbligatorio per quasi sette anni–; le condizioni socio-economiche della gente non cambiarono e nel 1866 i possedimenti delle Chiese e dei Conventi, che davano lavoro ai contadini, furono venduti ai ricchi con un guadagno per lo stato di circa 600 milioni di lire, denaro che non fu utilizzato per migliorare le condizioni di vita della gente in Sicilia.

Fu allora che assunse un ruolo fondamentale nella gestione del potere la Mafia, che nata per difendere i poveri, prese sempre più il volto dell’associazione di potere e di controllo a vantaggio dei latifondisti e dei benestanti.

L’anno 1892 vide in Sicilia la nascita dei “Fasci dei lavoratori” che reclamavano la distribuzione delle terre ai contadini.

Le condizioni sociali, economiche, igieniche e sanitarie dei minatori nelle zolfare erano misere e pietose e i luoghi erano paragonati alla porta dell’inferno, dove uomini e bambini venivano trattati come animali.

Solo dopo la seconda guerra mondiale la Sicilia, che mai aveva dimenticato il significato della parola “autonomia”, riuscì ad ottenere, durante gli ultimi giorni della Monarchia con il Re Umberto II di Savoia, una legge particolare con cui diventava la prima regione d’Italia a Statuto Speciale.

Dua settimane dopo tale concessione, in Italia si passava dalla Monarchia alla Repubblica (1946).

A quasi sessant’anni da quegli avvenimenti la gente continua ad emigrare, lontano dalla propria terra in cerca di lavoro.

E lo spreco delle risorse, la povertà dei molti e le ricchezze di pochi, l’intreccio tra potere politico e organizzazioni criminali sono ancora questioni tutte da affrontare.