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Ducumentu
Storia della Sicilia - G. Scala

STORIA DELLA SICILIA
(a cura di Giovanni Scala)

Quando Dio creò il mondo,  fece tante cose belle e buone sulla Terra: il mare con i pesci, l’aria con gli uccelli, la terra con gli animali e gli uomini e mentre si riposava, guardando la Terra ne fu tanto contento che la volle tenere in mano e le volle dare un bacio. Proprio dove le sue labbra si posarono, nacque la Sicilia.
Questa terra è stata desiderata da tutti i popoli antichi anche da gente iirreale della fantasia popolare quando si raccontava che esistevano giganti come i Ciclopi e i Lestrigoni, una cosa è certa, che la nosta terra era abitata da popoli che vissero ben oltre duemila anni prima di Cristo. Quei popoli abitavano nelle grotte che madre natura aveva donato agli uomini che si seppero adattare nelle fessure della pietra e le ampliarono con tanta pazienza, fino a ferle diventare come camere di abitazione.
Ma nonè che si poteva stare sempre nelle caverne e cominciarono ad organizzarsi insieme e a costruire abitazioni per formare paesi piccoli e grandi.
A quei tempi gli abitanti non erano molti e così arrivarono popoli da levante e da ponente per stabilirsi in Sicilia.
Arrivarono Sicani e Siculi, ma non sempre tutti sono d’accordo sulla loro provenienza e, chi prima e chi dopo, insieme ad essi arrivarono Elimi e Fenici che non erano tanti e si sistemarono nella parte occidentale dell’isola.
Quelli che erano sparsi in tutta la Sicilia erano i Sicani, ma quando arrivarono i Siculi combatterono a lungo fino a che decisero di dividersi la Sicilia a metà: (a ovest) a sinistra, verso dove tramonta il sole, si stabilirono i Sicani e (a est) a destra, dove sorge il sole, si stabilirono i Siculi.
Per tale divisione fu considerato come confine il fiume di nome Imera: la parte nord e la parte sud che è molto più lunga e quest’ultima, essendo formata di acqua salmastra, venne chiamata Salso. Da quel tempo il fiume ha separato la Sicilia occidentale da quella orientale.
Ma la natura dell’uomo è quella che non deve mai star fermo e quando ottocento anni prima di Cristo sbarcarono, come gli emigranti dei nostri tempi, uomini che provenivano dalla Grecia, perché non sopportavano gli invasori dorici, di cui la storia ci tramanda.
L’anno 734 avanti Cristo fu quando arrivarono i primi avventurieri e coraggiosi Greci e si stabilirono ai piedi di una montagna, che oggi è molto rinomata nel mondo con il nome di Taormina, nella cui incantevole spiaggia fondarono la prima colonia “Naxos”.
Sistematisi lì, l’anno seguente, il 733, altri unomini, provenienti da Corinto, si recarono verso sud e, trovato un luogo eccezionale, vi fondarono Siracusa.
Furono questi i primi paesi degli emigranti Greci, che cominciarono a dare fastidio ai Siculi che già abitavano da tempo quei luoghi.
Continuò in poco tempo la sistemazione di tanti Greci nei luoghi di Messina (730), di Megara Hiblea (728), di Catania e Lentini (727), completando così tutta la costa del mare Jonio che era di fronte alle terre della Grecia, che avevano lasciato per recarsi in Sicilia.
Il secolo successivo ci fu in Grecia un altro malessere che fece andar via altre persone che, per non disturbare i loro predecessori, cercarono spazio nelle isole Eolie o Lipari nell’anno 680 a nord della Sicilia e lungo buona parte della spiaggia settentrionale e così, a mano a mano, pure tutta la costa meridionale della Sicilia che si affaccia verso l’Africa, da dove provenivano i Fenici Cartaginesi.
Dei nuovi Paesi (colonie) che ebbero fortuna, dobbiamo ricordare Gela (688), Selinunte (628), Akrai (623), Camarina (598), Akragas (580).
Gli abitanti di Messina, che a quei tempi si chiamava Zancle, fondarono prima Milazzo e poi Imera (vicino a quel fiume Imera settentrionale).
Tutte queste città all’inizio si governavano da sole, amiche tra loro, così come si governava in Grecia (Polis), che avevano lasciato prima. Le leggi venivano fatte e discusse davanti al popolo e ogni città poteva batter moneta che poteva circolare senza problemi. Coloro che avevano ricevuto l’incarico di governare si chiamavano “Tiranni”, parola che all’inizio aveva un buon significato come “Re” o “Signore”, che riusciva a tenere a freno il potere dei ricchi, ma dopo un po’ di tempo questo personaggio assunse un ruolo di persona cattiva, perché faceva tanto male al popolo ed approfittava assai della sua posizione.
Mentre i discendenti dei Greci governavano in tutte le città, i Siculi non erano del tutto soddisfatti nella loro terra e, a causa di ciò, verso il 452 il Re dei Siculi, Ducezio, armato di coraggio e di tanti uomini, fece guerra ai Greci.
Ducezio fu benvoluto dal suo popolo, che era convinto di poter cacciare fuori dalla Sicilia i Greci, ma questi lo considerarono un ribelle.
Egli teneva il comando a Noto, suo paese di nascita, anche se qualcuno afferma che era di Mineo, ma i soldati di Agrigento gli andarono contro come quelli di Siracusa, ambedue città potenti.
Ducezio, sconfitto, fu mandato a Corinto, la città da cui provenivano quelli che fondarono Siracusa, a condizione che non doveva fare ritorno in Sicilia ma, passati appena cinque anni, egli vi fece ritorno, perché glielo aveva indicato un oracolo per fondaresulla costa tirrenica la città di Calatta (oggi Caronìa).
Dopo poco tempo, nel 440, Ducezio morì, a soli 48 anni.
Tutta la storia di Ducezio si svolse in neanche quattro anni, ma egli rimase nella storia dell’Isola non come colui che non voleva la civiltà della Grecia, ma come colui che non sopportava il malgoverno e le prepotenze di un popolo che, tra l’altro, proveniva da un’altra terra.
Quella di Ducezio fu l’ultima possibilità che ebbero i Siculi di rendersi liberi e, invece, da questo momento in poi, cominciarono esse stessi ad ellenizzarsi.
Neanche erano passati tre secoli dalle prime colonie, che tante persone passarono alla grande storia e le città che comandarono su tutte le altre furono Siracusa ed Agrigento.
Tante guerre furono intraprese da tutte le città siciliane e venne anche il momento dei Fenici da Cartagine, che distavano poco dalla Sicilia.
Imera fu distrutta all’inizio del quinto secolo avanti Cristo, mentre Gela, anche se era pronta a difendersi, nel 405, contro i Cartaginesi, fu abbandonata dagli abitanti, trasferiti a Siracusa per ordine di Dionisio e scomparve completamente nel 282. Si dice che i superstiti di Gela furono fatti spostare verso occidente, ma di poco, perché si stabilirono sulla montagna Ecnomo, proprio davanti alla foce del fiume Salso, e molto tempo dopo, nel 1606, sopra una porta d’entrata della città di Licata, che richiamava Finzìada, su una lapide era scritto “Hic Gela”, significando che in quel posto si era trapiantata la popolazione di Gela distrutta.
Non tutti sono d’accordo con questa teoria, ma una cosa certa è che la gente di Gela si spostò in varie direzioni.
Oggi nel sito di Ecnomo c’è Licata, città molto importante nei secoli a venire.
Le guerre contro i Cartaginesi si susseguirono fino a quando i Romani arrivarono vicino a Messina e ciò fu causa di eterna inimicizia fra i due popoli.
Ai Romani la Sicilia faceva gola e dopo tante guerre con i Cartaginesi e contro tutte le città siciliane, Agrigento poneva fine alla sua potenza nel 262 avanti Cristo e Siracusa, l’ultima città a resistere contro i Romani, anche se ben difesa dallo scienziato Archimede, cadde nel 212. Lo scienziato aveva inventato molti strumenti in difesa della sua città e oggi viene ricordato con questa espressione latina “invento speculo naves romanas incendit” che, secondo alcuni, non è vera. Con la caduta di Siracusa, la Sicilia divenne una provincia di Roma per tanti e tanti secoli.
Prima di passare a quello che furono i Romani, mi sembra giusto nominare due tiranni che fecero la storia greca in Sicilia: Falàride di Agrigento (al potere per sedici anni, 570-554 a.C., morì lapidato) e Dionìsio di Siracusa (al potere per trentotto anni, 405-367 a.C.).
Falaride rimase nella storia come un re che godeva a fare bruciare vivi nella pancia di un bue (toro) di bronzo, coloro che venivano considerati traditori e quei poveri malcapitati, quando si lamentavano per il fuoco ardente, emettevano urla di dolore che si trasformavano in muggiti di buoi.
Si dice che questo strumento di morte crudele era sistemato sulla montagna di Licata di nome Ecnomo, che nella lingua greca aveva il significato di “scellerato”.
Falaride fu così cattivo di carattere che il toro di bronzo lo fece provare al suo stesso inventore di nome Perillo o Perilao di Atene.
L’altro personaggio fu Dionisio di Siracusa. Il suo potere durò quasi 40 anni, durante i quali fece buon governo e se non fosse stato per lui, tutta la Sicilia sarebbe diventata una provincia di Cartagine.
Non aveva fiducia in nessuno, tanto che si faceva radere la barba dalle sue figliole.
Forse non è tanto vero, ma si dice che Dionisio teneva certi prigionieri in una grotta a forma di orecchio e quando i prigionieri parlavano egli li poteva ascoltare dalla parte alta della grotta, chiamata “Orecchio di Dionisio”.
Dopo cique secoli di storia fatta dai greci che venivano chiamati Sicelioti, la Sicilia perse tutta la sua potenza e divento una provincia di Roma, una terra senza importanza che serviva soltanto per la coltivazione di frumento per l’esercito romano.
Il comando fu affidato ad un Pretore che abitava a Siracusa, capitale di tutta la provincia, ed era aiutato da altre due persone, i Questori, uno risiedeva a Siracusa e l’altro a Lelibeo, la punta estrema della Sicilia occidentale.
A lavorare le terre, i Romani portarono molti schiavi dall’Asia e per un bel po’ questa misera parte diede tanti problemi ai Romani con rivoluzioni e spargimento di sangue ovunque.
La rivoluzione di Enna merita essere nominata, quella scatenata da Euno della Siria e si protrasse per settant’anni fino all’anno 138 avanti Cristo.
Sotto il dominio di Roma, la Sicilia passò tanti secoli di pace, chiamata “pax romana” e, dopo due secoli dalla nascita dell’impero, Roma ebbe un po’ di considerazione per i siciliani, così nel 212 dopo Cristo fu concessa loro “la cittadinanza romana”, proprio quando tale privilegio non serviva a molto: era il tempo dell’imperatore Caracalla.
Questi primi secoli dopo la nascita di Cristo, per la Sicilia fu il diffondersi del Cristianesimo e a Siracusa ebbe grande effetto il martirio di Santa Lucia, a cui tutti i fedeli si raccomandano per la salvaguardia della vista degli occhi.
Un po’ alla volta l’impero perdette potenza e dopo la sua caduta (476), la Sicilia fu occupata dai Bizantini dal 535 per quasi tre secoli e in questo periodo la Sicilia fu sottoposta al pagamento di tasse esagerate.
Questo fu anche il tempo dei Saraceni che assalivano tutte le città di mare, tanto che nel 663 l’Imperatore d’Oriente Costante II trasferì la capitale dell’impero bizantino da Costantinopoli a Siracusa fino all’anno 669.
Molti furono gli attacchi degli Arabi, chiamati pure Saraceni, che con l’intento di diffondere la loro nuova religione nel mondo, occuparono la Sicilia, iniziando da Ma zara nell’anno 827.
Gli Arabi, per poter governare la Sicilia meglio, la divisero in tre unità amministrative e precisamente il Vallo di Mazara (a ovest), il Vallo di Demona (a nord-est) e il Vallo di Noto (a sud-est), considerando per confini la valle del fiume Salso, così come era successo quando l’isola fu divisa fra Siculi e Sicani.
Palermo, per la sua vicinanza all’Africa, fu resa capitale con la costruzione di splendidi monumenti e centinaia di moschee e, ancora, utilizzarono molti maestri per l’istruzione dei bambini.
Quando si parla della dominazione araba, dobbiamo pensare che non sempre furono tempi brutti, perché gli arabi hanno migliorato i metodi della lavorazione della terra in Sicilia e ci hanno insegnati un uso razionale delle risorse idriche. Ancora oggi nel nostro linguaggio ci sono parole di etimologia araba.
Comandanti ed Emiri erano sempre in lite fra loro; il signore di Siracusa, Ibn at Tumnah, chiese aiuto ai Normanni, stanziatisi da poco fino in Calabria, per andare contro Ibn Hawas, signore di Girgenti.
Questo fu l’inizio della conquista normanna in Sicilia. Nell’Italia meridionale c’era già Roberto il Guiscardo, figlio di Tancredi d’Altavilla, ed in Sicilia venne un altro fratello di lui, che si chiamava Ruggero, a cui il Papa Urbano II concesse il titolo di Gran Conte di Sicilia (capitale della Contea fu Troina, 1089) e nel 1098 la facoltà di nominare i Vescovi, secondo la “Apostolica legatio”. Tale privilegio era valido per lui e per i suoi discendenti. I Normanni avevano avuto il merito di aver cacciato dalla Sicilia i Musulmani, detti pure Saraceni (come discendenti di Sara, moglie di Abramo, di cui parla la Bibbia). Tutto ciò piacque al Papa.
Alla morte di Roberto (1085) il Regno dell’Italia meridionale passò ad un figlio di nome Ruggero, che era in lotta con il fratello Beomondo, e lo zio Ruggero, il Gran Conte, riappacificò i nipoti, ricevendo in cambio metà della Calabria ed i diritti completi sulla Sicilia.
Quando il Conte Ruggero morì (Mileto 1101), lasciò erede, all’età di sei anni, il figlio Ruggero, avuto dalla terza moglie, Adelasia, detta anche Adelaide.
Ruggero II, intorno al 1112, quando aveva 16 anni prese il titolo di Cavaliere e Conte di Sicilia ed ebbe il potere in mano.
La sua politica fu impostata in modo che poteva accontentare tutte le etnie presenti in Sicilia, che erano di cultura araba, latina e bizantina.
Palermo divenne una città ricca. Intanto Ruggero II, nel 1127, alla morte di suo cugino Guglielmo II, nipote di Roberto, non avendo eredi, divenne padrone della Puglia e della Calabria e, con l’appoggio della Chiesa, ricevette la Corona di Re nell’anno 1130 nella Cattedrale di Palermo, dove ancora si legge “Prima Sedes Corona Regis ed Regni Caput”.
Da questo momento in poi, cominciò la storia del “Regnum Siciliane”, durata quasi otto secoli (1130-1860), chiamato anche “Regnum utriusque Siciliane”, citra pharum et ultra pharum.
Quando Ruggero II morì (1154), gli successe al trono il figlio Guglielmo I, detto “il Malo”, colui che nel 1155 impose l’aquila come stemma della città di Palermo e, dopo la morte di questi (1166), il figlio Guglielmo II, che i siciliani, dopo molto tempo, chiamarono “il Buono”, perché governò con giustizia e allontanò dalle cariche i disonesti e i malvagi e fece costruire una bella chiesa fuori Palermo sopra una collina, chiamata “Mons Regalis” (oggi Monreale).
Guglielmo II, all’età di 39 anni, prima di morire (1189), non avendo fogli, fece nominare erede al trono sua zia Costanza, figlia di suo nonno Ruggero II.
A questo punto le cose si fecero complicate, perché Costanza nel 1186 aveva sposato Enrico VI di Germania ed era appoggiata dal vescovo di Palermo; invece fu incoronato Re Tancredi, figlio di un fratellastro di Costanza, un altro Ruggero duca di Puglia.
Tancredi moriva nel 1194 e lasciava al suo posto il figlio ragazzino Guglielmo III.
Intanto Enrico VI, di carattere ribelle e malvagio, fece guerra prima a suo nipote Tancredi e dopo al nipotino Guglielmo, da cui si fece consegnare la corona del Regno il giorno di Natale 1194.
Mentre sua moglie Costanza partoriva il figlio Federico, Enrico VI fece incatenare il piccolo Re spodestato e tutti gli altri fratellini di Tancredi e li trasferì in Germania all’insaputa della moglie. Dopo quasi tre anni, nel 1197, Enrico li fece massacrare tutti, e poco dopo morì.
Dopo la morte di Ruggero II (1154) la stirpe normanna era durata appena quaranta anni, per passare alla dinastia sveva con Enrico VI, morto nel 1198.
Alla morte del padre, Federico II, all’età di quattro anni, fu nominato Re ed Imperatore.
La madre Costanza, sistemate le cose in Germania, affidò il figlioletto Federico al Papa Innocenzo III, che lo giudò fino all’età di quattordici anni e così Federico II – che aveva per secondo nome per alcuni Ruggero, per altri Costantino (per la madre Costanza), Federico (per suo nonno “Barbarossa”), Guglielmo (per il fratello della madre, Guglielmo I d’Altavilla) – assunse i pieni poteri di Re.
Anche la madre Costanza morì nel 1198 come il marito, ma poco prima, insieme al Papa, aveva pensato di predisporre la futura moglie, pure lei Costanza, sorella del Re d’Aragona, di dieci anni più vecchia di Federico.
Il matrimonio venne celebrato nel 1209, ma nel 1222 Costanza morì a Catania e, da questo momento in poi, Federico si allontanò sempre più da Palermo, che rimase la capitale del Regno, dove tornava solo ogni tanto.
Federico preferiva abitare in Puglia, vicino Foggia, visto che la sua politica era principalmente indirizzata verso la Germania.
Egli fu un uomo istruito, regnò con tanta saggezza e, ancora piccolo, fu soprannominato “Stupor Mundi”; parlava diverse lingue, oltre il tedesco ed il “siciliano” anche francese, greco e arabo.
Scrisse un trattato sulla caccia con il falcone dal titolo “De arte venandi cum avibus” e, nel 1231, raccolse le leggi del Regnum in un volume dal titolo “Liber Augustalis” (Le Costituzioni di Melfi).
Federico si interessava poco di religione e fu anche scomunicato dai Papi Gregorio IX ed Innocenzo IV e da qualcuno fu anche considerato un sanguinario.
Egli si impegnò a far conoscere la lingua della sua Corte e fondò la “Scuola Siciliana”. Sulla facciata del Palazzo Reale a Palermo, per ricordare i sette secoli dalla morte di Federico II, i poeti del 1950 fecero sistemare una lapide dedicata ai poeti del 1250, dove sono scolpiti l’Imperatore circondato da letterati, un cacciatore che tiene il falco e sotto c’è un cane, che significa che Federico era un abile cacciatore, alla sua destra è scolpita una Dama, che potrebbe raffigurare la moglie Costanza d’Aragona e, vicino a lei, altre due persone di Corte.
Nel 1250 Federico II morì e gli successe al trono il figlio Corrado, mentre Manfredi, figlio naturale di Federico, si era messo alla guida del Regnum Siciliane e aveva fatto sposare sua figlia, anch’essa Costanza, al Re Pietro d’Aragona.
L’Imperatore Corrado morì nel 1254 e con la moglie, figlia del Duca di Baviera, aveva avuto un figlio, Corradino, che gli successe al trono.
Manfredi, approfittando del piccolo Corradino, si fece incoronare con l’inganno Re nel 1258.
Nel frattempo il Papa aveva assegnato la corona di Sicilia a Carlo d’Angiò e per questo motivo si fecero tante battaglie, fino a quando Corradino fu sconfitto e ucciso nel 1268. L’Imperatore era ancora ragazzino, senza eredi.
Così finiva la dinastia sveva.
Gli Angioini, chiamati “francesi” dai Siciliani, furono mal soppostati in Sicilia, perché erano considerati maleducati e prepotenti, così il giorno di Pasqua del 1282 scoppiarono i Vespri Siciliani.
La rivolta si diffuse rapidamente a tutta la Sicilia e si verificò una strage di francesi, con l’aiuto di Pietro d’Aragona, nominato Re di Sicilia nel settembre del 1282.
Alla morte di Pietro (1285) gli successe al trono d’Aragona il figlio Alfonso, mentre il secondo figlio, Giacomo, fu Re di Sicilia fino a quando morì suo fratello (1291) e lasciò la delega per governare la Sicilia al terzo fratello, Federico, per potersi prendere la corona d’Aragona.
Ma i Siciliani, per evitare di unire la corona d’Aragona e quella di Sicilia, nel 1296 incoronarono Federico III Re di Sicilia.
Le liti con gli Angioini di Napoli erano sempre pronte e soltanto nel 1302 fu firmata la pace di Caltabellotta, con cui si riconosceva a Federico d’Aragona il Regno della Sicilia, mentre la parte continentale “Ultra pharum” dell’antico Regnum Siciliane era comandata dagli Angioini.
Federico III fece funzionare il parlamento siciliano e lo divise in tre sezioni: ecclesiastica, militare e demaniale; fu proprio quella demaniale che concesse troppi diritti ai Baroni e così, mentre nell’Italia settentrionale tramontava il feudalesimo, in Sicilia cominciava un lungo periodo di sottomissione ai potenti.
Federico III stabilì anche che l’aquila sveva avrebbe dovuto essere apposta sui gonfaloni e sugli stemmi di molti Comuni, comuni che, ai tempi di Federico II, si chiamavano “Universitas”.
Quando egli morì, nel 1337, il periodo fu triste e divenne Re suo figlio Pietro IV (1337-1342) e poi il figlio di questi, Ludovico, di appena cinque anni; anche questo morì giovanissimo, a diciassette anni, nel 1335, lasciando il Regno a suo fratello Federico IV, di soli 13 anni, soprannominato “Il Semplice”.
Data la sua tenera età, Federico IV fu aiutato nel governo da sua sorella Eufemia con il titolo di Vicaria. In questo periodo tornarono le liti con gli Angioini di Napoli e, quando Federico IV morì (1377), avendo una sola figlia, lasciò il trono a Maria che andò in sposa a Martino “Il giovane” d’Aragona nel 1390 (e morì nel 1402) e, quando questi morì, nel 1409, il potere passò a suo padre Martino il Vecchio Re d’Aragona.
Da questo momento in poi, la Sicilia fu privata della sua autonomia e della libertà, passando sotto la dominazione spagnola.
Iniziò così il periodo dei viceré; nel 1415 il nuovo Re, Ferdinando di Pastiglia, Re d’Aragona e di Sicilia, detto “Il Giusto”, diede il primo incarico di Viceré a Juan de Panefiel.
Tra tutti i Re di Spagna si ricordano maggiormente Alfonso V(1416-1458), chiamato “Il Magnanimo”, a con questo Re tornarono uniti il Regno di Napoli e quello di Sicilia.
Re Alfonso fondò la prima università siciliana a Catania nel 1434, chiamata “Siculorum Gymnasium” (mentre a Messina, per volontà di Papa Paolo III, nel 1548 fu fondata la “Studiorum Universitas” ed a Palermo la Reale Accademia degli Studi, fondata nel 1778 al posto del Collegio Massimo dei Gesuiti, chiuso nel 1768, fu trasformata nel 1806 in “Regia Studiorum Universitas” per volontà di Ferdinando III di Borbone).
Altro Re importante importante fu Ferdinando il Cattolico, soprannominato così perché nel 1492 aveva liberato, dopo otto secoli di dominazione saracena, la regione di Granata ed aveva espulso dal suo regno tutti gli Ebrei che non vollero essere battezzati come Cristiani. Egli portò in Sicilia nel 1487il Tribunale d’Inquisizione, che rimarrà fino al 1782, al tempo del Viceré Domenico Caracciolo.
In questi tre secoli furono bruciate al rogo 188 persone considerate “eretiche” dalla Chiesa; tutto ciò proprio in Sicilia, terra che era stata capace di far convivere pacificamente popoli diversi per religione, lingua e usanze.
Ferdinando il Cattolico morì nel 1516 e aveva una sola figlia, Giovanna, che nel 1496 aveva sposato Filippo il Bello, figlio dell’Imperatore Massimiliano d’Austria.
Giovanna, quando rimase vedova (1506), si ammalò e fu considerata “pazza” fino alla sua morte (1555).
Così, alla morte di Ferdinando il Cattolico (1516) e Massimiliano d’Austria (1519), le due corone passarono al nipote Carlo V (1500-1558).
Questo giovane Imperatore fu un tipo combattivo, che, oltre ad essere Re di Spagna, di Sicilia, Sardegna, Napoli, dei domini italiani ed americani, della Germania meridionale, fu anche Imperatore d’Austria, tanto da potersi vantare che sul suo Regno non tramontasse mai il sole.
Egli portò in Sicilia l’aquila bicipite originaria dell’Austria e, dovendo spesso affrontare guerre contro i Turchi, vendeva diritti ai nobili disposti a pagare.
Un grande merito di Carlo V fu quello di bloccare l’espansione turca il Sicilia ed in Europa ed egli dovette affrontare più volte Mohammed Dragut, chiamato dal popolo Mammo Drago, ricordato per tanti secoli come uno che faceva paura ai bambini quando essi facevano i capricci.
Carlo, per non farsi prender all’improvviso dai Saraceni, fece sistemare e costruire diverse centinaia di torri sulla costa della Sicilia, posti da dove si poteva osservare in lontananza se arrivavano nemici dal mare.
Egli si ritirò dalla politica nel 1556 e morì nel 1558.
Dopo di lui regnarono i suoi eredi Filippo II (1556-1598), Filippo III (1598-1621) e Filippo IV (1621-1665), che difesero la Sicilia dagli attacchi dei Turchi.
Bisogna metter in evidenza che durante il periodo della dominazione spagnola il popolo soffriva molto e si verificarono diverse insurrezioni popolari, come, ad esempio, quella di Giovanni Pollastra, detto “Surciddu” (topolino) nel 1511, quella di Gianluca Squarcialupo (1517) e quella di Giuseppe D’Alesi (1647).
Il Viceré, se moriva mentre era in carica o si assentava per qualche motivo, veniva sostituito da un Presidente del Regno, nella persona dell’Arcivescovo di Palermo o del Luogotenente Generale delle armi in servizio in Sicilia.
I Viceré in Sicilia furono circa settante, fino a quando, con l’accordo di Utrecht (1713), il potere passò prima ai Savoia (1713-1720), poi agli Austriaci (1720-1734) ed infine ai Borbone (1734-1860).
Sotto i Borbone il Vicerè ebbe la funzione di Ministro e nel 1816 tale istituto cessò di esistere, perché fu creato il Regno delle Due Sicilie ed a Palermo veniva assegnato un Luogotenente Generale che, di solito, era un Principe di Casa Reale o un altro personaggio altamente qualificato.
Il Re che fece questi cambiamenti (divenuto Re nel 1759 a soli otto anni) si chiamava Ferdinando IV, come Re di Napoli, Ferdinando III come Re di Sicilia e Ferdinando I come Re del Regno delle Due Sicilie.
Spesso noi siciliani abbiamo accusato i Re Borbone (Ferdinando I, 1759-1825; Francesco I, 1825-1830; Ferdinando II, 1830-1859; Francesco II, 1859-1860) come responsabili unici della arretratezza economica della Sicilia, mentre essi non ebbero tutte le colpe, perché avevano ereditato nel 1734 una Sicilia poverissima e sicuramente avrebbero potuto fare qualcosa di meglio fino all’anno 1860, quando Garibaldi e i suoi “picciotti” (giovani soldati) tolse il potere ai Borbone e aprì la strada ai Savoia di Vittorio Emanuele II: da questo momento la Sicilia fece parte dell’Italia unita (1861).
La Sicilia, che il 12 gennaio del 1848 era stata la prima regione a dare il via alla rivoluzione europea, attendeva con ansia di migliorare le disastrose condizioni di vita del popolo ed, invece, ricevette grandi dispiaceri: l’ordine di partenza dei giovani per il servizio militare – obbligatorio per quasi sette anni –, le condizioni socio-economiche della gente non cambiarono e nel 1866 i possedimenti delle Chiese e dei Conventi, che davano lavoro ai contadini, furono veduti ai ricchi e lo Stato ci guadagnò circa 600 milioni di lire, che allora avevano grande valore e, per di più, non furono utilizzati in Sicilia per migliorare le condizioni di vita della gente.
Fu allora che ebbe notevole potere quella che, ancora oggi, si chiama Mafia, che all’inizio era sorta per difendere i poveri, mentre un po’ alla volta è diventata una associazione criminale.
L’anno 1892 vide in Sicilia la nascita dei “Fasci dei lavoratori” che reclamavano la distribuzione delle terre ai contadini, ma tutto fu inutile.
Le condizioni sociali, economiche, igieniche e sanitarie dei minatori nelle zolfare erano misere e pietose e i luoghi erano paragonati alla porta dell’inferno, dove uomini e bambini venivano trattati da animali.
Solo dopo la seconda guerra mondiale la Sicilia, che mai aveva dimenticato il significato della parola “autonomia”, riuscì ad ottenere, durante gli ultimi giorni della Monarchia con il Re Umberto II di Savoia, una legge particolare con diventava la prima regione d’Italia a Statuto Speciale.
Dua settimane dopo tale concessione, l’Italia passava dalla Monarchia alla Repubblica (1946).
Adesso sono passati quasi sessant’anni e la gente continua ad emigrare lontano dalla propria terra in cerca di lavoro, altro che Statuto Speciale!
Con tutta la lunga e gloriosa storia che la Sicilia può vantare, i suoi figli devono imparare le usanze e le abitudini altrui.
                                        Giovanni Scala


Ringrazio con tutto il cuore i professori Luigi Falletta e Salvatore Falsone per l’aiuto che mi hanno dato con il computer.