Pescatore
Puesia
si alza dalla stuoia bruciata ai quattro angoli dalle cicche
tossisce
fa le sue abluzioni sfregando le mani su una pietra
forse lustrale
indossa il suo kadroùn nero
poi apre la porta dal battente grave
stacca dal muro di nube il suo carniere
tasta il suo coltello arrugginito e le lenze che sanno di sangue e sole
i gatti si accoppiano ancora sulla terrazza
l’ultimo respiro della notte
trascina verso il mare le sue bocce bianche
i corni dell’astro impudico
puntano il loro fuoco acuto
cammina come su un tappeto mobile
tossisce e annusa in fondo alla strada
il rumore inquieto del vento
si leva l’invito alla preghiera
lui pensa al suo coltello e alle parole si sua madre
al caffè gli uomini riuniti in grappoli di fumo
parlano
del polpo e della morte del polpo
della salpa e dei sogni di salpa
delle aguglie del plenilunio
delle cernie e cerniole
dei pagri nei relitti dei cargo
delle lampughe all’ombra delle palme putrescenti
delle lecce nell’azzurro insabbiato
ma con disprezzo di sardine e sauri
e ridendo dei serrani scriba
lodando i palamiti e le alalunghe
perché le donne hanno già macinato
l’orzo nuovo e il grano
e parlano certo del delfino
e a volte della preghiera del mattino
a volte quando Dio lo vuole
dando alle spalle alla porta del caffè
fuma anche lui
sul tavolo umido la sua mano nodosa
tace solo nel suo kadroùn rattoppato
ai moli le barche che la sete ha chiamato
Rabba Rim Lamia Saida Rafika
nell’acqua fangosa le ancore dai denti intrecciati
sulle barche le lenze dei palamiti i remi le paranze i tramagli
e ogni tipo di reti
su una tavola nera il gabbiano del porto batte l’ala
il faro si spegne mentre nel canale
un pescatore di sardine allenta la sua ultima lampara azzurra
un bambino assonnato avanza scalzo con un paniere vuoto
il pescatore paga il conto in silenzio
raccoglie il suo carniere
non pensa più alle parole di sua madre
incrocia il bambino dal vecchio paniere
che lo saluta a voce alta
come se fosse in cima al minareto.