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Uriginale

Baghdad, Febbraio '91

Traduzioni di Sarah Kaminski

In quelle strade bombardate avanzava la mia carrozzina.
Le ragazze di Babilonia mi pizzicavano le guanciotte, sventolando rami di palma
sopra la mia lanugine bionda.
I capelli rimasti si sono ormai imbruniti
come Baghdad,
come la carrozzina tolta dal rifugio
nei giorni in cui si attendeva un’altra guerra.
Oh Tigri, oh Eufrate! dolci sinuosità sulla prima mappa della mia vita,
serpenti d’acqua mutati in vipere.

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Uriginale

Paradiso del riso

Traduzioni di Sarah Kaminski

La nonna ci proibiva di lasciare del riso nel piatto.
Invece di raccontare della fame in India e dei bambini
dal ventre gonfio, che spalancavano la bocca per ogni chicco,
con lo stridio della forchetta e gli occhi velati spingeva i rimasugli nel centro del piatto.
Diceva che il riso avanzato si leva,
lamentandosi al cospetto di Dio.
Ora lei è morta e immagino il giubilo dell’incontro
fra la sua dentiera e i cherubini dalla spada fiammeggiante,
sulla soglia
del paradiso del riso.
Ai suoi piedi stenderanno un tappeto di riso rosso,

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Lavoro da arabi

Traduzioni di Jack Arbib

(Espressione idiomatica corrente per indicare lavoro mal fatto, lavoro mal pagato.)

Di che filo sarà tessuta la bandiera del corteo
delle operaie tessili di Dir Hana.
Nei ruvidi canali sul palmo della mano naviga una goccia di sudore
come nave di schiavi verso il golfo di unghie cicatrizzate.

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Il sacrificio di Sara

Traduzioni di Jack Arbib

Sulla forca del resto della sua vita
la memoria è annodata come una corda.
L’occhio cade sugli impiccati simili ad uniformi stese
dopo il bucato nella macchina delle lacrime per togliere
le macchie della battaglia.

La leggenda racconta, io le sussuro, che i giovani di un villaggio
solevano lasciare una pietra vicino al recinto, prima di andare in guerra.
Quelli che tornavano, gettavano le loro pietre lontano.
Con le pietre dei morti, si facevano i monumenti.

Lei tace. In questa leggenda le sue mani non sposteranno pietre.

Ronny Someck

Ronny Someck

SOMECK Ronny

Ronny Someck (Baghdad, Iraq, 1951). Trasferitosi in Israele sin da bambino, ha lavorato con “gang” di strada, insegnato letteratura e attualmente conduce dei corsi di scrittura creative. Ha pubblicato otto volumi di poesia e un libro per bambini scritto con la figlia (The Laugheter Buttom). Le sue opere sono state tradotte in 31 lingue. Ha registrato 3 dischi con il musicista Elliott Sharp Nel 1998 insieme con Beny Efrat a presentato la mostra “La fabbrica della natura, inverno 2046” all’ “Israel Museum”

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L'insonne

sono il nottambulo della medina
nutro i suoi gatti di grondaie nere oppure no
scendo con loro verso le sabbie mobili
dove ronfa e batte l’occhio rovinoso del diavolo

ho venduto i miei amici alla fiera in città
ora vengono giocati alla roulette da intrusi
tradisco tutto ciò che mi tocca
avanzo teso in cattive insonn

stanotte ho cerchiato la voce delle sabbie
e le ho guardato fin dentro le ossa verdi
l’ho appesa alla bestemmia nel mio fiato
e l’ho portata nella mia carne come si ama

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Romanza (II)

sono tuo fratello dalla parola fiera
il dolce interlocutore dei pastori
e dei bovini della sabbia immemorabile
l’amico della folaga dal becco astrale

conduco l’asceta alle sue banchise di sale
possiedo i quattro colori del fiume invisibile
raffiguro nel vento lo spirito degli antichi
il mio cavallo in quest’albero carnale e azzurro

sono tuo fratello dalle pomici esplose
mitigo l’ombra delle pietre nelle pieghe delle tue mani
i maghi mi apettano gli spaventapasseri mi temono
storno la tempesta verso la città di zolfo.

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La musica

fragile come un riflesso di fine autunno
che bagni la figura nodosa dell’ulivo
vasta come la mano aperta
sull’ala pesante di una fumata
calda come le lettere femmine tracciate
dalla pioggia sulla pelle dei maggesi
sola coma la mia infanzia che interrogava ansiosa
il mare
così mi è apparsa la musica
alle quattro del mattino
tra le braccia del fornaio della mia strada
essa abbracciava i piccoli pani.

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Leyla

amanti caduti
nelle sabbie
dei dissanguati

la notte D’Oriente
ci porta
sull’erba malva delle rovine

(dicono che è
malata
Leyla in Iraq )

è malata
e piange
per le mie estasi insensate

Leyla mi radica
nell’humus amaro
del suo nome cinto di stelle

e il temo-catapulta
ci uccide
amanti folli fragili

per noi danzano
attraverso il deserto di Nejd
le sure notturne

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Pescatore

si alza dalla stuoia bruciata ai quattro angoli dalle cicche
tossisce
fa le sue abluzioni sfregando le mani su una pietra
forse lustrale
indossa il suo kadroùn nero
poi apre la porta dal battente grave

stacca dal muro di nube il suo carniere
tasta il suo coltello arrugginito e le lenze che sanno di sangue e sole

i gatti si accoppiano ancora sulla terrazza
l’ultimo respiro della notte
trascina verso il mare le sue bocce bianche
i corni dell’astro impudico
puntano il loro fuoco acuto

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