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A memoria d'uomo (inedito)

Mano che voga sul mare senza capitano e senza mai dare materia alla barchetta di carta del poeta Nioclas Guillen. Primo saluto al sole e declino verso i colori immateriali.Garante delle proprie linee di fuga nella tempesta. Incrocio del respiro con i mostri marini, fidanzati insaziati  delle sirene. Voga anche nei bagni del ragazzo e il feretro del suo doppio abbandonato sul Nilo. E voga ancora sul taglio degli specchi  dove guadagna la libertà dai fantasmi. Zagaglia delle notti insonni, apre lo spessore del piumino dove piange la bellezza. Circoscrive la foresta ai monti della preghiera, alle radici mescolate a meraviglia o paura assoluta del domani. E'   lei stessa a carezzare la collana dell'alba per esorcizzare la fuga dall'amore, cavalcata infame sfiancante l'energia. La mano sparpaglia sulla carne il segno della fiera. E' lei che chiama l'amante per  il caos dei pianeti. Sacralità della piega sotto la tunica fa frusciare la sua amante  innominata; consacrazione dei suoi anelli   presenza di una mano  lunga come un vascello di papiro. Mano che imita il piede della dea bendata. Mani come granchi e arcobaleni che cingono lo svaporamento del destino. E infine, l'inazione dei viaggi abbacinati d'una mano. Fanghi sottomarini, lampi, orgasmi e capigliature rizzate hanno impregnato il suo gioco e la sua scomparsa.  Mano che agguanta la principessa di Tiro, predestinata all'ebbrezza definitiva di un continente, slanciandosi con il fervore del mito. Questa mano che inventa la storia del ratto e della visione, e poi la cala di Matala dove la mano di Zeus ha inventato il cristallo di sabbia, le grotte e il sangue dello spirito che galleggiava. Mano, sostanza e distruzione, sopravanza la velocità dello spirito attraverso la prescienza dei balzi, dell'armonia e dell'emozione  bruta. Come un toro alato. Come la schiuma che lo turba. La scrittura dolore della mano e marchio indelebile. L'alfabeto ne è l'eterno balbettamento e il seme  di un grande campo che  si dispiega nello spazio che si srotola nei margini del tempo. Di carezza in carezza ha lacerato il velo della parola per strapparne le viscere, i sogni, i miracli. Il solo miracolo che ci resta e quello che è a portata della mano, creatura fuggente, musica dell'ombra. E la sacra danza dalle mille mani inghiottite nelle metafore del piacere che si  schianta   come cristallo sulle falesie del mediterraneo.

La passione riguadagna la riva per sconvolgere la notte creando desolazione e speranza. A memoria di mano, ferita dal rilievo delle terrazze ripidi, non si era ancora percepita la regalità selvaggia delle sue leggende. Mano sotterratrice di leggende gridate a squarciagola: la leggenda semimorta vivrà ancora per lungo tempo oltre l'impertinenza della carne. Oh mano che ha incrociato l'infinito per perderlo ad ogni nuvola, ad ogni tentativo dell'amor fou. Impresa della città ideale, mille volte le dita mozzate.  Ha portato l'infanzia ed il nulla nello stesso respiro. Infine, seduta alla sua finestra, la mano rassicura il paesaggio e cattura il flusso del mare. Mare interiore d'ogni omicidio, d'ogni tenerezza, aratura di mani, creazione e gorgo di mani.

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Del Mediterraneo, ho appreso e disappreso tutto, il protrarsi sensuale delle notti, l'evasione a portata di mano dal quotidiano. Rinascimento, dall'artigianato alla folgorazione. La sobrietà naturale come un vento del deserto che tormenta i giochi della vista.  Le pergamene dell'oblio nei rifugi di montagna. Delle falesie chiamate Paradiso dagli stessi demoni delle acque sotterranee.
Mediterraneo, ho percorso i campi d'olivo uno a uno andando in giro per tutte le feste pagane del vecchio bosco di streghe. Ad ogni oliva, la preghiera del pane e della sete. La preghiera dei fuscelli secchi falcati da orde guerriere o degli amanti nudi fino alla fine della loro estasi. Estasi del canto che circonda la luna col suo alone. Estasi delle mani che scoprono i seni della vergine delle grotte. Estasi del formaggio di pecora, del miele e del sesso della folla familiare. Sesso di bleuité e dei coralli marini, sesso inghiottito nel pensiero come una melaverde rubata ai tronfi di questo mondo.
Mediterraneo senza supporto storico, senza gloria e senza dolore impenetrabile. Giusto un accenno di dignità presa in giro e di sogno li cui la potenza si farà sentire nel momento stesso che sarà sparita. Con dei sandali leggeri, l'alba sul Monte Sannino, i pianti sulla corniche di Beirut testimone di nozze infami salvate da nozze invisibili. Questo Mediterraneo, dove il flauto rimonta alla rugiada del mondo, è capace di tutte le lentezze raffinate e dei fendenti sulla schiena dell'innocente. Da sè offre le sue acque all'esilio. Si perpetua nel partire. Saluta l'epopea della partenza come si saluterebbe un intrepido guerriero dell'ignoto. Ma non si attarda al ritorno del ragazzo prodigio, gli è  indiffirente come un ciottolo colto nel vuoto di una fonte.
Il Mediterraneo è una piega di vestito, un gelsomino eternamente rapito ai vicoli dell'infanzia,  parole che recitano un   rosario impercettibile di gioie e pene.
Suo estremo pudore è la garanzia dei suoi trasalimenti e delle sua febbre.
Mediterraneo assente, cullando i suoi fanciulli orfani d'una strana intuizione della felicità.

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Hélios addossato alla cittadella ocra
astro dell'esilio la condanna
la sua danza umana
      non più trottola  del caos
ma siesta punteggiata
dallo spiraglio dello  spirito
d'un giovane archeologo
torso nudo davanti
            l'immensità smarrita
un giovane piantatore di desiderio
nella folla sperduta del mito
            e della zagara

Hélios nell'ultima tensione
scruta i bambini irriverenti
che inghiottono con il mar Egeo
demoni sottomarini
stelle in perdita di velocità
            e si intrufolano prontamente
tra i discorsi e le bandiere
            dei conquistatori totali
il cui cranio tormentato
dilaga senza rumore dal sonno
resta a Helios
il ballo mascherato
dei pozzi senza luna

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Alla rinfusa, delle idee, dei chiodi conservati al riparo del vento, delle trappole,    una giara d'acqua desertificata. L'alto d'una muraglia rosa che osserva il gancio blu del vuoto.
Al secondo piano, la custode dei luoghi è anch'essa blu, tormento di pineta interiore. Trasforma progressivamente le sue facette in molteplici statue non riconoscibile tra esse. Greca, per la radice dei capelli e verosimilmente la trance invisibile degli alluci / delle dita dei piedi. Quando ridiscenderà, fioritura pagana, verso il carro delle acque senza crogiolo?
Chi dalla muraglia o dalla sabbia alzerà l'alba senza voce, il falco dell'alba senza voce?

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i monaci raschiano il desiderio
nella spessa chioma
dell'alba zigzagante
il tempio si fa cinghia
ed il fantasma della bruma
brocca dove dormono le fanciulle
sconsolate nelle loro radici

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Bashô capitano di viaggi
su una montatura di carne
suoi cosce brandelli e alluci / dita dei piedi
tesi verso province
che la rarità della parola
rende leggere  e sensuali

il poeta è sotto il banano
col suo flauto e il suo tamburello muto
testimone della più fragile felicità
sopra le rughe in preghiera.

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Il monte Teide sarà l'ultimo profeta dell'epoea vulcanica. Seni urtati dai venti vegliano ai suoi piedi. Non è una questione d'amore ma di basalto poroso che fonde nello spirito nudo. Le aquile come le nuvole fondono sul crepuscolo per creare la ritirata di Guayano. Il sesso del niente elabora metalli stravaganti che si impadronisconoo dell'alba. Predatori cantano attorno al cratere. Il primo uccello che ha smarrito l'Oceano viene a piantare la sua memoria dalle piccole tracce. Gli antenati scolpiti annodano la lava e la neve benedicono il paesaggio del loro rictus e sguardo vuoto come uno scivolo di miraggi. Né deserto, né foresta, solo un monte scarmigliato che resiste ai lunghi fili elettrici che si annodano impassibili attorno alla vastità stellare. Degli insetti esitano al sole, resi giganti da succhi afrodisiaci. Chi insetto o radice sopravviverà al progredire delle ore dove atomo solitario è il riso dell'uomo ?