Il Giorno del ricordo

Archivio dei diari / 10 febbraio 2018
newsletter n. 364

 

Il Giorno del ricordo

 
 

 

 
 

 

«Firmai tutti i fogli dell’interrogatorio ad uno ad uno in triplice copia. Passarono ancora dei lunghi giorni. Era l’ultima notte di maggio quando mi svegliarono, ordinandomi di lasciare tutto ciò che non mi occorreva di prendere cioè con se solamente quello che indossavo. Il giudizio del fanatismo, del fanatico idealismo dell’uomo era alle porte».

Inizia così nel 1951 il calvario di Umberto Bencic, cittadino istriano perseguitato dal regime di Josip Broz, detto Tito, in Jugoslavia. L’Archivio dei diari vuole donare oggi, 10 febbraio, un frammento della memoria che Umberto ha depositato a Pieve Santo Stefano nel 1993. Per commemorare insieme ai lettori della sua newsletter il Giorno del ricordo, solennità civile istituita ai sensi della legge 30 marzo 2004 n. 92 per conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». E la storia di Umberto, che è la storia di migliaia di prigionieri titini transitati per l’isola-carcere Goli Otok, rappresenta forse insieme alle foibe la pagina più orribile di quella “complessa vicenda”. Dopo la rottura con Stalin, nel 1948 il regime di Tito prese a deportare comunisti dissidenti filo-stalinisti, politici anti-comunisti e presunti cospiratori su quella piccola isola dell'alto Adriatico, oggi in Croazia. Goli, detta l'isola nuda per il suo aspetto aspro e brullo, divenne un campo di concentramento durissimo, in cui si applicarono spietate forme di tortura psicologica e fisica, volte a rieducare politicamente i suoi prigionieri. Secondo alcune stime, tra il 1949 e il 1956 transitarono sull’isola circa 16.000 prigionieri. Circa 400 non fecero mai ritorno a casa.

 

«Un agente per ogni angolo del veicolo armato di mitra era la scorta. Quando il carico umano fu completo distesero un grande tendone in modo da coprirci tutti. L’autocarro carico di tante giovani vite si mise in marcia sulle strade di Fiume verso una sconosciuta destinazione. Un autocarro correva sulle strade d’asfalto e portava con se trentadue vite, trentadue cuori che battevano forte e presto ma pochi lo sapevano. Dove andavamo era nel pensiero di tutti. Li portiamo al mare i pesci faranno una bella festa questa notte, parlavano gli agenti tra loro, beffandosi sulla nostra sorte.

Udivo i passi che s’affrettavano sopra un terreno solido e poi dei rumori inspiegabili con dei gemiti ma senza una parola. Alfine giunse il mio turno, slegarono le funi dopo aver tolto il tendone e solo allora compresi di trovarmi vicino al mare dagli alberi da nave che s’innalzavano nella notte stellata. Quello lascialo a me udivo una voce non lontana nel buio della notte, e poco dopo ero già disteso con il viso sul fondo duro d’un piccolo molo. Mi alzai portato dall’istinto di dover continuare, ma prima ancora di essere completamente in piedi dei pugni che seattavano come molle nella notte illuminata solo dalle stelle alte, alte nel cielo, mi colpivano sul viso, sui fianchi, solo allora m’avvidi di trovarmi tra due file di agenti che a forza di pugni, schiaffi e pedate mi sbattevano a bordo di una nave dove un altra simile accoglienza mi attendeva.

Intanto gli agenti dopo aver sgombrato il centro della stiva cominciarono a fare dei nomi. Qualcuno rispose. Ah! vieni qua volevi fare il ministro gli disse un agente, giù in ginocchio le mani dietro la schiena, su la testa. Poi, lo prese per i capelli biondi e ricciuti sferrandogli un pugno sulla bocca e schiaffeggiandolo poi con violenza bestiale, affinche il sangue non tinse di rosso il viso gocciolando sulla camicia bianca. Altri nomi tuonarono nel silenzio, dovevano essere nomi di persone piu importanti che seguirono lo stesso trattamento; poi si scateno un vero uragano di schiaffi.

 

Gli agenti sceglievano le loro vittime, facendoli inginnocchiare con le mani dietro la schiena e battendoli senza lasciarli se non vedevano il sangue scorrere. Stanchi di lavorare gli agenti salirono la scaletta e dietro e loro scomparve la luce, la sola luce che aveva illuminato un angolo di odio il piu crudele ed inumano che nascondeva il XX secolo. Torno tutto nel silenzio piu odioso nell’oscurita piu nera. Non si gemeva piu, si tratteneva il respiro come se non ci fosse stato nessuno in quella parte della nave, ascoltando pero, ascoltando con terrore, tingendo di rosso il fondo della stiva, aspettando il nuovo assalto se sarebbe venuto. E venne piu forte, piu spietato e fanatico di prima. Discesero gli agenti nell’oscurita per ascoltare l’orgoglio di quel branco di sfortunati. Non si udiva altro che la quiete piu profonda, la quiete degna soltanto d’una ecatacomba. Accesero il lume volgendo lo sguardo attorno. Era uno spettacolo triste e doloroso, era lo specchio della piu vergognosa ed infame miseria umana. Giacevano la dove si erano trovati, dopo la prima lezione del più fanatico sadismo, molti distesi con il viso rivolto verso il pavimento, sparsi sul campo di battaglia come cadaveri, dopo una lotta disastrosa. Siete buoni come agnellini ora, disse un agente. Qualcuno s’azzardo alzare la testa. Giu la testa bandito gli intimo l’agente. Dove sono gli eroi che tornano per la seconda volta a Goli? Domando un agente. Si alzo, piano una figura dal fondo della stiva avanzando verso gli agenti. Gli schiaffi che cadevano sul viso gia gonfio ed insanguinato rintronvano nella semioscurita della stiva come colpi di martello sull’incudine. Girai un po la testa per vedere chi era lo sfortunato e vidi Uccio dal viso sfigurato. Poi incomincio la storia di prima con furia ancor piu scatenata, gli agenti picchiavano senza misurare dove spingevano le loro mani. Chi voleva fare il capitalista, chi voleva fuggire in Italia domando infine una voce. Tremai colpito come da un fulmine, ma non mi mossi, attesi ancora quando gli agenti gia perdevano la pazienza. Era Uccio che nuovamente offerse la sua sincerita ed il suo viso alle mani pesanti. Ne prese tante quella notte, ma era appena il principio. Per finire comandarono al piu giovane, era un ragazzo di diciassette anni, di ballare sopra di noi. Fortuna aveva gli stivali di gomma era tanto leggero. Ci coprimmo tutti la testa con le mani aspettando calavano improvvisi. Sentii ancora un colpo al fianco sinistro, sotto il cuore, doveva essere stata la punta d’una scarpa molto solida, un momento mi sentii mancare il respiro, mi sembrava che il cuore non batteva più.  

L’attesa di guardare la luce del sole e respirare l’aria pure del mare era stata troncata. Duro poco la navigazione ripresa e quando il rumore cesso sulla nave si udiva un infinita di voci e di canzoni, ed infine di urla simili ad una frana gigantesca che ruzzolava travolgente.

 

Noi siamo di Tito, Tito e nostro, abasso i nemici del popolo, a morte i sabottatori. Si confondevano le urla con le e le canzoni come un uragano senza nome. Scesero gli agenti. Preparatevi, coloro che vengono qua per la seconda volta vengano avanti.

Incominciarono a battere senza scegliere tra gli schiaffi, i pugni le pedate, senza guardare se colpivano il viso, la testa o lo stomaco; avanti voialtri comando l’agente rivolgendosi, al resto. Salimmo le scale ad uno ad uno, ricevendo per buon giorno alla luce del sole, uno schiaffo, un pugno una pedata ed anche piu. A seconda del gusto di chi batteva, a seconda dell’occasione di chi offriva il suo corpo. Scendemmo a terra tutti in fila indiana, nel sole che bruciava gli occhi reso ancor piu abbagliante, dalle roccie che chiudevano l’orizzonte tutto intorno intorno. Roccie sinistre e paurose senza un albero un po di verde.

Era veramente nuda l'isola Goli».