Tele Bonaria

(Cartoline)

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Personaggi

  • Una tivù che trasmette in continuazione vendite promozionali.
  • Una poltrona davanti alla tivù da cui spunta la testa di Uomo.
  • Micio, un gatto.
  • Un imbonitore di televendite.
  • Una segreteria telefonica
  • Un garzone
  • Un postino
  • Un barbone
  • Due religiosi non meglio identificati
  • Uno studente
  • Un ladro

I diversi ruoli sono interpretati da tre attori.

0.
La scena è il soggiorno di una casa piccolo-borghese. Ai muri, chiusi in cornici dozzinali, copie di quadri famosi riprodotti in dimensioni non reali (es.: una Gioconda in formato poster o un Guernica 50 x 70). Alle pareti il mobilio dei primi anni '70. Il centro dello spazio scenico è occupato da un televisore 27 pollici perennemente acceso; davanti vi è una poltrona e un uomo seduto.

1.
Dell'uomo che guarda la tivù si intravede la nuca e nient'altro, però ci è chiaro che non è da solo, Uomo, infatti, parla con il suo gatto.
Dal televisore arrivano le immagini e le voci di una televendita.
Imbonitore, progressivamente ci viene offerto da un'inquadratura di piano americano fino a un primo piano pianissimo chiuso sulla bocca.
In teatro verranno disposti alcuni televisori in modo da consentire la doppia visione della pièce. Per tutta la prima parte una camera fissa inquadrerà il totale dello spazio scenico.
(Finestre esterne e portone potrebbero essere segnate da un filo fosforescente.)

Imbonitore dallo schermo: Signori, la proposta odierna è quanto di più bello e prezioso mai vi sia stato offerto. Consentitemi - che potesse cadermi una mano in questo istante se non dico la verità -, questi orecchini del Nilo in oro puro ventiquattro carati garantiti dalla gioielleria La Dea Kalì, sono appartenuti alla sorella di Cleopatra in persona.
No, no, no. No, no, no. Non prendetemi per matto, ma ciò che vi dico è vero. Cleopatra aveva una sorella minore, alta, bella e bionda come lei, con un naso meno pronunciato, però. E questi, signori miei cari, signori miei belli, sono i suoi orecchini e i suoi anelli. Certificati dalla gioielleria La Dea Kalì e dal museo faraonico di Londra. Certamente!
Questa, teleascoltatori, e perché no, teleascoltatrici, è la firma del professor Laster, Bartholomiu Ronald Percival Laster che certifica come questi gioielli siano stati da lui rinvenuti all'interno del sarcofago della sorella di Cleopatra. Terza piramide vicino al Nilo a destra di Ramsete quarto.

Voce di Uomo (Anche se il tono non denota interesse per la televendita, parla sulle pause di Imbonitore): Hai fame micio? Fra un po' mangeremo.
Ti andrebbe un po' di fegato con cipolline?
Sarebbe meglio un bel topone grosso grosso, eh, micio?

Dal televisore scompare ogni immagine e il suono diventa un fastidioso ronzio, a Uomo cade di mano il telecomando.
Buio.

2.
Micio.
La scena è sempre la stessa. Le sole differenze apprezzabili sono nella luce, che adesso è molto meno diffusa, e nel televisore, che, muto, trasmette immagini sanguinolente: massacri, incidenti stradali, crolli, bambini affamati, bombardamenti, mutilati… Si ode con chiarezza il miagolio del gatto. Lentamente, una zampa dopo l'altra, prima la coda della testa, da dietro la poltrona compare Micio.
Micio è un attore-gatto assolutamente normale, cioè animalesco. Micio, quindi, miagola, si struscia contro la poltrona, gironzola, salta su un mobile, su una cassapanca, cerca un suo spazio e, soprattutto, dimostra di essere affamato. Micio continua i suoi movimenti finché non ritorna accanto alla poltrona e scorge il telecomando della tivù. Lo prende con i denti, ci gioca, lo porta con sé nella postazione sulla cassapanca e lo rosicchia. Lo schermo prende a cambiare repentinamente programmi.

3.
Micio e Garzone.
Entra Garzone spingendo un carrello carico di buste colme di provviste. Arrivato alla immaginata porta di Uomo, Garzone preme l'inesistente campanello. Il campanello suona. Micio lascia cadere il telecomando e la tivù si sintonizza su un programma di varietà invaso da donnine discinte e sculettanti.

Garzone (Ha un lieve accento campidanese): Din don. Din don. E muoviti che non ci sei solo tu al mondo, che ci ho fretta, aiò. Aiò a vedere che torno a suonare che non si sa mai. Din don! Che campanello brutto, o mamma mia. E non se ne poteva mettere uno normale. Driin. Pulito. Drin, drin. No, lui si ha messo questo Din don che sembrano le campane a morto della cattedrale. Din, don. Oi o mamma mia che cosa brutta. Ma non esci? E esci, aiò, che poi don Gavinuccio mi dice che sono mandrone e che non ci ho voglia di lavorare e che me ne sto in giro a conto mio senza badare all'interesse della bottega.
E invece io ci bado all'interesse della bottega. Che se don Gavinuccio chiude, io dove vado? E chi mi vuole a me, a trent'anni, senza nemmeno la terza media, i denti di sotto tutti guasti, la mamma vecchia e ammalata e il babbo lasciamo stare?
Oi o mamma mia, che è dura la vita. Ma io me la prendo con allegria. La terza media non ce l'ho, però so più cose io della vita che un laureato in pedagogia nucleare. Come era quella cosa. Ei! C'è questo che sta attraversando il fiume su un traghetto, no cosa traghetto, su una zattera come quelle dei film di caubòis. Il traghettato è uno tutto lucidato, con la gorbatta e la valigetta ventiquattro ore, e il traghettatore è uno messo male, uno proprio… come me aiò. E quello gli fa: “Tu a lo sai quanto c'è dalla Terra alla Luna?” “E cosa ci può essere, come da qui alla Cina, al Giappone, aiò!” “Ma tu non sai niente, io sì che ne so, che sono laureato in matematica.” Aspetta un poco e poi ricomincia. “E il punto più profondo dell'oceano quanto sarà lungo?" “Dieci chilometri?" “Eh, dieci chilometri, ma non sai proprio niente, tu, io sì che ne so, che sono laureato anche in scienze politiche" E gai andende, che lui era laureato in medicina, in lingue orientali, fisica-psico-nucleare e un mucchio di altre cose che manco m'ammento. A un certo punto, quando erano in mezzo in mezzo al fiume, il traghettatore gli fa: “Ma tu nuotare sai?" E quello gli dice: "Eh, con tutte queste lauree che ho dovuto prendere, non ho trovato mai il tempo di imparare a nuotare." “E vai e impara, vai!" Gli ha detto quello spingendolo a bagno.
Din don, din don. Aió però! Che faccio tardi. (Guardando attraverso l'inesistente finestra e salutando Micio:) Ascò, che cosa me ne frega a me. Io non ci ho tempo da perdere se lui si vuole guardare le donne nude alla televisione, che se le guardi. Io la provvista dei quindici giorni già l'ho portata, il gatto già mi ha visto, perciò… (Scaricando il carrello della spesa:) Ecco qua le scatolette, carne, piselli, fagioli, tonno. Frutta, in scatola. Pane, in scatola anche questo, acqua, latte. Carta igienica. C'è tutto. La prossima volta che torno a nascere mi laureo in filosofia anch'io così mi passo tutto il giorno a guardare le donne nude in televisione. Eh, che bella vita, però. (Esce.)

4.
Micio.
Micio abbandona la sua postazione e, lentamente, dopo aver verificato che dalla poltrona Uomo non dimostra alcun segno d'interesse, va verso i sacchi della spesa e vi comincia a frugare dentro. Ciò che da prima è un gioco si trasforma subito in rabbia. Niente di ciò che è contenuto nei sacchi può essergli utile, da solo non è in grado di aprire nessuna scatola di metallo. Inferocito Micio si avventa su quelle cose, le sparpaglia dappertutto nella stanza finché, nella furia, un vaso cade da un mobile e Micio si precipita a leccare l'acqua che scivola sul pavimento. Buio.

5.
Voci in off.
Squilla il telefono. Al sesto squillo si inserisce la segreteria telefonica.

Voce di Uomo (Filtrata attraverso il nastro di una segreteria telefonica): Risponde il 270109, mi dispiace che abbiate chiamato in questo momento, provate più tardi, se volete, ma non lasciate il messaggio, perché non lo ascolterò.
Voce di donna (Filtrata attraverso il nastro di una segreteria telefonica): Sempre il solito antipatico. (Pausa:) Scusa, non voglio offenderti, e so anche che non dovrei chiamarti affatto. (Pausa:) Però, sono due mesi che non ti fai più vivo. (Pausa più lunga:) Insomma, per il momento non ho una grandissima urgenza dell'assegno mensile. (Pausa. Diventando aggressiva:) Basta! Ti do ancora una settimana e poi ti faccio scrivere dall'avvocato. Non sarò più tua moglie soltanto tra un anno, ricordatelo!

6.
Micio e postino.
Ritorna la luce. La scena è ancora la stessa, scatolette e barattoli sono sparpagliati nella stanza, solo i cartoni del latte sono messi in bell'ordine, uno è squarciato e Micio finisce di leccarlo, poi va a giocare col telecomando del televisore. Nello schermo si susseguono inutilmente i programmi, finché il telecomando non ricade pesantemente sul pavimento e il televisore si oscura. Entra Postino, anche lui arriva fino all'immaginato portone di Uomo e suona il campanello.

Postino: Din don. Che bel suono ha questo campanello. Da casa signorile. Davvero. E poi si vede bene che questa è la casa di una persona come si deve. Guarda che cosa tutto riceve. (Prende a togliere dalla borsa ogni cosa che nomina:) Un mensile di cinema, un settimanale di politica e cultura, un bimestrale di diritto pubblico, un quindicinale di didattica. E guarda i mittenti delle lettere: università di Venezia, istituto Giovanni Pellicano di Padova, università di Catanzaro, Scuola Normale di Siena. C'è poco da dire, quando la persona c'è: c'è e si vede. (Suona ancora al campanello:) Din don. Veramente di classe queste campane. Ma perché non viene ad aprire? (Mimando una riverenza:) Professore, ecco la posta per lei, complimenti e omaggi alla signora.
No, alla signora no che sono separati, mi pare. E complimenti per che cosa? Per la posta che riceve? Magari si offende. Niente complimenti, gli porgo il pacco e saluto con sorriso d'intesa. Sempre che venga ad aprire. Io suono di nuovo. Din don. (Nessuno gli apre e così va a vedere in casa dalla finestra che non c'è:) Strano che non venga ad aprire. Guarda che casino che c'è? E il gatto! Guardalo lì, sembra lui il padrone. (A Micio:) Vai a chiamare il professore. Forza! Vallo a chiamare, digli che c'è il signore della posta. Su, vai!
Sto diventando matto. Parlo col gatto, adesso. (Sprezzante prende a lasciar cadere un plico dietro l'altro in un'immaginaria buca per le lettere:) Ma che mi importa se non viene ad aprire? Università di Venezia, giù! Istituto Giovanni Pellicano di Padova, via! Scuola Normale di Siena. Mensile di cinema ed arte varia. Settimanale di politica e cultura. Via tutto, giù! Sarà pure intellettuale, questo qui, ma come tiene la casa! (Esce.)

7.
Micio, Imbonitore e voci in off.
Micio salta sulla posta e ci gioca. Prima sembra divertirsi poi, come in un crescendo musicale, si accanisce contro tutta quella carta e la ferisce, la sbrana, la riduce a brandelli. La rivolta gattesca viene interrotta dalla tivù. Nello schermo compaiono immagini solari. Sono enormi cartoline di paesaggi sardi che si susseguono su un sottofondo musicale fatto di rumori di vento, di foglie, di sabbia e di mare che confluiscono in un coro gutturale di canto a Tenores. Micio è come ipnotizzato dalle immagini, prima che il televisore annunci di che programma si tratti, raggiunge la poltrona e si accovaccia su uno dei braccioli. Questa volta Imbonitore verrà sempre inquadrato a persona intera e la sua figura fluttuerà fra le immagini delle diverse cartoline.

Imbonitore dallo schermo: Tele Bonaria, la tivù dei sardi. Sottoscrivi un'azione di Tele Bonaria, aiuterai la Sardegna a crescere. Tele Bonaria è il futuro. Compra le azioni di Tele Bonaria. (Pausa e ripresa del tema musicale:) Trasmettiamo: “Cartoline dalla Sardegna, visioni di un mondo che ancora c'è". (Pausa e ripresa del tema musicale:) Tele Bonaria, la tivù dei sardi. Con una sola azione acquistata da ognuno di voi riusciremo a fare una grande televisione. Abbiate fiducia nel nostro grande progetto, acquistate più azioni della nostra tivù, la vostra tivù. (Pausa e ripresa del tema musicale:) Trasmettiamo: “Cartoline dalla Sardegna", visioni di un mondo che ancora c'è. (Pausa e ripresa del tema musicale:) Tele Bonaria, la tivù dei sardi. Vi abbiamo chiesto di comprare una nostra azione, abbiamo chiesto la vostra fiducia e noi premiamo chi ha fiducia in noi. Ogni venti minuti sceglieremo a caso un numero telefonico da una delle quattro provincie sarde, se il fortunato avrà già acquistato anche una sola delle azioni di Tele Bonaria, vincerà un bonus di venti milioni. Signorina, mi dia la linea.

Squilla il telefono. Micio salta giù dalla poltrona, va verso il telefono e si mette in attesa. Il telefono continua a squillare. Improvvisamente da dietro il televisore sbuca fuori Imbonitore in persona, il quale incita Micio affinché prenda il telefono. Micio salta e fa cadere l'apparecchio. Imbonitore parlerà contemporaneamente da dentro e da fuori lo schermo.

Imbonitore: Buongiorno signora, siamo di Tele Bonaria, la tivù dei sardi, come sta?
Voce di donna: Ci sei?

Micio è sempre più affascinato dalle parole di Imbonitore. Prima ritorna sul bracciolo della poltrona e poi scompare lasciando cadere penzoloni la coda dalla spalliera.

Imbonitore: Le piacciono le nostre “Cartoline dalla Sardegna, visioni di un mondo che ancora c'è"?
Voce di donna: Perché non mi rispondi? Ho parlato con l'avvocato.
Imbonitore: Non ha ancora visto il nostro programma? Signora mia, ma che cosa mi combina?
Voce di donna: Lo so che ci sei, ma perché non ti fai più vivo, almeno con la bambina? Lei chiede sempre di te.
Imbonitore: Quindi nemmeno ha acquistato almeno una nostra azione? Una azione di Tele Bonaria.
Voce di donna: Parlami, ti prego, non li voglio i tuoi soldi, ma parlami, per favore.
Imbonitore: Signora, lei ha perso venti milioni. Corra a comprare le azioni di Tele Bonaria, e chissà che non sia più fortunata la prossima volta.
Voce di donna: Ti odio, ti odio, tu e la tua mania di non spegnere mai la televisione.
Imbonitore: Arrivederci, signora. Tante cose. E ricordate. Comprate le azioni di Tele Bonaria. La televisione dei sardi.

Riparte il tema musicale. Buio

8.
Postino.
Al ritorno della luce la scena non è cambiata, la stanza è un caos di scatolette sparse e giornali stracciati. Uomo e il gatto sono scomparsi dietro la poltrona e di Micio si vede solamente la coda. Lo schermo continua a trasmettere “Cartoline dalla Sardegna” e Imbonitore continua ad essere una figurina a corpo intero fluttuante nello spazio televisivo.
Da questo momento i televisori in sala cambiano inquadratura e ritrasmettono fedelmente le stesse immagini del televisore sul palco. Entra Postino.

Postino: Nemmeno fosse morto, questo disgraziato. Ogni giorno continua a ricevere posta dalle università di mezzo mondo e lui che fa? Dà tutto al gatto perché ci si affili le unghie. Intellettuale di merda! E questo campanello? Di don. Lugubre! Ma un bel trillo da famiglia media non poteva metterselo anche lui? Drin, drin. No, lui è un intellettuale. E certo! Din don. Ma che suono a fare? Io nemmeno gliele metto dentro la buca ste riviste. Le lascio qui sul portone. Almeno qualcuno le leggerà. Non li sopporto più sti intellettuali del… Ma poi, cos'è che fa? Guarda la televisione. Ma guardasse almeno un programma intelligente, macché, cartoline. Guarda le cartoline, lui. Ma va' da' via il c… (Esce.)

9.
Barbone e Garzone.
Entra Barbone. Suo malgrado viene attratto dalle riviste e, prima di prenderle, osserva la casa di Uomo; la osserva da una finestra e poi dall'altra, origlia dalla porta e poi decide, prende le riviste scartando le lettere. Li libera dal cellofan e, disponendole acconciamente, si prepara un soffice materasso. Con quelle che sono rimaste si fabbrica una coperta. Si mette a dormire.
Entra Garzone con il solito carrello.

Garzone: Non vedi che casino, oh! Io già glielo detto a don Gavinuccio. Quel professore mi sembra tutto matto, a me. Se ne sta tutto il giorno a televisione accesa, giocando col gatto, e non pulisce mai la casa. Non vedi che bordello. Boh, boh! E don Gavinuccio. “Non ti mettere in conti che non sono tuoi, il professore mi ha dato due milioni in anticipo. Ogni quindici giorni mi faccia recapitare i seguenti alimenti e fra sei mesi verificheremo il saldo. Così mi ha detto e così facciamo.”
Boh, boh, don Gavinù, se non avesse già pagato io farei venire i pompieri e, con una bella innaffiata laverei tutto quanto, e non senti che puzza! E poi, din don, fosse venuto ad aprire almeno una volta. Din don. Che campanello brutto, o mamma mia. Ascò, io lascio tutto qua e me ne vado. E che cosa me ne fotte. (Scarica i pacchetti davanti alla porta. A Barbone che ancora dorme:) E tu non toccare niente, mi'!, che questa è roba del signore di lì dentro che si sta guardando la televisione. Che se mi chiamano a me quelli di Tele Bonaria divento ricco, che ne ho comprato cinque di azioni della televisione dei sardi. Cinque per cinque venticinque, cento milioni mi toccano se mi telefonano. (Uscendo:) Non toccare nulla mi'!, che è tutto pagato. E poi, anche se si mangia tutto lui, a me che cosa me ne fotte? E mànnigadi totu tue, chi ti faghet bene. (Esce.)

10.
Barbone e Religiosi.
Barbone si alza dal suo letto e rovista tra i pacchi del supermercato. Prende il pane, il latte e il vino. Con calma apre i tre pacchi e poi mastica il pane e beve prima il latte e poi il vino. Entrano due Religiosi con tanto di borsa in finta pelle. Ignorano Barbone e si mettono ad osservano dalla finestra e suonano al campanello. Barbone, invece, intanto che continua a nutrirsi li osserva incuriosito.

Religioso 1: Din don.
Religioso 2: Din don.
Religioso 1: Sono Matteo.
Religioso 2: E io sono Giovanni.
Religioso 1: Ti vogliamo bene.
Religioso 2: Siamo venuti a parlarti dell'amore.
Religioso 1: Regalaci un minuto del tuo prezioso tempo.
Religioso 2: Ascoltaci uomo.
Religioso 1: Din don.
Religioso 2: Din don.
Religioso 1: Noi ti vogliamo bene.
Religioso 2: Siamo con te.
Religioso 1: Non ucciderti l'anima, uomo.
Religioso 2: Ascolta la voce del Signore.
Religioso 1: Aprici la tua porta.
Religioso 2: Apri a noi il tuo cuore.
Religioso 1: Din don.
Religioso 2: Din don.
Religioso 1: Sappiamo che ci sei.
Religioso 2: Spegni quello schermo infernale e ascoltaci.
Religioso 1: Ascolta il tuo cuore e vieni a noi.
Religioso 2: Lasciaci entrare. Apriti alla fede.
Religioso 1: Rinuncia alle false luci della ribalta.
Religioso 2: Spegni lo schermo del buio.
Religioso 1: Apri gli occhi alla vera luce.
Religioso 1: Din don.
Religioso 2: Din don.

I due Religiosi sembrano essersi arresi. Finalmente si accorgono di Barbone, però non vanno diretti verso di lui, sono dubbiosi. Barbone offre loro il pane. I Religiosi si guardano. Barbone offre loro il latte. I Religiosi stanno per accettare. Barbone offre loro il vino. I Religiosi vanno via schifati. Sono usciti. Religioso 2 però torna indietro e suona un'ultima volta il campanello. Entra Religioso 1 e lo trascina via. Escono. Le luci si affievoliscono, è notte.

11.
Barbone, Ladro e Studente.
Barbone si ricopre per bene e si mette a dormire. Entra Ladro mascherato da mimo-diabolico. È armato di torcia elettrica e chiavi. È un ladro disastroso e sembra preoccupato della possibile reazione di Barbone, ma quello, al contrario, non solo non lo disturba, ma, a gesti, gli suggerisce quale chiave usare per scassinare la porta. Finalmente Ladro è riuscito ad entrare. Scompare.
Entra Studente, sembra affranto. Va a sedersi alla porta.

Studente (A Barbone): Te ne freghi tu, che non devi rendere conto a nessuno. Niente famiglia, niente lavoro, niente soldi, ma niente obblighi. Io invece, non ho lavoro, non ho soldi, ho una famiglia che non vorrei e sono pieno di obblighi.

Barbone gli offre il pane e Studente rifiuta. Poi il latte e infine il vino. Studente apprezza e Barbone va a sedersi accanto a lui. Uno dopo l'altro bevono dallo stesso cartone di vino.

Studente: Perché sono venuto proprio qui ad ubriacarmi? Perché questa è la casa del mio professore di liceo. Lo so che al liceo non c'è un solo professore. Ma per me lui era unico, il solo che mi capisse e che io capissi. Capisci? (Pausa bevuta:) Con lui sembrava quasi di non essere a scuola, ma in un bar, o in un giardino, al mare. Non avevi mai la sensazione di stare a studiare, con lui. Un drago, davvero. (Pausa bevuta:) Come insegnava lui non puoi nemmeno immaginarlo. Era amato da tutti. Poi, un giorno. Puf! Scomparso. Non è più venuto a scuola. (Pausa bevuta:) C'è chi dice che sia partito. Chi dice che si sia esaurito per colpa della moglie. Chi dice che sia chiuso a casa a scrivere il libro della vita. Chi dice che sia uno stronzo. (Pausa bevuta:) Già, quell'imbecille della supplente. Una bionda ossigenata che viene a scuola in minigonna e stivali. Dice che il professore non ci aveva insegnato nulla e che lei deve farsi un culo così dettandoci i suoi appunti dell'università. (Pausa bevuta:) Io so solo che senza di lui non ho più voglia di andarci, a scuola, e tutto mi va storto; con la mia ragazza, con i miei genitori, con gli amici, con la scuola. (Batte un colpo alla porta:) Professore! (Batte ancora:) Professore, professore, professore!

Studente e Barbone si alzano in piedi e battono con sempre più forza alla porta di Uomo. Improvvisamente, dall'interno della casa, spaventatissimo, Ladro si avvicina alla finestra e cerca di aprirla. Non ci riesce. Anche Ladro batte alla finestra. Studente e Barbone battono per entrare e Ladro batte per uscire. Finché un assordante fragore di vetri rotti chiude la scena. Buio.

12.
Attori e voci in off.
I televisori in sala cominciano a trasmettere una normale sequenza di telegiornale. Imbonitore-Speaker che annuncia da studio e Imbonitore-Intervistatore che fa il servizio facendo parlare i presunti testimoni: Studente, Barbone, Ladro, Postino, Garzone.

Imbonitore-Speaker (Dal video): L'uomo della tivù. Così lo hanno definito i giornali. Sei mesi davanti al televisore ininterrottamente, ma era morto. Mandiamo in onda il servizio.
Imbonitore-Intervistatore (Dal video): Grazie studio. Come hai appena detto, un uomo viene colpito da infarto mentre guarda la tivù e questa rimane accesa per sei mesi davanti a lui. Un record, crediamo. Anche perché, se non fosse stato per un ladruncolo che si era introdotto in casa proprio per rubare quel televisore, nessuno si sarebbe accorto di nulla chissà per quanto tempo ancora. Ma sentiamo i vicini che non si erano accorti nulla.

Un po' intervistati e un po' in fermo immagine passano sullo schermo i volti di tutti i protagonisti. Si dicono cose senza senso che non è necessario trascrivere. Intanto che tutto ciò scorre negli schermi, sul palco si accendono le luci di servizio. I tre attori, intanto che si struccano, sono entrati per smontare le scene. Portano via la poltrona. Raccattano carta e barattoli. Portano via il televisore. Uno di loro rimette la cornetta del telefono a posto. Il telefono squilla. L'attore sembra sorpreso, poi chiama gli altri e, dopo qualche altro squillo alzano la cornetta.

Voce di donna: Sono sei mesi che non ti fai più vivo. Perché? (Pausa:) Lo so bene che non devo più considerarmi tua. (Pausa:) No, no! Non è per denaro che ho bisogno di te. (Pausa più lunga:) Io ti amo, ti amo, ti amo!

Cala il sipario, nei televisori in sala passano i titoli di coda.

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