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Talianu

LINGUA E SUCETA: U BUNIFAZIINCU

Un isolotto linguistico ligure in Corsica : Bonifacio

Quando arriva un Genovese a Bonifacio, piccola città alla punta sud della Corsica, rimane stupito accorgendosi che capisce quasi tutto quello che dicono i Bonifacini quando parlano il loro dialetto. E passeggiando per le vie strette della vecchia cittadella ha l’impressione di risalire nel tempo con quelle risonanze degli accenti antichi in cui si riconoscono le origini liguri.
Per quanto riguarda il Corso delle altre parti dell’isola, esso trova a Bonifacio uno spaesamento linguistico che gli fà dubitare della « corsità » del luogo. Così, a Bonifacio, l’abitante di Genova si sente in casa sua più del Corso isolano.


Un po’ di storia.

Prima dei Genovesi erano arrivati i Pisani che si videro affidare la Corsica da papa Urbano II, nel 1092. I Pisani furono i padroni di quello che era un « castrum » sulla parte più protetta e più alta di un promontorio calcareo, fondato - così si dice - da Bonifacio II conte di Toscana.
Nel 1195 vi giunsero i Genovesi con le loro famiglie : stabilirono a Bonifacio una repubblica autonoma, dotata perfino di una propria moneta e fortificata con una cinta muraria lunga 3 chilometri.
Durante sette secoli Bonifacio girò le spalle al resto della Corsica, vivendo con i suoi privilegi assicurati dalla Serenissima ; privilegi politici, economici e sociali non acconsentiti alle altre città corse.
Così fino al 1769, anno in cui la Corsica divenne francese. Anno nero per i patrioti di Pasquale Paoli che combattevano per l’indipendenza dell’isola, ma anche per Bonifacio che perdeva tutti i suoi privilegi.
Del periodo genovese rimangono, oltre le grandi famiglie, l’impianto architettonico, le tradizioni gastronomiche e …la lingua.

Rimane sempre impressa nelle memorie l’ostilità dei Corsi riguardo la presenza genovese in Corsica, e la storia ricorda un certo Brandolacciu che, nel cuore del secolo XV, faceva la caccia ai Genovesi per liberare la sua isola. Quando Brandolacciu afferrava un uomo sospettato di essere genovese, gli faceva vedere una capra e gli chiedeva che cosa fosse ; la risposta « capra » salvava quell’uomo, la risposta « crava » lo condannava a morte.
Se fosse sempre vivo oggi quel Brandolacciu carnefice, sarebbero condannati a morte tutti i Bonifacini perché tutti continuano a dire « crava ».
A questo punto si capisce l’importanza che può rivestire una lingua nella caratterizzazione degli individui. Per i Bonifacini il ligure è rimasto oggi un elemento importantissimo della propria identità.

Un’isola nell’isola.

È diventato ormai noto che Bonifacio rappresenta un’entità originale in Corsica, questo per diversi motivi : geologico perché il luogo é calcareo quando il resto della Corsica é granitico o scistoso ; geografico perché il suo lungo fiordo lo fa assomigliare ad un paesaggio nordico ; storico perché la città é rimasta in margine della storia generale della Corsica durante sette secoli ; culturale e linguistico perché Bonifacio ha coltivato le proprie tradizioni e una lingua che i Corsi non condividono.
Tutto ciò spiega perché Bonifacio rappresenta il sito turistico più visitato in Corsica le quali caratteristiche ne fanno « un’isola nell’isola » secondo un’espressione diventata comune.


Dal punto di vista linguistico.

Sono già molti anni che la lingua dei Bonifacini interessa gli studiosi.
Dal punto di vista dei romanisti sarà il primo G. Bertoni, nel 1915, ad osservare i tratti più salienti della parlata bonifacina e a scrivere : « La conclusione a cui siamo pervenuti in queste nostre poche linee che, cioè, Bonifacio sia una colonia genovese ». Poi verranno G. Bottiglioni, G. Rohlfs, W. von Wartburg, J.P. Dalbera.
Più vicino a noi una descrizione più completa é stata proposta da me stesso.

Le differenze con il corso e l’italiano sono numerose e toccano molti dominii linguistici.

Dominio fonetico e fonologico.

Il vocalismo.

Come nel genovese si può sentire il suono (scritto ü) continuatore della U lunga latina : üga (uva), lüna (luna), maüru (maturo), frütu (frutto), brütu (brutto), sigüru (sicuro)…
Si nota che la U breve latina rimane come nel corso del sud, quando diventa in italiano : bon. musca, puzzu, vurpi, furnu ; cors. sud musca, puzzu, vulpi, furru ; ita. mosca, pozzo, volpe, forno.

Un’altra evoluzione particolare con la trasformazione della E breve latina in : lectus > litu, pectus > pitu, rastellus > rastilu, pellis > pili, pedis > pia, pecora > pigura, mediu > mizu.
Il corso e l’italiano mantengono il suono : lettu, pettu, resteddu, peddi, pedi, pecura, mezu per il corso ; letto, petto, restello, pelle, piede (col dittongo), mezzo.

Dittongazione della O breve latina che diventa in sillaba aperta quanto in sillaba chiusa : focus > fiogu, locus > liogu, scholam > schiora, ovu > iovu, nocte > nioti, somnum > sionu, coctus > chiotu.
Differenza importante con l’italiano che introduce la dittongazione soltanto in sillaba aperta : fuoco, luogo, scuola, uovo ; ma notte, sonno, cotto.
Il corso non ammette dittongazione : focu, locu, scola, ovu, notti, sonnu, cottu.

La O lunga latina diventa : vocem > vusgi, forma > furma, hora >ura, colorem > curù, bonus > bun, longus > lungu.
In corso si ritrova sempre : voci, forma, ora, culori, bonu, longu ; quando l’italiano presenta sbocchi diversi : voce, forma, ora, colore, buono, lungo.

Il consonantismo.

* Le palatalizzazioni.

Le sequenze latine CL - PL - TL diventano : pluma > ciüma, plumbu > ciungiu, plenus > cin, pluere > ciovi, vet(u)lus > veciu, clavem > ciavi
Rispettivamente in corso e italiano : piuma, piumbu, pienu, piova, vechju, chjavi ; piuma, piombo, pieno, piovere, vecchio, chiave .

Un’altra evoluzione di CL raggiunge quelle di LI o LE per diventare : oc(u)lus > iogiu, auric(u)la > oregia, spic(u)lum > spigiu, familia > famigia, palea > pagia, muliere > mugia, taleare > tagià.
Il corso propone : ochju, arichji, spichju, famidda, padda, mudderi, taddà ; quando l’italiano presenta : occhio, orecchio, specchio, famiglia, paglia, moglie, tagliare.

* La sonorizzazione.

Le consonanti sorde latine diventano rispettivamente .
> : fiogu, liogu, amigu, egua, sigüru (corso : focu, locu, amicu, acqua, sicuru ; italiano : fuoco, luogo, amico, acqua, sicuro) ;
> : cavu, caveli, nivu, crava, tevidu, savé (corso : capu, capiddi, nipoti, capra, tepidu, sapè ; italiano : capo, capelli, nipote, capra, tiepido, sapere).

Ma si può anche passare da una sonora ad un’altra sonora con cambiamento di categoria, dall’occlusiva alla fricativa : fabam > fava, bibere > bevi, diabolum > diavuru.

* Disparizione di T e D etimologiche in posizione intervocalica.

Si tratta d’un fenomeno generalizzato in ligure con alto valore identitario : maturu > maüru, piscatorem > piscaù, seta >seia, natare > nüà, cauda > cua, ridere > rii, crudu > crüu, medicus > migu.
Corso : maturu, piscatori, seta, natà, coda, rida, crudu, medicu.
Italiano : maturo, pescatore, seta, nuotare, coda, ridere, crudo, medico.

* Il rotacismo.

La trasformazione della liquida in in posizione intervocalica (ma anche in sillaba chiusa) rappresenta un tratto importante dell’identità linguistica del bonifacino, come d’altronde del ligure.
Gulam > gura, oliva > oriva, tegulam > tigura, velum > vera, pilum > piru, pala > para, malum > meru, melo > mirun, male habitus > marotu, falsu > farzu, vulpe > vurpi
Corso : gula, aliva, tegula, vela, pilu, pala, mela, miloni, malatu, falzu, vulpi.
Italiano : gola, oliva, tegola, vela, pelo, pala, mela, melone, malato, falso, volpe.

* La metatesi.

Rinforzata dalla sonorizzazione, la metatesi é un elemento potente d’identità linguistica (cf. Brandolacciu) :
capram > crava, cooperire > crovi, aperire > avri, febrim > friva, februarim > frivà, corvum > crovu
Corso : capra, copra, apra, frebba, friaghju, corbu.
Italiano : capra, coprire, aprire, febbre, febbraio, corvo.

* La nasalizzazione.

Alla differenza del corso e dell’italiano, il bonifacino mostra il carattere pertinente della nasalizzazione :
(paio) - pan (pane) ; (sole) - sun (sono) ; (mare) - man (mano).

Aldilà della pertinenza fonologica della nasalizzazione, esistono moltissime forme bonifacine con finale nasalizzate che non sono ammesse dall’italiano come dal corso : vin, pan, can, man, chezzun, barcun, grotun, patacun, mazzacan, camin, duman, azimin, scarin, spin, fen, ben, lizziun, benedizziun, ragiun, trun…

* La tensione.

Un’altra particolarità fonologica importante si trova nell’assenza di consonanti tese. Differenza maggiore con il corso e l’italiano in cui la tensione consonantica assicura una funzione distintiva (fatta - fata ; rosso - roso, sonno - sono …). Particolarità che si spiega con lo scivolamento delle tese latine che diventano non tese, e le non tese che s’indeboliscono passando da sorde a sonore o con disparizione completa delle sonore etimologiche.


Il lessico.

Il fondo lessicale bonifacino rimane latino come quello delle altre lingue romanze. Esistono comunque alcune forme particolari, diverse dall’italiano e considerate in corso, per via delle somiglianze, come imprestiti liguri :
Bonifacino : carugiu, missià, minà, spigeti, cariga, scagnu, catüciu, masca, bancarà, brandà.
Corso : carrughju, missiavu, minnanna, spichjetti, carrega, scagnu, cattucciu, masca, bancalaru, brandali.
Italiano : via, nonno, nonna, occhiali, sedia, scrivanìa, catino, guancia, falegname, treppiede.


Ecco in poche parole alcune particolarità salienti del bonifacino che rimane, agli occhi di tutti quelli che si sono interessati a questo strano dialetto parlato in Corsica, una varietà linguistica del ligure genovese.

Oggi sono pochi i Bonifacini che parlano il ligure. In assenza di studi statistici non si sa esattamente quanti siano i locutori, ma l’osservazione empirica ci permette di rilevare che il dialetto lo parlano le generazioni anziane quando le più giovani sono di lingua materna francese.
Lo statuto debole di lingua dominata, dietro al francese ed al corso insegnate a scuola, fa temere una prossima e sicura sparizione del bonifacino. Lo rimpiangono i Bonifacini ma il peso della diglossia é troppo forte per dare al dialetto lo slancio vitale che lo potrebbe salvare.
Le lingue dette « regionali » in Francia sono insegnate fin dal 1951. Il bonifacino non é mai stato riconosciuto come lingua regionale di Francia e non ha mai beneficiato della legge che ne gestisce l’insegnamento.
É nata da qualche tempo un’associazione chiamata « Dì ghi di scé » (Digli di sí) il cui scopo sarebbe di valorizzare, promuovere e provare a salvare il patrimonio culturale e linguistico di Bonifacio.
Il destino della lingua rimane comunque incerto, a meno che sia promossa, nel quadro europeo, una politica linguistica forte a favore delle lingue minorizzate (per esempio il ligure, in Italia). Si potrebbe allora sperare che il ligure parlato nelle isole del Mediterraneo approfitti della vitalità nuova della lingua madre.