Dumande-riposte cun Lino ANGIULI

Lino ANGIULI

Lino ANGIULI

A storia di l’unità linguistica in Italia è in Francia ùn hè micca stata listessa. A cunsequenza hè chì nantu à u territoriu francese a parolla “dialettu” hà una cunnutazione peghjurativu chì ùn pare micca ch’ella esisti in Italia duve u dialettu in una certa misura si acconcia cù a lingua. Caratterizate, per piacè, u dialettu ch’è vo usate di quandu in quandu in a vostra puesia? Di chì varietà linguistica si tratta è cumu l’avete amparata?

La mia vita è nata in/dal dialetto; ancora oggi, dopo più di mezzo secolo di italianizzazione, la mia mente pensa e vive in dialetto. È una lingua piena di corporeità che sento ancora capace di parlare dei massimi e minimi sistemi (vita, morte, lavoro, amore) per cui ha ancora pieno diritto di cittadinanza nella comunicazione sociale. La mia parlata rientra nella numerosa e ricca famiglia dei dialetti presenti nel meridione d’Italia. In particolare, considerato che la Puglia ha avuto a che fare con numerose civiltà, essa trasporta nel suo profondo ventre suoni e atmosfere densamente intrisi di mediterraneità. La nostra è veramente un’enorme ricchezza linguistica da valorizzare come bene culturale e fonte di riferimento identitario (dinamico non rigido). Un solo esempio: nell’ambito della Terra di Bari, nel giro di circa cinquanta kilometri, per dire “le olive”, si dice i ligghie (a Monopoli, dove vivo), i ghü (Polignano a Mare, ad appena sette kilometri), le uì (Valenzano, dove sono nato), r’aloive (Bitonto). Da questo punto di vista una lingua nazionale era necessaria, ma questo non vuol dire che bisogna uccidere i dialetti, esseri viventi come gli animali, le piante, gli uomini.

Fate un usu alternatu di u talianu è di u dialettu in a vostra scrittura puetica. Chì rapresenta per voi l’intervenzione episodica di u dialettu è chì significatu literariu attribuite à issa presenza simultanea di a lingua è di u dialettu?

In letteratura io sono bilingue, non solo perché scrivo poesie in lingua italiana e dialettale, ma anche perché cerco di italianizzare il dialetto e dialettizzare l’italiano, in modo tale che le due lingue imparino a stare insieme e a non sentirsi antagoniste. Per la verità, all’inizio usavo il dialetto come strumento oppositivo nei confronti dell’omologazione culturale, per dimostrare che ogni lingua ha una sua dignità e una sua capacità estetica, ma da qualche anno non lo uso più contro ma con l’italiano: due lingue che devono trovare un modo di convivere pacificamente per poter andare incontro a tutte le altre lingue. Per quanto riguarda la sua utilizzazione poetica, mi rendo conto che la mia parlata non è nata per l’occhio ma per l’orecchio: per questo sento di tradirla quando la trasporto sulla pagina letteraria. Ma lei sa che le voglio bene e che lo faccio a fin di bene.