SU RE MARTINU
Teatru
Su re Martinu giòvanu giòvanu
Quadri di battaglia
Testo del 2004 scritto su sollecitazione di Mariano Corda
Personaggi:
MARTINU
MARTINU MANNU
GUGLIELMO
GIUDICI:
1
2
3
4
ALBERO
TORRE
VASCELLI:
1
2
3
4
VESCOVO
MAESTRO D’ARMI
DAME
CAVALIERI
La scena potrebbe svolgersi realmente in luoghi e spazi analoghi a quelli evocati durante la narrazione dei fatti, quindi un allestimento secondo i canoni del teatro di strada, oppure un allestimento tradizionale con fondali dipinti e soldati e cavalli rappresentati in effigie.
Gli attori vestiranno ingombranti costumi ispirati ai lussi della Firenze risorgimentale oppure, nell’ipotesi di un allestimento “realistico”, saranno gegants e caps grossos ispirati alla tradizione popolare ispanica: colossali figure di cartapesta evocanti re, regine e cortigiani, e buffi testoni montati su corpi che la sproporzione rende esili.
Nel caso dell’allestimento itinerante l’ingresso in ogni stazione sarà indicato da grandi pannelli raffiguranti la mappa dei possedimenti catalani nei primi del ‘400, quindi una carta dell’Europa Mediterranea con evidenziati le “Terre sotto il dominio catalano all’epoca di Sa Batalla”: l’Aragona, la Catalogna, il Paese Valenciano, le Isole Baleari, la Sardegna e la Sicilia, con l’unica variabile della scritta “voi siete qui”. Optando per la rappresentazione da palcoscenico potrebbero, di volta in volta, calare fondali, o chiudersi un serie di tende, raffiguranti la stessa mappa con l’indicazione: “voi siete qui”.
1. La Corte a Palermo
Gigantesco, MARTINU siede sul trono, sotto di lui principi e principesse.
È in corso di svolgimento un torneo cavalleresco. Prima sfilano i cavalli esibendosi in complicate e coloratissime coreografie, poi è il turno delle sfide.
Un cavaliere invia il proprio paggio a deporre le insegne ai piedi del re. Il MAESTRO D’ARMI prende il rotolo che vi è allegato e, dopo aver guadagnato il centro della scena, lo legge a gran voce.
MAESTRO D’ARMI: Vostra maestà, il principe Gualtiero Di Colledelpoggio Della Guerardesca chiede licenza a lanciare la propria sfida.
MARTINU non risponde e il suo silenzio viene inteso come un’approvazione. La folla dei presenti esulta.
MAESTRO D’ARMI: Il principe Gualtiero, insieme a suo cugino Baldo Di Colledelpoggio e suo nipote Marco Della Guerardesca sfida in campo aperto, alla lancia e alla spada, altri cavalieri suoi pari.
La folla esulta. Altri due cavalieri si affiancano al primo e mentre altri tre si mettono loro di fronte in segno di accettazione l’entusiasmo popolare aumenta. Il MAESTRO D’ARMI, fa segno che la sfida può avere il via e la folla ammutolisce. L’uomo ritorna ai piedi del re e i sei cavalieri, tre per parte, si dispongono ai due estremi della scena, lancia in resta, pronti a dare l’assalto.
Dopo il primo assalto tre uomini e tre cavalli rimangono a terra, due sfidanti e un attaccante. Come in una assurda partita di tennis, soldati “raccattapalle” entrano in campo per portare via i cavalli morti. Intanto uno degli sfidanti si rialza e va a controllare lo stato di salute del suo corrispettivo. Considerato che non è ancora morto fa per infilargli la spada alla gola. In quel mentre uno degli attaccanti parte al galoppo e d’un colpo gli spicca il testone. La folla dei principi grida allegramente inorridita. Il MAESTRO D’ARMI entra in campo per fermare il gioco e dare il tempo ai raccattapalle di portare via i cadaveri. Poi riprende la sfida, due contro uno. Il cavaliere rimasto solo viene disarcionato dopo il primo assalto e poi ridotto a brandelli. La folla esulta. I due cavalieri vincitori vanno a salutare il re e scoppia l’applauso fragoroso della Corte. Finalmente il MAESTRO D’ARMI si porta al centro e legge il verdetto.
MAESTRO D’ARMI: I cavalieri della famiglia Colledelpoggio Guerardesca hanno vinto onestamente la battaglia e dispongono quanto segue: le armi, le parti d’armatura e i cavalli ancora utili sono di proprietà di Gualtiero di Baldo e del figlio maggiore di Marco, i cavalli uccisi e da uccidere verranno macellati a favore dei loro paggi mentre i cadaveri dei nobili avversi verranno restituiti alle loro famiglie previo pagamento del giusto riscatto stabilito dai giudici del torneo reale. Mentre Marco della Guerardesca sia dichiarato eroe di guerra e sepolto in cattedrale. Così sia.
I due cavalieri escono seguiti da tutta la Corte; per ultimo esce MARTINU. Ognuno dei personaggi, esattamente come nelle processioni di Gegants in Spagna, o nelle sagre in costume in Sardegna, si muove caricando all’inverosimile il senso della sfilata di moda.
2. La Corte a Barcellona
MARTINU MANNU, altrettanto gigantesco quanto il figlio attende agli affari di stato insieme a quattro giudici dagli enormi testoni disposti intorno a lui a formare un quadrato.
GIUDICE 1.: Vostra maestà, io parlo a nome del regno di València che rappresento, e trattare con i sardi d’Arborea che hanno tradito la loro stessa famiglia sarebbe segno di grande debolezza.
GIUDICE 2.: Anche a noi delle isole Baleari non conviene che si possa pensare che chiunque abbia le borse del denaro pesanti e riesca a comprare parentele inesistenti abbia il diritto di opporsi al volere del re. Il visconte di Narbona non può accampare nessun diritto sulle terre che il padre di sua nonna già aveva perdute.
GIUDICE 3.: Per noi siciliani non sarebbe un grosso problema, dopo tutto si tratta di scaramucce che coinvolgono terre che si affacciano sul mare di Sardegna, troppo lontane dalle nostre coste.
GIUDICE 4.: Che dite, giudice?, adesso si tratta di scaramucce, ma se non le sediamo sul nascere, rischiamo di trasformarle nuovamente in una guerra; e Dio non voglia, la Sardegna ritornerebbe a dividersi smembrata tra i ladri di Pisa e di Genova. Mentre oggi appartiene a se stessa e a un solo re. Voi, re Martino primo, re d’Aragona.
GIUDICE 1.: Lo avete udito voi stesso, maestà, sono gli stessi sardi a chiederlo, dobbiamo correre in loro aiuto e liberarli dal rischio di cadere ancora nelle mani di popoli stranieri e mercenari. Fu lo stesso Dio attraverso il Pontefice suo rappresentante in Terra a darvi per sempre quel regno, ed è vostro preciso compito custodirlo e conservarlo per il suo e per il vostro stesso bene.
GIUDICE 2.: Concordo pienamente, con li giudice di València, Maestà, sediamo sul nascere questa piccola rivolta, prima che divenga una guerra.
GIUDICE 3.: E sia, andiamo in Sardegna a fermare i rivoltosi.
GIUDICE 4.: Vi prego, maestà, mandate al più presto un esercito che possa fermare sul nascere la rivolta degli Arborea di Narbona, prima che sia troppo tardi.
MARTINU MANNU non risponde ma entra nel quadrato e si avvicina ad ognuno dei giudici; poi, finalmente ne prende uno per mano e, dopo una sorta di giravolta si scambiano le parti. Inizia una sorta di danza in cui ogni giudice scelto dal re guadagna il centro, scambia una giravolta con un nuovo giudice il quale riporterà il sovrano al centro finché tutti e quattro giudici avranno toccato il centro almeno una volta e avranno “ballato” con il re. A quel punto il re va da solo al centro e batte il pavimento con il suo bastone del comando, subito un giudice gli si affianca. A quel punto sono in due a battere il bastone e sono in quattro ad affiancarli. Sei colpi e diventano dodici e così via fino a divenire esercito numerosissimo ad ogni nuovo colpo di bastone che ormai rimbomba come tuono.
Durante la scena potrebbe essere cantato una sorta di Ballu il cui testo riprende porzioni di dialogo:
E Sono i sardi che lo chiedono,
dobbiamo correre in aiuto
e liberarli dai popoli stranieri.
Fu Dio attraverso il Papa
a darvi per sempre quel regno,
è vostro il compito di custodirlo.
Maestà, mandate un esercito
che possa fermare la rivolta
degli Arborea e di Narbona…
degli Arborea e di Narbona…
3. La Corte a Narbona
Guglielmo di Narbona si accinge, con grande fatica, a salire a cavallo. Un gigantesco quadrupede sulla cui groppa è possibile arrivare soltanto scalando una scala a pioli. Ma GUGLIELMO è un cap gros (cioè un testone di cartapesta) è ha difficoltà a muoversi. Lo aiuta un consigliere gigantesco che può far spuntare dal corpo di cartapesta soltanto delle minuscole braccine.
Sono giunti due ambasciatori sardi. Il primo è una torre il secondo un albero sradicato.
TORRE: Voi, voi, voi siete il legittimo erede al trono di Sardegna attraverso la diretta discendenza da Mariano Quarto Giudice d’Arborea. Voi, voi, voi…
ALBERO: Sire, maestà, principe, vostra altezza accorrete in nostro aiuto, restituite alla vostra stessa famiglia l’isola di Sardegna che sardi traditori hanno voluto consegnare nelle mani di un re straniero: Il re di Sicilia, già giunto a Cagliari in queste stesse ore.
GUGLIELMO: Mio cugino!
TORRE: Quale cugino?
ALBERO: Chiederà l’aiuto di un cugino…
GUGLIELMO: Ma no, quel re straniero, il conte di Barcellona, è mio cugino!
TORRE: Vostro?
ALBERO: Suo!
GUGLIELMO: Ma sì, è mio cugino, e ha quindi gli stessi miei diritti.
TORRE: Diritti?
ALBERO: Quali diritti?
GUGLIELMO: In realtà molti di più, perché lui è già re di Sardegna, da più di cento anni, e il titolo lo inventò per lui il papa, Iddio sulla Terra.
TORRE: Papa, Iddio?
ALBERO: Ma noi paghiamo!
GUGLIELMO: Abbé, si bè, e quanto?
TORRE: Molto.
ALBERO: Moltissimo!
GUGLIELMO: E di quanti uomini disponete?
TORRE: Tanti!
ALBERO: Tantissimi!
GUGLIELMO: Si fa presto a dire tanti, ma sanno fare la guerra? Sono abili a cavallo?
TORRE: Abilissimi!
ALBERO: I migliori d’Aragona!
GUGLIELMO: Più bravi di me?
TORRE: Questo mai…
ALBERO: … mio sire!
GUGLIELMO: Dimostratelo! (Finalmente è riuscito a salire a cavallo e si mette al trotto; con grande lentezza e goffaggine impugna una lancia e infila una stella appesa a un palo:) dimostratemi di saper fare di meglio, poveri sardignoli!
Entrano due cavalieri al galoppo, si esibiscono in improbabili piroette da circo e chiudono infilando cinque stelle di seguito.
TORRE: Allora, no!
ALBERO: Ello tando!
GUGLIELMO: Va bene, mi avete convinto. Ditemi ancora quanti soldati potrete garantire.
TORRE: Tanti.
ALBERO: Tantissimi.
GUGLIELMO: E quanto denaro, se vinciamo?
TORRE: Tanto!
ALBERO: Tantissimo!
GUGLIELMO: E se perdiamo?
TORRE: Non perdiamo!
ALBERO: Non perderemo!
GUGLIELMO: Io no, male che vada venderò i diritti al trono a mio cugino il re d’Aragona.
4. La Corte a Cagliari
La scena rappresenta l’interno della cattedrale di Cagliari affollata di ricche dame e ricchi signori plaudenti; il VESCOVO in persona celebra in pompa magna la messa cantata per benedire MARTINU che si accinge a sconfiggere i traditori. Il re, incoronato, è al centro della scena, posti a ferro di cavallo ci sono gli alti prelati, il VESCOVO, arrampicato con una scala sulle spalle del re, celebra la messa utilizzando la corona come altare.
VESCOVO (cantando):
E benediciamo il nostro papa e il nostro re,
e suo figliolo Martino di Sicilia…
FOLLA (cantando): E suo figliolo Martino di Sicilia…
VESCOVO (cantando):
Che venuto a liberarci dal nemico,
lo sconfigga in terra sarda…
FOLLA (cantando): Lo sconfigga in terra sarda…
VESCOVO (cantando):
In terra sarda lo sconfigga,
e per sempre ci riunisca…
FOLLA (cantando): E per sempre ci riunisca…
VESCOVO (cantando):
Sotto il nostro re legittimo,
dato ai sardi dal buon Dio…
FOLLA (cantando): Dato ai sardi dal buon Dio…
VESCOVO (cantando):
Attraverso il papa santo,
che ha inventato l’Anno Santo…
FOLLA (cantando): Che ha inventato l’Anno Santo…
VESCOVO (cantando):
Il nostro re è catalano,
e ci ama e ci vuol bene…
FOLLA (cantando): E ci ama e ci vuol bene…
VESCOVO (cantando):
Per salvarci dal nemico,
quello sardo e traditore…
FOLLA (cantando): Quello sardo e traditore…
VESCOVO (cantando):
Ha mandato qui in Sardegna,
come Dio in Gerusalemme…
FOLLA (cantando): Come Dio in Gerusalemme…
VESCOVO (cantando):
Il suo figlio prediletto,
a immolarsi sulla croce…
FOLLA (cantando): A immolarsi sulla croce…
VESCOVO (cantando):
Martineddu de Sicilia
fizu ‘e mama e de su re…
FOLLA (cantando): Fizu ‘e mama e de su re…
VESCOVO (cantando):
Martineddu, Martineddu,
Deus ti salvet in batalla…
FOLLA (cantando): Deus ti salvet in batalla…
VESCOVO (cantando):
E cun tecus sa Sardigna,
E cun tecus sa Sardigna…
FOLLA (cantando): E cun tecus sa Sardigna…
Il VESCOVO scende giù dalla scala e apre la processione. MARTINU, invece, rimarrà immobile.
5. La Corte a Barcellona
MARTINU MANNU è appeso a una struttura che lo fa sembrare una campana. Intorno a lui si muovono alcuni uomini vascello dalle vele spiegate (potrebbero muoversi su skateboard o momopattini). Ad ogni nuova notizia MARTINU MANNU “campana” dondola sempre più.
VASCELLO 1.: Le truppe armate, a piedi e a cavallo di vostro figlio Martino si muovono ora da Cagliari!
VASCELLO 2.: Le truppe nemiche, dei sardi traditori si sono mosse anch’esse. Ma sono male armate, hanno pochi cavalli, sarà una passeggiata per Martino di Sicilia.
VASCELLO 3.: Le truppe di Martino avanzano, avanzano, avanzano, inesorabili, interminabili, invincibili, protette dal volere di Dio Nostro Signore.
VASCELLO 4.: I soldati sassaresi hanno paura, sanno già che verranno sconfitti, temono conseguenze ben più gravi di quelle derivanti dallo scontro armato in campo aperto. Li uccideranno pubblicamente perché siano d’esempio e monito a tutti i sardi che non si riconoscono nel loro unico re. Voi, maestà, e dopo di voi il vostro unico figlio Martino il giovane.
VASCELLO 1.: Martino è rimasto a Cagliari, e prega nella chiesa di Bonaria, è scosso dalle febbri malariche; ma prega per la vittoria dei sardi fedeli alla Catalogna, non per sé.
VASCELLO 2.: Le truppe sassaresi attendono sulle colline di Sanluri, per farsi coraggio battono sui tamburi e sugli scudi, gridano come selvaggi. Perché sono selvaggi senza Dio.
VASCELLO 3.: Martino è raccolto in preghiera, invoca la mano del Signore a protezione dei suo vassalli più umili e fedeli: i sardi d’Aragona.
VASCELLO 4.: Le truppe di Martino sono arrivati nella campagna di Sanluri. Non gridano, perché non hanno paura. Il sole illumina le loro corazze d’oro e d’argento, i loro scudi biondo grano striati del sangue dei nemici.
VASCELLO 1.: Ora!
VASCELLO 2.: Ora!
VASCELLO 3.: Ora!
VASCELLO 4.: Ora!
VASCELLO 1.: La battaglia abbia inizio.
VASCELLO 2.: Visca Sardenya!
VASCELLO 3.: Visca Catalunya!
VASCELLO 4.: Visca Sicilia!
VASCELLO 1.: I sassaresi del visconte di Narbona scappano.
VASCELLO 2.: I sardi traditori hanno perso.
VASCELLO 3.: I principi e i capitani vengono fatti prigionieri e viene disposto un premio per il loro riscatto.
VASCELLO 4.: I mercenari più miseri vengano uccisi sul posto. Fino all’ultimo uomo. Perché il loro sangue fertilizzi le zolle della campagna del feudo di Sanluri.
VASCELLO 1.: Che se ne dia notizia in tutta la Sardegna.
VASCELLO 2.: Che si esalti la gloria della Sardegna Catalana.
VASCELLO 3.: Che sia di monito ai nemici futuri, questa vittoria voluta da Dio.
VASCELLO 4.: Sire, sire, sire.
VASCELLO 1.: Martino cade in ginocchio davanti all’altare.
VASCELLO 2.: Ma non prega, non gioisce.
VASCELLO 3.: Anzi, soffre… è la febbre malarica.
VASCELLO 4.: Presto, chiamate un medico, il più bravo che ci sia sulla Terra. Salvate il re, l’unico erede al trono di Aragona, Catalogna, València, Maiorca, Sicilia e Sardegna.
VASCELLO 1.: Il principe è morto.
VASCELLO 2.: Il vostro unico figlio è morto.
VASCELLO 3.: Dovete dare un altro figlio alla corona.
VASCELLO 4.: Re Martino di Barcellona, il popolo chiede a voi un altro figlio.
VASCELLO 1.: Dovete generare.
VASCELLO 2.: Generare.
VASCELLO 3.: Generare.
VASCELLO 4.: Per la santa patria catalana.
MARTINU MANNU “campana”, dopo aver oscillato allegramente adesso oscilla in maniera convulsa, fino a ricordare le oscillazioni involontarie degli impiccati. Si distingue chiaramente il tipico rintocco delle campane a morto.
6. La Corte a Narbona
GUGLIELMO è a cavallo, enorme, e goffo; due scudieri lo puntellano reggendolo con due grucce sotto le ascelle. Anche TORRE e ALBERO sono lì, ma gli attori sono fuori dal loro rivestimento e uno batte il pugno contro la torre e l’altro scalcia la base dell’albero.
GUGLIELMO: Le vostre truppe male organizzate sono state sconfitte. Vergogna!
TORRE: Ma non è colpa nostra.
ALBERO: Voi non avete mandato abbastanza soldati scelti.
GUGLIELMO: Che me ne faccio di un centinaio di bovari e di contadini? Anche se impugnano una lancia, non per questo diventano soldati.
TORRE: I vostri istruttori non sono stati all’altezza.
ALBERO: Avevate assicurato che in pochi giorni i vostri capitani avrebbero trasformato i nostri in tanti combattenti invincibili.
GUGLIELMO: Sardignoli, siete solo dei sardignoli.
TORRE: Ma siamo gente di parola.
ALBERO: I nostri uomini c’erano, sono rimasti fino all’ultimo a farsi ammazzare.
GUGLIELMO: Sardignoli, sardignoli, sardignoli.
TORRE: Non riceverete da noi nemmeno un tallero.
ALBERO: Riteniamo sciolto il patto di alleanza.
GUGLIELMO: Voglio tutti i denari promessi e pattuiti, altrimenti vi farò tagliare la testa. È nel mio pieno diritto, era nei patti sottoscritti. Miei cari sardignoli.
I due cadono in ginocchio e, striscianti, chiedono pietà.
TORRE: In fondo non è stata una vera sconfitta.
ALBERO: Nossignore, abbiamo vinto, e per volontà divina.
GUGLIELMO: Spiegatevi, spiegatevi, prima che vi faccia ammazzare!
TORRE: Che cosa conta la vita di cento miseri pastori sardi?
ALBERO: Di mille sardi?
GUGLIELMO: Di diecimila sardi!
TORRE: Di diecimila sardi uccisi in un bagno di sangue, poniamo, nelle campagne del feudo di Sanluri…
ALBERO: Di fronte alla morte di un solo unico re erede di un grande trono ucciso dalla volontà divina?
GUGLIELMO: Comincio a capire.
TORRE: Che cosa conta, una piccola perdita…
ALBERO: Al cospetto di una grande perdita…
GUGLIELMO: La vita di un solo re vale più della vita di un milione di uomini…
TORRE: Martino il giovane è morto
ALBERO: E Martino il vecchio, suo padre, non ha altri eredi…
GUGLIELMO: Io stesso potrei aspirare a quel trono… avete ragione, abbiamo vinto perché Dio lo vuole.
TORRE: Dio l’ha voluto.
ALBERO: Amen
Dall’interno della torre e dell’albero partono una serie di fuochi d’artificio. Girandole e bengala.
7. La Corte a Palermo
Le dame della corte si muovono frenetiche. Le loro azioni sono incontrollabili, alcune di loro sono preda di crisi isteriche. Il tutto durerà fino all’arrivo del MAESTRO D’ARMI, il quale, dopo avere battuto il bastone tre volte per terra otterrà il silenzio. Dopo di che, battendo ogni volta il bastone guiderà una coreografia che vedrà le dame disporsi a comporre varie ordinate figure: il cerchio, la stella, la croce uncinata…Poi tutte si schiereranno in attesa della lettura dell’editto.
MAESTRO D’ARMI: In nome del re Martino il saggio, e in onore di suo figlio Martino il giovane, la Corte dispone che ogni dama dei regni appartenenti alla Corona D’Aragona in cui Martino di Sicilia abbia soggiornato nei mesi precedenti la sua morte possa dichiarare di aver con lui giaciuto e dimostri il segno palese del frutto del suo seme. Fra i fanciulli che nasceranno la Corona D’Aragona deciderà e valuterà se e quando i detti neonati potranno essere legittimamente chiamati eredi al trono.
La Corte emana il seguente editto: ogni donna, nobile o borghese, ma di legittima famiglia, che dichiari di aver giaciuto una volta almeno con il nostro giovane re di Sicilia che lo dichiari, e dimostri di dire il vero calzando una delle scarpette che Martino conservò come pegno d’amore.
Che entri la grande scarpiera reale.
Alcuni paggi spingono un enorme espositore da cui pendono decine di scarpe femminili dalle fogge più strane. Le dame si tolgono le proprie calzature e si lanciano all’assalto. Ne nasce un parapiglia comico ma nessuna può avvicinarsi alla scarpiera perché i paggi lo impediscono. Il MAESTRO D’ARMI batte il bastone e tutte si zittiscono. Battendo il bastone organizza la sfilata delle cenerentole, le quali, una dopo l’altra provano ad indossare le scarpette che i paggi porgono loro dopo aver misurato i piedi di ognuna con un metro. All’inizio sfileranno una per volta, poi a due a due, poi a quattro a quattro fino ad esaurirle tutte. Finalmente, nessuna scarpa sarà indossata, quindi le dame andranno al centro della scena e, dopo essersi tirate le gonne sulla testa piangeranno il lamento del morto.
PREFICHE:
Oi, su re nostru che est mortu.
Oi su re nostru bellu,
oi, Martineddu meu bellu,
oi, su re giovanu giovanu…
8. La Corte a Cagliari
La chiesa è vuota, MARTINU, gigantesco, è la sola presenza visibile, ha ancora la scala del VESCOVO poggiata sulle spalle. Dal colosso di cartapesta uscirà un attore scalzo e penitente vestito di una sola tunica bianca. Userà la scala per togliere la corona che poi deporrà ai piedi del gigante e si spoglierà della tunica che metterà sulla corona che userà come culla. Infreddolito e malato si distenderà sulla culla. Il re è morto.
Ad uno ad uno entreranno tutti i figuranti in costume, ognuno di loro deporrà un libro intorno al corpo e alla culla, fino a costruire le pareti di una tomba sulla cui sommità, quando sarà il loro turno, gli attori principali, Martinu incluso, deporranno una pietra tombale che riprende iscrizioni e stili della tomba di Martino conservata nella chiesa di Bonaria in Cagliari.