OFELIA
Teatru
Personaggi
OFELIA, un'attrice
Dietro le quinte di un Amleto
Il fondale è un gigantesco cruciverba, mentre la scena rappresenta lo spoglio camerino della prima attrice: uno stretto tavolo su cui sono poggiati belletti, spazzole, specchi e specchietti, un radione e, per terra, un'ingombrante panca-baule.
OFELIA è al trucco. Dà le spalle al pubblico, ma il volto è riflesso dalle tre facciate dello specchio. I rumori sono quelli del film Amleto di Olivier trasmessi dal radione. OFELIA Borbotta.
OFELIA ATTRICE (Con accento romano): Non mi viene bene, st'occhio qua. E non mi viene bene. E sti capelli! Me paro 'na strega, me paro. Ma chi so', la matrigna di Biancaneve? Mamma orsa? 'No schifo, so'. Me faccio paura. Ma perché non dormo de più, io, al mattino? 'An vedi che faccia! Mo' basta, mo' basta, mo'! Famo li seri, io so' n'attrice seria, n'attrice de teatro vero, e nun posso sempre fa' la burina. Mo' basta, mo'! (Con fin troppo buona dizione:) Chi sono? Sono la unica, la sola, la divina: Greta Garbo. G, g, Gre... Greta Gaarboo. (Bussano alla porta del camerino.)
VOCE FUORI CAMPO: Cinque minuti, Ofelia in scena.
L'ATTRICE viene presa da un attacco di panico. Si alza, si risiede, si trucca, smette di truccarsi. Cerca gli abiti di scena, non li trova, si risiede. Gli abiti sono dentro il baule su cui è seduta. Si alza, solleva il coperchio e lancia per aria tutto quanto le occorre. Freneticamente si spoglia degli abiti da donna e indossa quelli da personaggio. Ad ogni capo entra un pochino "di più nella parte". Intanto sputacchia frammenti di dialogo e compendi della scena.
OFELIA ATTRICE: Sentinelle: bla, bla, entra Orazio. Si situa la scena. Notte, castello, militari, Danimarca. Entra lo Spettro. Parla, perdio, parla dunque! Ma lo Spettro, zitto! E se ne va. Parlano, bla, bla, presentazione della situazione storica. Siamo all'epoca in cui Amleto junior, principe di Danimarca, dovrebbe vedersela con Fortebraccio, anche lui junior, principe di Norvegia. Ma Claudio, lo zio di Amleto, ha ucciso suo fratello - Amleto padre - e ne ha usurpato il letto e il trono, così come re Norvegia, fratello di Fortebraccio padre, impedisce a Fortebraccio figlio di fare la guerra alla Danimarca. Punto!
Che sega di storia incasinata, dico io.
Padri e figli coi nomi uguali. Zii che si approfittano. Ma zitti! Eccolo, ritorna lo Spettro. Canta il Gallo. (Canticchia, pur prendendo a essere L'Ofelia del dramma:)
E canta la gallina,
signora Franceschina
si affaccia alla finestra,
con tre corone in testa.
VOCE FUORI CAMPO: Ofelia in scena.
OFELIA ATTRICE: Merda!
Le voci dell'Amleto di Olivier si fanno più distinte. OFELIA segue il corteo e annuisce ai discorsi che interpreti immaginari fanno non badando a lei. Gira intorno a quei fantasmi, li accarezza, ne imita i caratteri, né scandisce i nomi.
OFELIA: Claudio, il re di Danimarca.
La regina Gertrude, moglie di Amleto, madre di un altro Amleto.
Polonio, mio padre, consigliere di re.
Laerte, mio fratello.
Entra "Amleto", OFELIA ammutolisce alla sua visione. Gli va incontro, se ne allontana, perde il controllo.
OFELIA: Amleto. Amleto, Amleto, Amleto, Amleto, Amleto, Amleto, Amleto, Amleto... (Il movimento adesso è quasi una danza frenetica e, arrivata al "cruciverba" ne strappa un riquadro: sotto compaiono il colore e le immagini di un dipinto.)
Dopo aver presentato Amleto, OFELIA ritorna ad essere l'attrice, si sgancia qualche bottone del costume, si rilassa, beve da una bottiglia, fuma (quando dice le parole del regista, gli rifà il verso romanesco).
OFELIA ATTRICE: "E' l'occasione d'a vita tua. Una parte nell'Amleto, e che parte: Ofelia".
Stronzo! Ma che parte è, quella di una donna che non parla mai?
"Sì, parla poco, è vero". Fa la figura della scema, dico io.
"Sì, fa anche la figura d'a scema. Ma te devi da cala' nel personaggio, nel tempo, devi da diventà Shakespeare. Non senti che bel suono: Shakespeare! Shakespeare! Un nome che è già teatro".
Stronzo lui e stronza io che ho accettato di interpretare questo ruolo. Sono Ofelia, il prototipo delle oche di ogni tempo. Bellina, sorridente e testa vuota; che a pensare troppo vengono delle terribili emicranie.
Ma perché ho accettato? Perché?
Primo: denaro.
Sì, denaro!, se non facciamo almeno venti repliche finiamo in passivo.
Secondo: la gloria.
Ma se nemmeno ho il nome nel cartellone, che qualcuno in tipografia ha sbagliato e io sarei un Antonello, invece di una Antonella.
Ma il regista, anzi, il direttore artistico, perché lui non è un semplice direttore di scena, lui non si limita a dare indicazioni agli attori, lui pensa, sceglie il testo, sceglie i costumi e le musiche e, soprattutto ricrea il testo entrando in sintonia con l'autore. E quest'anno è la volta di Shakespeare, Amleto. Hai detto niente. Ma mica un Amleto rifatto, no! Né una riduzione, né un adattamento, no! Un Amleto Amleto, "come a'avrebbe messo in scena lo stesso Bardo d'Inghilterra nel suo Globe, all'aperto, senza trucchi moderni, dal pomeriggio al tramonto, in versi e con una miriade d'attori. Cinque ore de spettacolo, includendo il duello finale. E tu sarai Ofelia, Antonè".
La figura meno costruita, meno conchiusa dell'intero repertorio shakespeariano. Ofelia è una povera stupida senza cervello.
VOCE FUORI CAMPO: Ofelia in scena.
OFELIA ATTRICE: Amleto non sa ancora che uno Spettro c'è davvero ed è suo padre, Amleto come lui. Ma nemmeno io lo so, e mio fratello Laerte vuole abbracciarmi prima di partire per l'Inghilterra.
OFELIA va verso il centro della scena, si ricompone gli abiti. Di nuovo riusciamo a distinguere l'attacco della scena dall'Amleto di Olivier. Come prima OFELIA "dimostra" la presenza di Laerte e poi di Polonio.
OFELIA: Sì, fratello mio Laerte, anch'io non credo nei pegni d'amore di Amleto.
Non credo ma spero.
Perché non potrebbe amarmi, un giorno, il principe di Danimarca?
Tu affermi che ad Amleto importa soltanto il mio corpo e non la mia persona. Ma tu, fratello mio, come puoi scindere il corpo dall'anima? Come può, Amleto, volere me, senza volere al contempo tutta me stessa? Posso essere, io, due cose tanto diverse e distinte?
Ma non temere, terrò nel debito conto i tuoi saggi suggerimenti. Non darò ascolto alle parole del principe Amleto se non leggerò sul suo volto la sincerità più vera.
Ma tu, invece, tu, mio buon fratello, non comportarti, lontano da questa corte, come quei chierici che indicano una vita piena di spine ai più e intanto vivono da scioperati in un letto di rose.
Ma viene nostro padre Polonio, che ti invita a partire, non indugiare oltre, fratello mio, corri al porto e fa che la nave non debba più attendere. Addio!
Anche voi, padre mio, affermate che Amleto non m'ama e gioca con me per suo diritto di principe.
Ma io, che cosa debbo fare, io, quando Amleto mi parla con quella sua voce dolce? Quando mi guarda con i suoi occhi belli? Quando mi accarezza le gote con le sue dita pallide?
Come devo intendere questi suoi chiari segnali, se non come profferte d'amore?
Non è amore, voi dite, ma gioco, voglie di principe ozioso e astuto che non ama e non rispetta nessuno al di fuori di se stesso, di sua madre, forse, e del nome di suo padre, che è il suo stesso nome: Amleto.
Va bene padre mio, farò come voi dite. (Canta:)
L'Amelia està malalta
la filla, del bon rei.
Comtes la van a veure,
Comtes i noble gent.
Ai, que el meu cor se'm nua
com un pom de clavell. (La scena si chiude con lo strappo di un altro riquadro del "cruciverba".)
OFELIA è di nuovo l'attrice. E' nervosa. Beve, ma sorsi contro voglia, fuma, ma non assapora le boccate. Si slaccia qualche bottone. Si toglie le scarpe. Canta quasi soprappensiero.
OFELIA ATTRICE (Canta):
Filla, la meva filla,
de quin mal us queixeu?
Ai, que el meu cor se'm nua
com un pom de clavell.
I a vós, la meva mare,
us deixo el marit meu
perqué el tingueu en cambra,
com fa molt de temps que feu.
Ai, que el meu cor se'm nua
com un pom de clavell.
"Cantare, devi da canta' sempre, canzoni rinascimentali."
Ma io non ne conosco di canzoni del rinascimento inglese.
Allora mi ha dato un disco di un gruppo irlandese. E io a dirgli che non ci capivo nemmeno una parola e che comunque non mi sembravano troppo shakespeariane. "Licenze poetiche" mi ha detto, "come i costumi ispirati ai pittori preraffaelliti".
Va bene, non ti arrabbiare. "Canta quello che te pare, ma canta!"
Anche in sardo? Ho chiesto io.
Sì, anche in sardo, ha detto lui.
Anche in catalano? Ho detto io.
Anche in catalano.
Basta che siano canzoni disperate, ha detto lui. Basta che siano disperate. "Perché ciò che conta de più, è che tu entri ner personaggio." (Canta:)
Il mio cuore si spoglia
come un fiore appassito.
E a voi, o madre mia,
vi lascio mio marito.
Buongiorno, è qui il personaggio? Salve, sono Antonella, l'attrice, posso entrare? Grazie!
Mortacci sua!
"Scommetto che tu nemmeno sai chi sia, il vero Shakespeare?" Così mi ha detto, "Tu non sai chi sia il vero Shakespeare?" E io, scema, ci sono cascata. Come una pera cotta, sono caduta nel suo piatto. (Canta:)
Antuneddu, Antuneddu,
tuttu lu mundu si lagna,
ti cheria mezus mortu
chi bandidu a la campagna. (Smette di cantare e si mette a frugare finché trova un'agenda, oppure un copione:)
Willian Shakespeare. Nato a Stratford On Evon nel 1564, morto a Londra il ventitré aprile del 1616, lo stesso giorno della morte di Miguel de Cervantes de Saavedra. Nonché festa di San Giorgio e giornata del libro in Catalogna, in Giappone e nel mondo intero. Shakespeare è considerato il maggior autore del teatro elisabettiano, nonché il massimo drammaturgo di ogni tempo. (Mette via gli appunti:)
"Puttanate, Shakespeare non esiste. E' un nome, esattamente come Omero, come Platone. Nomi. Nomi indispensabili per la circolazione del mito. Questo è: invenzione letteraria necessaria alla trasmissione di un concetto filosofico, di una ideologia politica. Shakespeare, se mai ci fu, era soltanto un attore, un capocomico. Era Francis Bacon l'autore de li testi. Francis Bacon, e nessun altro." (Canta, e mentre canta strappa, oppure appallotola gli appunti:)
Dammi su mucaloru
a ti lu samunare
in s'abba de su nie.
In s'abba de su nie.
E io, scema di una scema, sono rimasta lì a bocca aperta. Poi, appena a casa, ho chiamato Mariolino Carta, il primo della classe dalla quarta ginnasio alla terza liceo e gliel'ho chiesto. Chi è Francis Bacon? "Un pittore! Uno che rifaceva i classici reinterpretandoli postcubisticamente e che era finito a vivere a Madrid perché a Londra gli omosessuali li chiudevano in galera a vita".
Dì, ma tu lo sapevi che era lui a scrivere tutti i testi di Shakespeare? E Mariolino Carta si è fatto una grassa risata telefonica. "Allora stai parlando di Francesco Bacone. Non ricordi tutte le inutile discussioni con professor Pirella?"
E io mi sono ricordata: idola tribus, idola specus, idola fori, idola theatri. La nazione, il villaggio, il potere, la cultura.
Ma perché mi faccio sempre prendere in giro da tutti? (Canta:)
Su mare candu est nettu
vi passiza su moru
cun d'unu udrone 'e ua.
Cun d'unu udrone 'e ua.
Se Francesco Pancetta ha pensato lo sciocchezzaio dell'idola theatri, che cosa c'entra tutto questo con Shakespeare?
"E Montaigne, non t'hai letto Montaigne? E' lui il vero ispiratore der teatro elisabettiano. Non si può conoscere se non attraverso una profonda analisi di noi stessi."
Nel frattempo, come in un pessimo film dell'orrore, Amleto parla allegramente col fantasma di suo padre.
Pensaci Antonella, rifletti. Desiderio per omeostasi più ripetizione meno pulsioni meno ancora l'oblio, il tutto fratto l'apprendimento socio-genetico diviso il contatto fratto conservazione per espansione dà origine alla sola frazione che possa rappresentarci, noi tutti siamo amore fratto dolore. (Si risistema gli abiti di scena è di nuovo OFELIA.)
OFELIA è chiaramente fuori di sé e corre scoordinata lungo la scena. Canta:
OFELIA (Canta):
Mamma mia dammi cento lire,
che in America voglio andare...
Padre, padre mio, dove siete? Debbo parlarvi di Amleto. Padre mio, dove siete? (Canta:)
Cento lire io te le do,
ma in America non vai no!
Padre mio Polonio, devo parlarvi di Amleto, egli è impazzito, davvero impazzito, d'amore. Egli mi ama, vi dico. (Parla a qualcuno che solo lei vede:)
Sì padre, ne sono certa. Amleto è entrato nelle mie stanze, frastornato nel volto e nel corpo. Le vesti trasandate. E mi guardava negli occhi e mi stringeva le mani. Soffriva, padre mio, soffriva d'amore, ne sono certa. Anche voi lo credete.
E io che non l'ho ricambiato, che ho irriso le sue profferte d'amore ostentando indifferenza.
Sì, padre, correte dal re e dalla regina madre di Amleto, dite a loro quanto egli soffra d'amore per me. Non è un capriccio di principe il suo. Non è vero Polonio padre mio? ("Polonio" si allontana ed esce. OFELIA, al centro della scena, canta e strappa un altro riquadro del cruciverba:)
Pescatore che peschi i pesci...
Pescatore che peschi i pesci...
Pescatore che peschi i pesci...
OFELIA è di nuovo l'attrice. E' Fuori di sé. Prende a calci la bottiglia dell'acqua, sbriciola una sigaretta, lancia lontano da sé il pacchetto. Non sa che cosa fare. In un impeto cerca di tirarsi via l'abito di scena sollevando la gonna fino alla testa, ma non ci riesce, è impossibile liberarsi.
OFELIA ATTRICE:
Desiderio per omeostasi
più ripetizione meno pulsioni
meno ancora l'oblio,
il tutto fratto l'apprendimento socio-genetico
ancora diviso per il contatto
fratto conservazione per espansione
uguale amore fratto dolore.
Non hai letto Agnes Heller?
No! Non ho letto Heller, non ho letto Montaigne, non ho letto Bacone, non ho visto i quadri di Bacon e non voglio sapere niente di Shakespeare.
Fruga nel baule e ne estrae una cuffia audio, se la calza sulla testa e infila lo spinotto al radione. Sostituisce il nastro di Amleto con uno di heavvy metal. Ad occhi chiusi mima vari strumenti -chitarra elettrica, basso, batteria...- e ne imita i rumori con la bocca, finché OFELIA comincia a prenderla e l'attrice, suo malgrado, canta una canzone opportuna per il testo.
OFELIA (Canta):
A Aragó hi ha una dama
que és bonica com un sol,
té la cabellera rossa
li arriba fins als talons:
Ai adéu, Ana Maria,
robadora de l'amor... (Butta via la cuffia:)
Povero Amleto, si finge pazzo per compiere la propria vendetta e non sa che l'intera sua famiglia, l'intera corte, complotta contro di lui.
Il mio re, la mia regina e mio padre hanno deciso di tradirlo. Adesso che la Danimarca è salva dagli attacchi esterni del giovane Fortebraccio, gli unici pericoli possono venire dall'apparente follia di Amleto, giovane principe danese.
Ed è per questo che l'intera corte, l'intera Danimarca, e gli amici di lui Rosencrantz e Guilderstein, si apprestano a tradirlo.
Ma che accade, che cosa sono queste voci? Sono gli attori. A corte è arrivato il teatro.
Si interrompe, cerca di capire ché avviene in lei, poi si schiaffeggia.
OFELIA ATTRICE: Scema, scema, sto diventando completamente matta. "Sai chi è Amleto? Ma tu sai chi è Amleto? Daniele Pepe! Hai capito? Il grande Daniele Pepe. E' l'occasione d'a vita tua. Daniele è nella compagnia stabile de Genova e recita con chi iè pare. Devi da fa' questa Ofelia oppure tu hai chiuso con il teatro".
E io gli ho creduto. Ho creduto che ci credesse davvero, che io avrei saputo conquistare col mio fascino quel finocchio di Daniele Pepe.
Ciao, Daniele, come stai, ripassiamo insieme stassera? (Rimette il nastro di Amleto.)
E io, blusettina trasparente, gonna lunga con spacco inguinale e occhio languido a pesciolona.
Lui, bello, gentile, tutto bacetti e abbracci, e poi: "senti, facciamo un patto, se tu sei carina con me, io sarò carino con te...
"A me piace Laerte e io piaccio a lui. Se tu lasci credere che tu e io... capisci? Ecco, se tu sarai gentile con me, chiederò al regista che non ti tagli dalla scena dell'essere o non essere." (Canta:)
Una cançó vull cantar,
una cançó nova i linda...
Essere o non essere.
Se sia meglio farsi donna,
oppure maschera ad uso del maschio
non più platonico,
ma vergognoso ipocrita
della sua onesta sessualità;
questo è il problema:
nel teatro elisabettiano, gli attori erano maschi travestiti da personaggi femminili o erano attrici in corpi di uomo?
Siamo andati a cena insieme, Amleto Pepe, Laerte l'amore suo e io. E vattene! Mi dicevano gli occhi di Pepe Amleto, e Laerte l'amore suo:
"Sai che t'invidio".
Ma perché?
"Perché sei sarda."
Davvero!
"E' meraviglioso il vostro dialetto, o dovrei dire la vostra lingua?"
Lingua, credo.
"Lingua, lingua, sicuro. Come sono belle, quelle canzoni che canti!"
Ma non sono sarde, sono catalane.
"E che differenza c'è?"
Sono lingue diverse.
"Ma non sei sarda, Tu?"
Sono sarda, io? Mia madre era di Alghero. Mio padre di Ozieri. La sua seconda moglie di Tempio. Ed è Sardegna diversa, questa?
Mio padre. Mio padre è uno stronzo.
Quando l'ho chiamato per dirgli che avevo bisogno di lui, ha subito pensato che dovessi chiedergli del denaro. Ho solo bisogno di qualche canzone. Mi ha preso per matta.
"Ite ischis tue de su sardu, chi lu faeddas comente unu cane!"
Corre verso il baule, vi fruga dentro e recupera alcuni pupi che tiene in verticale sul pavimento.
OFELIA: Sono io, Ofelia, il vostro verginale amore, non mi riconoscete?
Mio signore, mio dolce Amleto, scacciate via questi uomini e ascoltate le mie parole.
Non vi riconosco più, che cosa dite?
Voi mi amate, è stato mio padre a dirmelo. (Lascia cadere i pupi:)
Come posso interpretare il tono della vostra voce?
Che cosa dite, perché mi offendete? Sono Ofelia, la vergine danese che avete preso in sposa.
Perché mi augurate la peste in marito?
Amleto, mi amate ancora?
Amleto? (Canta:)
Comente as a passare
sa die a sa sola
chena bidere a mie?
Chena bidere a mie.
Dammi su mucaloru
a ti lu samunare
in s'abba de su nie.
In s'abba de su nie.
Tutto è finito, sono la più infelice e derelitta delle fidanzate. Ho bevuto il tuo miele, ho creduto nella sincerità della tua giovinezza, e adesso mi ritrovo avvizzita e persa nel delirio.
Si lascia cadere seduta sul baule. La testa tra le mani. Poi tira su la gonna e si sventola. Ma non rimette giù le falde e, quella grotta di gambe e gonne diviene il teatro dei pupi che raccatta tirando su i fili.
OFELIA ATTRICE OFELIA: E' il vostro momento, adesso, attori.
Avete mandato a memoria il testo come io l'ho scritto?
Mi raccomando, non portate la parte.
Non anticipate gli umori del personaggio, non viziate mai il pubblico.
Attenetevi al testo.
Rispettate l'autore.
Non ci sono artifizi nel nostro teatro. Né magie di luci né suoni infernali; soltanto la poesia della parola detta con grazia.
Mi raccomando, rispettate il testo.
Il pubblico vedrà il mare quando voi lo nominerete.
Il cielo quando lo evocherete.
La guerra, se saprete dirla con le parole dell'autore.
So di un assassino che confessò tutti i suoi crimini, una volta che a teatro ascoltò parole capaci di arrivare al suo cuore.
Mi raccomando a voi, attori, rispettate la parte che vi è stata assegnata.
Non andate mai oltre, né troppo sopra né troppo sotto. Rimanete nel giusto. Dite soltanto ciò che io ho scritto per voi.
Ma ecco che arriva il pubblico, preparatevi!
OFELIA lascia cadere le vesti sui pupi. Poi, in una sorta di trance, attende un'indicazione dal pubblico. Finalmente una base musicale le dà il segnale. Canta e intanto sistema i pupazzi sul tavolo come tanti bambolotti. L'ultimo lo stringe al petto, lo accarezza, lo coccola, poi lo spoglia. Se lo mette in grembo.
OFELIA ATTRICE OFELIA (Canta):
Ahi fiza mia, chie t'at basadu?
Ohi babu meu, custu est sinnu 'e mura!
Ahi fiza mia, inuve est sa mura?
Sas cabras malas si l'ant mannigada!
Ahi fiza mia, inuve sunt sas cabras?
Malefadadu si las at furadas!
Malefadadu chi est de zente cale?
Su chi at leadu lunis sa Justicia!
Ohi, cosa mala est sa Justicia nostra!
Ohi babu meu, chie m'at basadu a mie...
Ohi, fiza mia, non gherzo chi lu nares...
Ca sa Justicia nostra est cosa mala!
Hai visto come recitano bene i tuoi attori, mio signore?
Come è agitato, il re tuo patrigno e zio.
Sì Amleto, dormi sul mio grembo. Poggia il tuo capo in mezzo alle mie gambe. Io sono tua, ormai. E' un fatto noto, a corte. Tutta la Danimarca ne parla. Anche Antonella appartiene al primo attore, tutta la compagnia ne parla.
Perché ha sospeso la recita, il re Claudio? E' tutto un gioco, il teatro non è mai realtà, quell'attore che si fingeva re e dormiva nel verziere non è morto avvelenato. Guardalo, Amleto, adesso è diventato il ciambellano, non può essere morto, se adesso è già un altro personaggio.
Perché non recitano più, i tuoi attori, Amleto?
In un impeto OFELIA rovescia ogni cosa dal tavolo. In sottofondo non viene più nessun rumore. Poi, apparentemente rilassata, si slaccia l'abito di scena e prende a riporre ogni cosa nel baule, anche lo specchio e i trucchi. Per ultimo, sul tavolo vi è un mazzo di tarocchi. Li dispone sul baule. Recita come se a guidare la sua voce fossero le onde del mare.
OFELIA ATTRICE: Mia madre. Mia madre. Le mie madri. Mi hanno consegnato brandelli di lingua, melodie di cazoni. La mia madre catalana, quella cresciuta sulla riva del mare, abbandonò mio padre quando io le dissi che ero abbastanza grande per crescere da sola. L'altra mia madre, scolpita nella pietra di Gallura, mi ha indicato la via del vento. Vattene da questa casa, tuo padre non è uomo da figlie, fuggi, finché sei in tempo.
L'uomo col bastone.
Il sole.
La dama.
Il cavaliere.
L'uomo con la spada.
Il fuoco.
L'acqua.
La morte.
Aperta graffa,
aperta tonda,
desiderio
per omeostasi,
chiusa tonda,
più, aperta quadra,
aperta tonda,
ripetizione meno pulsioni,
chiusa tonda,
meno oblio,
chiusa quadra,
chiusa graffa,
fratto
apprendimento socio-genetico,
diviso contatto
fratto
conservazione per espansione
uguale
amore
fratto
dolore.
Va a strappare gli ultimi riquadri dal cruciverba. Appare l'Ofelia preraffaellita interpretata alla moda di Bacon. Lentamente OFELIA, che ha trovato una margherita, prende a sfogliarla e a distendersi dentro al baule come se fosse una vasca da bagno.
OFELIA: Amleto, il mio uomo, ha ucciso un topo. Un uomo di nome Polonio. Il mio primo uomo, il mio unico uomo. Polonio, mio padre. (Sfogliando la margherita:)
Amleto, Polonio, Amleto, Polonio, Amleto, Polonio, Amleto, Polonio, Amleto, Polonio, Amleto. (Canta:)
Sa mare la pentinava
amb una pinteta d'or.
Cada cabell una perla,
cada perla un anell d'or.
Ai, adéu, Anna Maria,
robadora de l'amor.
Prima di chiudere il coperchio schiaccia il play del radione. Parte, fino a sfumare, l'Amleto di Olivier.
{(desiderio . omeostasi) + }
apprendimento socio-genetico
: contatto
conservazione per espansione
= amore
dolore.