Versione :
Talianu

IN INDIA


e il gruppo di laboratorio di recitazione e scrittura drammaturgica del sabato

 

IN INDIA NON È COSÌ
Commedia amara pensata e scritta dai bambini di quarta e quinta della scuola Sacro Cuore – 1° Circolo – Alghero – anno scolastico 2002-2003

Attori in attesa di personaggi:
Alessandra Solinas, Angelo Lubrano, Anna Baldino, Dolores Meloni, Fabrizio Passerini, Gianluca Vacca, Giovanni Cambule, Giuseppina Nuvoli, Laura Torre, Luca Paddeu, Paola Campilongo, Stefano Passerini

La scena rappresenta una stanza. Ben visibili ci sono una scrivania dove lampeggia un computer e una poltrona. Sul fondale, variabile, è disegnato un quadro (le case), una finestra (la scuola), una porta (la fiaba).

1. Tre coppie uguali diverse
Musica (Come Together nella versione di The Supremes). Entra MARITO 1. E si mette seduto comodamente legge il giornale, squilla il telefono e non risponde, al terzo squillo entra la moglie, al quarto alza la cornetta.

MOGLIE 1.: Pronto, ah, sei tu, Matilde! … Hai bisogno di una ricetta, per caso? … Perché non ho risposto subito? Perché mio marito è il campione dei pigroni!
MARITO 1.: Io pigro? E pensa a cucinare e a rispondere al telefono in fretta, invece di andare in giro con le amiche!
MOGLIE 1.: Certo, certo, ne parliamo dopo. (Al telefono:) Sì Matilde, che cosa volevi dirmi? … Cosa? Veramente? Non ci posso credere, è spaventoso! (Mette giù la cornetta.)
MARITO 1.: E smettila di urlare, che non riesco a leggere!
MOGLIE 1.: Oh, che caldo, mamma mia che calore, mi sento male, povero figlio mio!
MARITO 1.: Che cosa vuoi da mio figlio?
MOGLIE 1.: Dammi una sedia che mi gira la testa.
MARITO 1.: Che cosa c’entra nostro figlio con quella matta di Matilde?
MOGLIE 1.: La lebbra, hanno portato la lebbra a scuola!
MARITO 1.: Mi sa che sei più matta tu di quella!
MOGLIE 1.: No, no, no bisogna organizzare un comitato di difesa della salute dei bambini della nostra scuola!
MARITO 1.: Ma ti vuoi spiegare, una buona volta? Dimmi che cosa è successo!
MOGLIE 1.: Gli indiani, a scuola sono arrivati due fratellini indiani e li hanno messi in classe di nostro figlio…

Escono sulla ripresa musicale.
Entrano MARITO 2., che si mette subito a dormire sul divano e russa, e MOGLIE 2., che mette un DVD nel PC. Il telefono squilla due volte.

MOGLIE 2.: Sempre addormentato, mai che si interessi a qualcosa. … Pronto, chi è? Signora Matilde, a quest’ora di notte? … Ah, sta male… lei sta sempre male. Che cosa è successo di tanto importante? … Due indiani con la lebbra? Aspetti che le passo mio marito.
MARITO 2.: Chi è?
MOGLIE 2.: Matilde.
MARITO 2.: Quella pazza? … (Al telefono:) Buona sera cara signorina, e come sta? … Gli indiani a scuola? Ah, che bello, e di che tribù sono, Apache, Sioux, Cheyenne? … Ah, dell’India… Del Nord, del Sud, del centro… o del Bangladesh, o del Pakistan? … India, India, Bombay!
MOGLIE 2.: E lasciala parlare…
MARITO 2.: E di che religione sono? Induisti, buddisti, scintoisti
MOGLIE 2.: Lebbrosi, secondo Matilde!
MARITO 2.: Ma la lebbra non esiste più, è stata debellata da anni! Buona notte, signorina Matilde! (Mette giù la cornetta.)
MOGLIE 2.: Allora, entriamo anche noi nel comitato di difesa della salute dei bambini algheresi?
MARITO 2.: Ma sei scema?
MOGLIE 2.: E se poi fossero veramente lebbrosi?

Escono sulla ripresa musicale.
Entrano MARITO 3., che si mette a scrivere al computer, e MOGLIE 3. con in mano un mestolo. Squilla il telefono.

MOGLIE 3.: Puoi rispondere, per favore?
MARITO 3.: Dica! … È Matilde, vuole parlare con te.
MOGLIE 3.: Pronto, in che cosa posso esserti utile? … Puoi ripetere, che credo di non avere capito… Che cosa? La lebbra a scuola? In classe di nostro figlio? Sì, sono d’accordo con te, dobbiamo fare assolutamente qualche cosa… Sì, a domani, sarò puntualissima! (Mette giù il telefono.)
MARITO 3.: Che cosa è successo?
MOGLIE 3.: Non ci crederai mai!
MARITO 3.: Su, non farmi stare in ansia.
MOGLIE 3.: In classe di nostro figlio ci sono due bambini con la lebbra. Due bambini indiani che vengono dal quartiere più povero di Bombay.
MARITO 3.: La direttrice che provvedimenti ha preso?
MOGLIE 3.: Li ha fatti controllare da una équipe di medici specialisti.
MARITO 3.: E dunque?
MOGLIE 3.: Non si sa, non si sa ancora niente. Ma mio figlio, a scuola, con quei brutti lebbrosi, non lo mando nemmeno morta!
MARITO 3.: Non gridare, per cortesia!
MOGLIE 3.: Io urlo quanto voglio! Ma perché proprio a noi? Proprio a me, con tutte le scuole di Alghero proprio nella nostra! E con tutte le classi a disposizione, proprio in quella di mio figlio?
MARITO 3.: Nostro figlio! E comunque non credo che sia così grave, vedrai che sarà un falso allarme.
MOGLIE 3.: Falso o non falso, il bambino a scuola non lo mando, e domani entro nel comitato per la difesa dei bambini sani di Alghero!
MARITO 3.: Speriamo che serva a qualcosa!

2. Gli scalmanati
Musica (Come Together nella versione degli Houthouse Flowers). Il comitato Co.Di.Sa.Bam., armato di cartelli, protesta all’ingresso della scuola distribuendo volantini e impedendo l’ingresso davanti alla scuola.

UNO: Basta con gli extracomunitari. La sporcizia se la tengano a casa loro.
DUE: Vogliamo garanzie. Il vaccino non ci basta.
TRE: La lebbra è una brutta malattia.
QUATTRO: Espulsione, espulsione. Rimpatrio obbligatorio, vogliamo certezze.
GENITORE 1.: Che cosa succede, una bomba a scuola?
GENITORE 2.: Un incendio?
UNO: Peggio, la lebbra!
DUE: Vogliono trasformare la nostra scuola in un lebbrosario.
TRE: Non ci stiamo, non ci stiamo più, la lebbra, la lebbra, non la vogliamo più.
QUATTRO: Leggete questo volantino, c’è scritto tutto.
GENITORE 1.: Non capisco, la lebbra è stata debellata da anni, in tutta l’Europa.
GENITORE 2.: In Europa, appunto, ma non India, legga qua. Due bambini indiani lebbrosi conclamati sono stati inseriti in una classe quinta di tempo pieno.
UNO: Con-cla-ma-ti! Non so se capisce questa parola.
QUATTRO: E lei farebbe entrare suo figlio a scuola, in queste condizioni?
GENITORE 1.: Nemmeno per sogno; corri a casa che poi ti porto subito dal medico.
GENITORE 2.: Voi siete tutti matti. Io vado subito a parlare con la direttrice e chiederò che vi faccia allontanare con le buone o con le cattive.
UNO: Traditrice, amica degli indiani.
DUE: Lebbrosa, lebbrosa.
TRE: Chi non salta è un lebbroso, chi non salta è un lebbroso.
TUTTI: Chi non salta è un lebbroso, chi non salta è un lebbroso.
GENITORE 2.: Pazzi, tutti pazzi. E questa sarebbe l’Italia prospera e civile.
UNO: Comitato di Salute dei Bambini.
DUE: CodiSaBam, CodiSaBam, CodiSaBam.
GENITORE 1.: Chi non salta è un lebbroso, chi non salta è un lebbroso.
TUTTI: Chi non salta è un lebbroso, chi non salta è un lebbroso.

3. In ufficio
LA DIRETTRICE è nel suo ufficio, parla al cellulare, è nervosa e aspetta una telefonata. Entra la SEGRETARIA.

SEGRETARIA: Direttrice c’è un genitore al telefono, glielo passo?
DIRETTRICE: Chi è?
SEGRETARIA: Non me l’ha detto.
DIRETTRICE: Sì, va bé, ma è di quelli contrari o di quelli favorevoli?
SEGRETARIA: Non l’ho capito, dal tono mi sembra molto agitato, però!

Squilla il cellulare.

DIRETTRICE (al telefono): Ah, sei tu. Sì, a che ora ci vediamo stasera? Senti, ti chiamo dopo, adesso non posso… Ti ho detto che non posso! … No, non sono arrabbiata, ho da fare, ti chiamo dopo!
SEGRETARIA: Allora, che cosa faccio, glielo passo oppure no?
DIRETTRICE: Chi? Ah, quel genitore di prima.

Squilla il telefono dell’ufficio.

SEGRETARIA: C’è un’altra chiamata sulla seconda linea. La prende lei o la prendo io?
DIRETTRICE: La prenda lei. E finché non arriva il fax dall’Istituto Malattie Tropicali non voglio parlare con nessun genitore.
SEGRETARIA: E io come faccio? Qui non si può più lavorare. Le linee sono intasate. I bidelli non sanno come trattenere la folla di genitori esagitati, le maestre sono preoccupate, i bambini di prima elementare piangono per la paura.
DIRETTRICE: E i collaboratori del dirigente dove sono? Non si trovano mai quando occorrono.
SEGRETARIA: Perché non chiamiamo la polizia?
DIRETTRICE: Ma è matta? Vada a lavorare, vada!
SEGRETARIA (seccata): Mi scusi, ma io non le permetto…
DIRETTRICE: Ne parliamo in un altro momento, vada adesso, e mi lasci libero il telefono che aspetto il fax.
SEGRETARIA: Non mancherò. (Esce dimostrando tutto il suo fastidio.)

Squilla il cellulare.

DIRETTRICE: Chi è? Sei tu, mamma… Sto bene, davvero, sto bene… (Piange:) Sì che ho mangiato, e non ho nemmeno la febbre… Non è vero che sto piangendo, è che stanno facendo dei lavori intorno alla scuola e lo sai che sono allergica. (Piange più forte:) Sto malissimo, mamma, sapessi che cosa mi è successo… non voglio andarci più a scuola… lo so che io sono la direttrice, ma qui sono diventati tutti matti, gli applicati, i maestri, i genitori, meno male che i bambini sono ancora normali…

Entra la SEGRETARIA.

SEGRETARIA: Signora!
DIRETTRICE: Non si usa più bussare?… (Al telefono:) Non ce l’ho con te, mamma!

La SEGRETARIA, senza parlare, le porge i fax.

DIRETTRICE: Ti chiamo dopo, mamma.

La SEGRETARIA esce senza salutare.

DIRETTRICE: Grazie, e mi scusi, per poco fa. (Legge:) «Lebbra (lepra, scaglia).
Sinonimo morbo di Hansen. Malattia infettiva cronica tropicale e subtropicale, che esordisce lentamente, dopo una lunga incubazione. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità i malati sono scesi dai circa 3.700.000 del 1990 ai circa 820.000 dcl1999.
Cause. Mycobacterium leprae che si diffonde con le goccioline di muco nasale.
Sintomi e segni. Interessa dapprima la cute e i nervi (fibre periferiche sensitive simpatiche) quindi le mucose (bocca, laringe, faringe), gli occhi, i visceri addominali, le ossa e i testicoli. Esordisce in genere con dolori e disturbi della sensibilità; la lesione iniziale è quasi sempre a livello della cute. In seguito si manifestano alterazioni della pelle, delle mucose e dei nervi (polinevrite con cordoni nervosi palpabili), ipersensibilità e successiva paralisi, con iposensibilità fino all'anestesia totale. Negli stadi più avanzati si assiste alla mutilazione degli arti e del volto.
Diagnosi. Biopsia di una lesione con dimostrazione del batterio.
Terapia. Farmaci attivi contro il Micobacterium leprae (rifampicina, clofazimina, ofloxacina, minociclina) associati in vari schemi terapeutici».
E adesso che mi hanno mandato la copia di una pagina d’enciclopedia che cosa faccio? Ne so ancora meno di prima! (Si nasconde dietro il computer.)

4. Incompresi
Entrano due genitori infuriati e si scontrano con la SEGRETARIA che cerca di bloccarli..

GENITORE 1.: Voglio vedere la direttrice.
GENITORE 2.: Subito!
SEGRETARIA: Se non avete un appuntamento vi prego di rispettare l’orario per il pubblico.
GENITORE 1.: Noi non rispettiamo un bel niente, la vogliamo vedere adesso, è importante.
SEGRETARIA: Tutto è importante.
GENITORE 2.: Sa benissimo che si tratta di una questione urgente.
SEGRETARIA: Certo, me lo immagino.
GENITORE 1.: Lei non immagina un bel niente.
GENITORE 2.: Forse se chiamiamo la polizia immaginerà meglio.
SEGRETARIA: Esagerato.
GENITORE 1.: Esagerata sarà lei, che non vuole farci passare.
GENITORE 2.: È uno scandalo che la dirigenza possa accettare una situazione simile?
SEGRETARIA: Quale situazione?
GENITORE 1.: Impedire l’ingresso a scuola di due bambini extracomunitari.
DIRETTRICE (alzandosi in piedi): Noi non impediamo l’ingresso a nessuno.
GENITORE 2.: Chi è lei?
DIRETTRICE: Sono il dirigente scolastico.
GENITORE 1.: Molto piacere, vogliamo parlare con lei.
GENITORE 2.: Siamo i rappresentanti del Comitato per l’Integrazione degli Extracomunitari.
DIRETTRICE: Venite.
SEGRETARIA: Direttrice, e agli altri che cosa dico?
DIRETTRICE: Ci pensi lei! Anzi, dica loro che questo pomeriggio potranno usare l’aula magna della scuola per riunirsi e discutere del problema. (Ai GENITORI:) Voi che ne pensate?
GENITORI: Mi sembra un’ottima idea. (Escono.)

Entrano due GENITORI del Co.di.Sa.Bam.

GENITORE 3.: Dov’è?
GENITORE 4.: Vogliamo la direttrice.
SEGRETARIA: È impegnata, in questo momento.
GENITORE 3.: La chiami, immediatamente!
SEGRETARIA: Si calmi!
GENITORE 4.: Qui chi si deve calmare è lei; quei bambini lebbrosi vanno scacciati via per sempre!
SEGRETARIA: Questa è una scuola dell’obbligo e non si caccia via nessuno.
GENITORE 3: Ma qui si tratta di una malattia contagiosa.
SEGRETARIA: E chi lo dice, è un medico, lei?
GENITORE 4.: No, ma questo che c’entra?

Entrano la DIRETTRICE e gli altri GENITORI. Si guardano in cagnesco. Uno dei nuovi entrati da dei fogli agli altri GENITORI.

DIRETTRICE: Prego, venite!
GENITORE 3.: Che cos’è? «Ore 16.00, assemblea dei genitori per discutere di importanti fatti che riguardano la scuola».
GENITORI 3. E 4.: Lebbrosi!
GENITORI 1. E 2.: Razzisti!

5. L’Assemblea
Sulla base musicale di Come Together nella versione live di Lennon vengono sistemate una decina di sedie, alcune rimarranno vuote.
I GENITORI sono nervosissimi e sempre disponibili tanto a litigare quanto a cambiare parere.

UNO: Dobbiamo nominare un presidente e un segretario.
DUE: Giusto.
TRE: Ma volete scherzare? Questa è una riunione di genitori, mica la costituzione di un partito politico.
QUATTRO: Giusto!
CINQUE: Sono d’accordo, ma qualcuno che faccia da presidente moderatore e da segretario verbalizzante ci vuole.
SEI: Giusto, dobbiamo chiudere questa assemblea con un documento comune.
SETTE: Comune un corno, io non firmo un bel niente, con i razzisti!
OTTO: Pacifista!
NOVE: Guerrafondaio.
UNO: D’accordo, niente presidente e niente segretario, però, chi vuole prenda appunti e comportiamoci da persone adulte ed educate. Rispettiamo i turni di parola.
DUE: Parlo io.
TRE: E stia zitto!
QUATTRO: Sia zitta lei, mi scusi.
CINQUE: Basta. Quei lebbrosi se ne devono andare. Con le buone o con le cattive.
SEI: Razzista.
SETTE: Extracomunitario.
OTTO: Guardi che la denuncio, sa!
NOVE: Io so tutto. Scusate, statemi a sentire. I due bambini indiani, in realtà, non sono indiani, ma dello Sri Lanka.
UNO: E con questo, anche lì c’è la lebbra!
DUE: Lo lasci parlare.
TRE: La so anch’io questa storia, non sono scappati per la lebbra ma per la guerra civile.
QUATTRO: Spie di Bin Ladem.
CINQUE: Ma chi, due bambini di dieci anni?
SEI: No, i genitori.
SETTE: Ma noi stiamo parlando dei bambini.
OTTO: E invece no, parliamone di questi genitori di bambini lebbrosi.
NOVE: Le dico che non sono lebbrosi, sono sanissimi, intelligentissimi e li hanno iscritti in classe quinta solo perché hanno dieci anni e non sanno ancora bene l’italiano, altrimenti li avrebbero già mandati alle medie. Glielo dico io, che in India cominciano prima.
UNO: Diamoci una calmata, è vero, questi bambini non sono indiani, e nemmeno dello Sri Lanka, ma sono italiani, anzi, sardi.
DUE: Ma che dice, è pazzo?
TRE: È vero, la madre dei ragazzini è nata ad Alghero, da piccola era in classe con mia sorella.
QUATTRO: Ma è sicura?
CINQUE: Anche mia cognata me l’ha detto. Da giovane era una ragazza piuttosto bruttina, insignificante, e se n’è andata via col primo che le ha fatto gli occhi dolci.
SEI: Verissimo, una mia amica c’era. Lui era un pakistano che vendeva collanine in spiaggia. Le ha detto: «Bella signorina vuoi comprare braccialetto da schiava?». E se n’è andata via con lui abbandonando tutto quanto. La mamma sta ancora piangendo, povera donna!
SETTE: Fesserie, è lui di Alghero ed è lei indiana.
OTTO: È vero! Lui è un ingegnere civile che era andato in Cashemire per costruire un ponte e lei era la figlia del capocantiere.
NOVE: Macché, era una schiava bambina prigioniera di un capotribù e lui l’ha riscattata pagando un milione di rupie.
UNO: E quanto fa in euro?
DUE: Un sacco di soldi.
TRE: Non è vero niente, si sono conosciuti a Londra, all’università. Tutte due avevano vinto la stessa borsa di studio per il master d’informatica e comunicazioni telematiche, e tra stranieri, lei dalla Sardegna e lui da Bombay… è scoppiata la scintilla e…
QUATTRO: Ma che bella storia! E allora perché lei è vestita di stracci e ha il neo sulla fronte e lui sembra un vucumprà?
CINQUE: Non sono ingegneri proprio per niente, e nemmeno mezzi sardi e mezzi indiani, sono due poveracci, che li ho visti io in Comune chiedere i documenti per l’assistenza.
SEI: Non è vero, lei è una algherese convertita all’induismo e lui è un ingegnere e si sono conosciuti in un monastero, buddista.
SETTE: Bugia, lui è anglo-pakistano e si sono conosciuti a Londra.
OTTO: Sono due poveracci lebbrosi senza neanche una lira.
NOVE: In più lei è una racchia e lui è scuro come un’oliva sott’olio.
UNO: E voi siete tutti quanti un branco di stupidi razzisti.
DUE: Stupido sarà lei, oltre che ignorante, antipatico, puzzolente e lebbroso.
TRE: Non è possibile, la mia bella scuola, dove hanno studiato i miei genitori, i miei nonni, i miei bisnonni, io stessa e adesso i miei figli rovinata da tanta ignoranza.
QUATTRO: Ma lei lo sa come si manifesta la lebbra?
CINQUE: Giusto, li avete mai visti i lebbrosi?
SEI: Io no.
SETTE: Nemmeno io.
OTTO: Io sì, invece.
NOVE: Sono … (piange:) scusate.
UNO: Perché piange?
DUE: Stai zitto, arido senza cuore. (Piange.)
TRE: Ma che cosa c’è da piangere?
QUATTRO: Non hai mai visto un lebbrosario? (Piange.)
CINQUE: Io sì. (Piange.)
SEI: E voi (asciugandosi le lacrime), avete mai visto un lebbrosario?

Vengono mostrate eloquenti immagini sulla condizione dei lebbrosi e dei lebbrosari.
Sulla base di She’s Leaving Home nella versione di Syreeta, vengono portate via le sedie.

6. Di nuovo in ufficio

DIRETTRICE: Mi faccia vedere?
SEGRETARIA: Che cosa devo farle vedere, non abbiamo nulla!
DIRETTRICE: Non è possibile, dal Ministero non hanno risposto?
SEGRETARIA: Certo, guardi qua. Ci informano che si tratta di una questione che esula dalle loro competenze.
DIRETTRICE: E chi si deve occupare della scuola, se non il Ministero della Pubblica Istruzione?
SEGRETARIA: Dicono che la questione è di competenza del Ministero della Salute.
DIRETTRICE: E quindi?
SEGRETARIA: Loro dicono che è una questione di ordine pubblico e che se ne deve occupare il Ministero degli Interni.
DIRETTRICE: Vabbè!
SEGRETARIA: E da quel Ministero ci hanno comunicato che la richiesta di chiarimento va inoltrata al Ministero degli Esteri, perché i bambini sono cittadini stranieri.
DIRETTRICE: E l’abbiamo fatto?
SEGRETARIA: Come no! E dagli affari esteri ci hanno comunicato che senza indicazioni più precise non sanno che cosa fare. Infatti, pare che lui o lei sia cittadino europeo, o che abbia la doppia cittadinanza, non si sa bene se anglo-italiana o italo-indiana.
DIRETTRICE: Ma che cosa vogliono, che vada io fino in India? Non è possibile attivare il consolato indiano in Italia?
SEGRETARIA: Abbiamo fatto anche questo…
DIRETTRICE: Finalmente, e che cosa abbiamo scoperto?
SEGRETARIA: Niente. L’India è talmente grande che ci vorranno ancora giorni o settimane prima che, da un distretto all’altro, riescano a ricostruire tutta la documentazione che occorre.
DIRETTRICE: E nel frattempo, come ci comportiamo?
SEGRETARIA: Dal punto di vista legislativo, in assenza di particolari sanzioni amministrative, siamo in una botte di ferro: abbiamo l’autocertificazione dei genitori e quindi i bambini vano accolti a scuola.
DIRETTRICE: Già, ma se accogliamo loro, i genitori degli altri non mandano i propri.
SEGRETARIA: Ma noi non passiamo fare altro.
DIRETTRICE: Assurdo, dovremmo prima chiamare la polizia per impedire che i contestatori facciano del male ai due indiani, e poi chiamare i carabinieri per obbligare quegli stessi genitori che protestano a mandare a scuola i loro figli.
SEGRETARIA: Non so che dirle, a parte che mi pare che abbiano tutti perso la testa.
DIRETTRICE: Ma dico io, basterebbe un po’ di buon senso.

Escono.
7. La notte porta consiglio
Musica (Come Together in versione classica). Si ripete la prima scena. Questa volta i primo piano vi sono due bambini che giocano.

FIGLIO 2.: E vai!
FIGLIO 1.: Voglio la rivincita.
MOGLIE 1.: Basta bambini. Mi pare che abbiate giocato abbastanza.
FIGLIO 1.: Dai, mamma, voglio vincere almeno una partita.
FIGLIO 2.: Impossibile, sei una schiappa!
FIGLIO 1.: Lo senti, mamma?
MOGLIE 1.: Basta, adesso. Aiutatemi ad apparecchiare.
FIGLIO 1.: Mamma, perché non vuoi che andiamo più a scuola?
MOGLIE 1.: Ma non è vero, io voglio che andiate, a scuola.
FIGLIO 2.: E allora perché non ci mandi?
MARITO 1.: Perché ci sono dei problemi da risolvere. Ma vedrete che appena sarà tutto chiarito tornerete subito a scuola.
FIGLIO 1.: Io mi annoio, a casa.
FIGLIO 2.: Anch’io, voglio andare a scuola.
MARITO 1.: Vedrete che passerà in fretta e vi dimenticherete di questa storia.
MOGLIE 1.: Dimenticheremo tutto, statene certi.
FIGLIO 1.: Come il principe dimenticò la sua promessa sposa a causa dell’anello maledetto?
MARITO 1.: Che cosa?
MOGLIE 1.: Ma sì, non ricordi, quella vechia fiaba che raccontavi per farli dormire?

Riprende la musica, escono i “vecchi” genitori ed entrano i “nuovi”.

FIGLIO 1.: Ho vinto!
FIGLIO 2.: Non è vero, hai barato!
FIGLIO 1.: Non sai perdere!
FIGLIO 2.: Mamma, mamma, mi ha fatto male!
MARITO 2.: Basta, in camera vostra!
MOGLIE 2.: Non essere così severo, sono bambini!
MARITO 2.: Alla loro età ero già garzone nella bottega di mio padre.
MOGLIE 2.: Altri tempi, adesso non è più così!
MARITO 2.: Sono belli questi tempi, sono belli.
MOGLIE 2.: Almeno, adesso si può parlare.
FIGLIO 1.: Perché non andiamo più a scuola?
MARITO 2.: Zitto, parla solo quando sei autorizzato!
FIGLIO 2.: Ma perché, noi vogliamo andarci, a scuola.
MARITO 2.: Basta, a dormire, voi fate ciò che dico io e basta!
MOGLIE 2.: Venite, ragazzi, vi accompagno in camera.
FIGLIO 1.: E ci racconti una storia come quando eravamo piccoli?
FIGLIO 2.: Sì, dai!
MOGLIE 2.: Ma siete grandi, adesso.
FIGLI: Dai, dai!
MARITO 2.: Che sia una storia sarda, almeno, che appartenga alla nostra tradizione.
MOGLIE 2.: Sì, quella di Mariedda che viene dimenticata dal principe a causa dell’anello fatato.
FIGLIO 1.: Mamma, perché non siamo andati a scuola, in questi giorni?
FIGLIO 2.: Io mi annoio sempre a casa.

Riprende la musica, escono i “vecchi” genitori ed entrano i “nuovi”.

MOGLIE 3.: Non vi preoccupate, ci tornerete presto, a scuola.
FIGLIO 1.: Davvero?
FIGLIO 2.: Non vedo l’ora.
MOGLIE 3.: Ho saputo che avrete due compagni nuovi, tra breve.
MARITO 3.: Già, due gemellini come voi.
FIGLIO 1.: Forte.
MARITO 3.: Sole che questi sono un maschio e una femmina.
FIGLIO 2.: Mi piace.
MOGLIE 3.: E sono indiani.
FIGLIO 1.: Con le piume?
MOGLIE 3.: No, vengono dall’India.
MARITO 3.: Che ne dite se ci documentiamo un po’, così quando arrivano potrete accoglierli meglio.
FIGLIO 1.: Che bello!
FIGLIO 2.: Voglio sapere tutto dell’India.
MOGLIE 3.: Ho trovato un libro di fiabe indiane, che ne dite se ne leggiamo una?
FIGLI: Dai!

8. La fiaba
La mamma legge le pagine del libro e tutto si anima.
(Pantomima della fiaba indiana: L’anello di Sakùntala. Adattamento della versione spagnola di Alejandro Casona, 1933)

Sakùntala, amata dai più colorati uccellini del bosco, il più delicato fiore dell’India, e Duchmanta, il giovane re cacciatore, figlio della Luna, sono i protagonisti di questo dramma scritto, dal poeta Kalidasa più di mille anni fa.
In India, ai piedi del monte Himavat, c’è un bosco sacro dove vivono i sacerdoti in contemplazione e nessuno uomo armato può entrarvi.
Sakúntala, la figlia adottiva di Kanva, è delicata e graziosa come un gelsomino e si occupa delle piante e degli animali del bosco. Soprattutto di un cerbiatto che alleva e nutre personalmente.
Un giorno, il giovane re Duchmanta, discendente del dio della Luna, giunse al bosco armato d’arco e frecce e: – Chi osa sporcare di sangue il bosco della meditazione? – gli chiesero le fronde degli alberi.
Il re capì di trovarsi in un luogo sacro. Discese dal suo carro e vi lasciò sopra armi e mantello e si inoltrò nel bosco.
Gli animali e le piante lo lasciarono passare. E Duchmanta si diresse verso un canneto di bambù, da dove giungevano voci e risate di donne.
Fu così che vide per la prima volta la bella Sakúntala, vestita di cortecce e foglie di mimosa come orecchini.
Il giovane re dimenticò gli affari di stato e, col cuore tremante, si diresse verso la figlia del sacerdote e le parlò.
Rassicurate dalla dolcezza del suo tono e dalla gentilezza delle sue parole, le ragazze gli offrirono un piatto di latte e riso e molta frutta, in segno di ospitalità.
Quando arrivò, Kanva riconobbe nel giovane il re e gli disse che il rettore del monastero era assente, ma che se avesse accettato di pernottare da loro, al mattino avrebbe senz’altro potuto visitarlo.
Duchmanta accettò l’offerta, ma i suoi occhi erano solo per la graziosa Sakúntala.
Il rettore tardò vari giorni a rientrare dal suo pellegrinaggio, e il re rimase volentieri ad aspettarlo, perché il suo cuore, ormai, batteva solo per Sakúntala. E quando, al tramonto, seduti sull’erba, conversavano insieme, le loro parole si intrecciavano come i rami degli alberi.
Un giorno Duchmanta le disse di amarla. Sakúntala abbassò gli occhi e con l’unghia scrisse queste parole su una foglia di loto: «Non conosco il tuo cuore, ma notte e giorno l’amore mi tormenta, perché ho riposto in te ogni speranza».
Il re la strinse tra le braccia e, agli occhi degli dei, si giurarono eterno amore.
Qualche giorno dopo i consiglieri di corte giunsero al bosco per reclamarlo e Duchmanta disse a Sakúntala: -Prendi il mio anello d’oro, sposa mia. C’è inciso il mio nome. Conta una lettera per ogni giorno e poi raggiungimi al palazzo.
Sakúntala, piena di tristezza, contò ogni giorno una lettera dell’anello, e, assorta nei suoi pensieri, dimenticò i doveri d’ospitalità nei confronti del rettore Durvasa, appena rientrato dal lungo viaggio. E quello, per l’offesa, la maledisse: – Il re dimenticherà Sakúntala, come l’ubriaco le promesse. Soltanto l’anello nuzziale potrà resituirgli la memoria. Non perdere quell’anello, se tieni a lui, Sakúntala!
Ma lei non sentì nemmeno una parola e le acque del sacro Gange le portarono via l’anello, mentre era intenta nelle sue abluzioni la mattina della partenza per il palazzo.
Kanva la salutò dedicandole nuovi versi:
Alberi sacri del bosco celeste
Sakùntala indossa nuova veste.
Ci lascia per la casa del re,
per la casa del rei lei ci lascia,
indossando lei una nuova veste,
sacri alberi del bosco celeste.
Gli alberi aumentarono il loro profumo e le regalarono un vestito di lino, resina profumata e diademi e bracciali di foglie e fiori.
Sakúntala salutò il suo cerbiatto, girò tre volte intorno al fuoco sacro e venne accompagnata dai sacerdoti fino al limitare del bosco.
Duchmanta era ancora riunito in Consiglio quando gli dissero che due sacerdoti erano giunti in compagnia di una graziosa fanciulla.
– Veniamo a condurre la sposa in casa dello sposo, oh re. Questa è la tua sposa Sakùntala.
Duchmanta non capiva che cosa stesse accadendo e vedendo il pallore di quella fanciulla che non osava alzare gli occhi, rispose ridendo: – Che scherzo è mai questo, come posso sposare una donna mai vista prima?
Ma i sacerdoti non risero, e Duchmanta, pensieroso si avvicinò alla bella fanciulla: – Dimmi, Sakùntala, quale prova mi porti, puoi mostrare il mio anello nuziale?
Rallegrata da quelle parole Sakúntala fece per mostrare l’anello, e si accorse di non averlo più. Le forze la abbandonarono e quasi svenne.
Duchmanta, commosso, chiamò il consigliere anziano e quello diede il suo saggio parere: – Questa ragazza aspetta un bambino. Se il neonato avrà sulla mano destra una macchia a forma di ruota sarà tuo figlio, come annunciato dalle profezie.
Sakúntala, piena di vergogna, non volle aspettare un minuto di più e fuggì dal palazzo. Non riusciva a perdonare il duro cuore di Duchmanta. Che la fece cercare dai suoi schiavi, senza successo.
Poco tempo dopo fu condotto a palazzo un pescatore che aveva al dito l’anello del re. Fu accusato di essere un ladro, ma quello spiegò che l’anello l’aveva trovato nel ventre di un pesce pescato nel Gange.
Duchmanta prese l’anello tra le dita e la nube che offuscava la sua memoria fu spazzata via dal sole. Ricordò ogni cosa; il cerbiatto che l’aveva condotto nel bosco sacro, gli occhi di Sakúntala e il loro matrimonio celebrato davanti alla madre Luna.
Il re ripagò degnamente il pescatore e corse al bosco sacro. Ma non vi trovò Sakúntala; nessuno sapeva più dov’era.
Passarono gli anni, e quando scoppiò la guerra celeste tra gli dei e i giganti Duchmanta, figlio del re della Luna, combatté tra le fila del dio Indra. E dopo aver sconfitto i giganti Duchmanta ebbe in premio una ghirlanda di fiori di mandara, uno dei cinque alberi eternamente fioriti.
Di ritorno sulla Terra, Indra fece in modo che il carro di Duchmanta si fermasse sulla cima di un’altissima montagna, consacrata alla penitenza.
Lì, con il corpo coperto di pelli di serpente, i penitenti solitari pregano immobili.
Duchmanta si avvicinò per avere la loro benedizione e, tra gli alberi vide un bellissimo bambino che giocava con un cucciolo di leone. Il re si commosse, a quella scena, la vista di ogni bambino lo riempiva di tenerezza e rimpianto.
Accadde allora che al bambino cadesse il talismano che teneva legato al collo, e Duchmanta si chino per raccoglielerlo.
– Sfortunato straniero – disse il bambino, – nessuno può stringerlo tra le mani senza tramutarsi in serpente, tranne me e mio padre!
Duchmanta non capiva. Quel talismano era tra le sue mani e lui non era divenuto ancora un serpente. Pieno di speranza prese la mano destra del bambino e vide una macchia a forma di ruota.
Lo abbracciò e gli chiese chi fosse.
– Sono il nipote del re della Luna. Mio padre è Duchmanta, l’eroe che non ho mai conosciuto.
Fu quando apparve Sakùntala, smagrita, i capelli raccolti ma resa ancora più bella dal dolore.
Duchmanta s’inginocchiò ai suoi piedi e le baciò l’orlo della veste. Lei gli chiese di alzarsi e lui le offrì ancora una volta l’anello nuziale.
Poi, sul carro d’oro del dio Indra ritornarono in tre nella capitale del regno. E gli dei, commossi, misero questa storia in versi, scrivendola con inchiostro di rugiada celeste.

Sulla base di Across te Universe viene chiusa la scena: I bambini dormono, e il babbo e la mamma rimettono i personaggi nel libro, prima di chiuderlo.