Anne Sexton. In memoriam
Puesia
Morire è facile se nella cesta vedi
tutte le cose facili che ci domandano
e non sappiamo come fare.
Morire è un'idea gradevole se la felicità
che han cucinato per te
stilla da un imbuto a cui non puoi sfuggire,
o la luna di marzo è soffice besciamella,
o la cipolla bruciata s'è infiltrata
come un'aroma d'Auschwitz
attraverso dei forellini, molto vicini,
come una comunità di proprietari.
Morire è una cosa pertinente
quando contando sappiamo che due più due fa uno
e che con questo non si può comprare
neanche mezzo chilo di ceci.
Morire è un verbo "riflessivo" che comincia
quando vede approssimarsi l'estrema unzione del dire: "io ti amo".
È un'autogratificazione per aver noi bevuto
un buon bicchier di vodka in un autogrill.
Moriamo noi come montoni sopra l'altare ebreo.
Morire è conclusione quando fedele agli errori
il curatore corregge: dove dice "domani"
dovrebbe dire: "uccidi".
Ed il verso è una spada indirizzata
al ventre di peluche di un elefante
o al cuore di carciofo dove la tua mano dorme.
Morire in America dev'essere una tentazione.
Ma di mia madre io conservo solo un biglietto del lotto,
con numero palindromo, ed il ricordo gualcito
di quella logora camicetta di satin. E qui, la luna
cala; e coi racimoli del buio imbottigliamo
vino giovane. Morire puoi anche in una cantina,
ma contemplare la rima ci piace, e fuori fa caldo,
la terra ha iniettati cateteri per ogni dove che sono
canali di liquidi saburrali; però non c'è vento,
non piove, è cominciato bene ottobre.
La notte del 4 ottobre 1974 Anne Sexton entrò nel garage di casa sua con un bicchiere di vodka in mano ed il cappotto di sua madre sulle spalle. Salì in macchina, mise in moto il motore e lasciò che il monossido di carbonio le togliesse la vita. (Dalla Introduzione di JonioGonzález alla traduzione della raccolta El asesino y otros poemas pubblicata da Icaria, 1996).