Versione :
Talianu

DON KIXOTU

Interpreti:

DON KIXOTU
SAN CIUPÀNCIU
PIFFERAIO

La scena è vuota e si riempirà di luci e oggetti in appoggio alle azioni che si susseguiranno.

1. Entra DON KIXOTU, veste di nero con elementi che ne denotano la provenienza militare, alla cintura ha una sorta di manganello; spinge una bicicletta-cavallo cui sono appese due sacche piene di libri. È molto pesante e la muove a fatica, ciò nonostante canticchia una musica epica (potrebbe essere il jingle di Guerra stellari). Rovescia la prime due sacche al centro della scena e esce subito dopo a gran velocità e accelerando il canto.
Entra SAN CIUPÀNCIU, veste di bianco con elementi che ne denotano l’origine contadina, indossa stivali e berretto neri e di stoffa; conta delle monetine sul palmo della mano
.

SAN CIUPÀNCIU: Unu, duoso, trese, bàttoro, chimbe, sese… (infila le monete in una tasca e ne pesca ancora dall’altra. Le mette sul palmo della mano e riprende:) Unu, duoso, trese, bàttoro, chimbe… Chimbe e sese sunu… doighi! Bene bene. No!, Lampu, e ite bene e bene, male! Che chimbe e sese sunu undighi. Undici. Undici monete da un centesimo l’una. Sono tante, mica poche. Undici. Chissà quanto fa in euro. Aspe’ che me le conto di nuovo. (Si allontana rimanendo concentrato sulle monetine. Quando arriva in prossimità del mucchio di libri, però, li evita senza degnarli del minimo interesse. Si accovaccia in una estremità della scena e frugandosi ben bene nelle tasche dispone le monetine davanti a sé e le conta e le riconta).
DON KIXOTU (come prima. Questa volta però, invece di rovesciare il contenuto delle sacche prende i libri uno dopo l’altro e cita i titoli): Sardegna turistica. Mille consigli per fare affari con i tedeschi. Via! (Lo butta nel mucchio). La Sardegna ai Sardi. Ma solo quelli che se la meritano. Via! Andar per funghi ed altre malattie della pelle. Interessante (lo mette sotto il braccio destro). Zironimu Zirottu Palas, la questione delle questioni: come coltivare l’olivo in tutte le stagioni. Via! (Ci ripensa:) Oppure no, un domani potrebbe servire, quando diventassi re, i miei ministri dovranno pure istruirsi sull’arte del buon governo delle cose del popolo! (Lo mette sotto il braccio sinistro, in questo modo, però, ha i movimenti molto impediti e non riesce a prendere altri libri senza che i primi due gli cadano. La prima volta, uno solo, poi l’altro e, dopo averli risistemati tutti e due insieme. Finalmente si guarda intorno e si decide a chiamare l’altro:) Ehi, Ciù! Dico a te, Ciupànciu!

L’altro non gli bada, è troppo indaffarato a contare monetine.

DON KIXOTU (gridando): San Ciupànciu, dico a te, sei sordo o ammutinato?
SAN CIUPÀNCIU: Né sordo e né ammutato, non le vedi che sto contando, oh don Kixotu!
DON KIXOTU: Lo vedo, lo vedo, mio caro villico. E mi dispiace distoglierti dai tuoi pensieri, ma ho certi affari urgenti che mi obbligano ad usare della tua persona. E dunque appropinquanti innanzi a me e prestami la tua utile opera.
SAN CIUPÀNCIU: Non ci penso nemmeno. A parte che non ho capito un acca, adesso ho da fare, e boh!
DON KIXOTU: Capisco la tua riottosità, giovane e fidato scudiero, ma sarai ricompensato per questo.
SAN CIUPÀNCIU: Né compensato né legno vero, non mi muovo, nemmeno se mi pagate.
DON KIXOTU: Pagate quanto?
SAN CIUPÀNCIU: Ho da fare. (Conta a voce alta:) Unu, duoso, trese, bàttoro, chimbe, sese…
DON KIXOTU: Non è molto ciò che ti chiedo, e soprattutto non è difficile. Devi solo aiutarmi a discernere tra queste dotte pubblicazioni. Devo ancora decidere quali, fra questi volumi, portare meco nell’imminente viaggio. La mia idea è di poggiare sulla tua mano destra i libri molto utili, su quella sinistra quelli che potrebbero servire un domani e buttare tutti gli altri. È ho intenzione di pagarti, per questo.
SAN CIUPÀNCIU: Pagare, pagare quanto?
DON KIXOTU: Non saprei, cinque pezzi da un euro ciascuno?
SAN CIUPÀNCIU: Non sento!
DON KIXOTU: Dieci pezzi da cinquanta centesimi, può andare?
SAN CIUPÀNCIU: Non se ne parla.
DON KIXOTU: Cinquanta pezzi da dieci centesimi?
SAN CIUPÀNCIU: È ancora poco.
DON KIXOTU: Cinquecento pezzi da un centesimo l’uno! E non un soldo di più.
SAN CIUPÀNCIU: Affare fatto! (Si alza di scatto, ma a metà corsa ricorda di aver lasciato le sue monete per terra).
DON KIXOTU: Ti aiuto a raccoglierle.

SAN CIUPÀNCIU gli ringhia contro. Dopo essersi rimesso le monete in tasca si presenta davanti a DON KIXOTU: che cerca di utilizzarlo come scaffale umano. Ma è un disastro. Più di una volta i libri cadranno e bisognerà ricominciare da capo.

DON KIXOTU: Poesie scelte di Barbareddu ‘E Monte. Qui! Billoi Cappai, i nuraghe questi sconosciuti. Erano hangar per astronavi marziane? Qua! Breve storia del Sàrrabus, dall’eneolitico a quando è morto babbo mio buonanima. Via! Anzi, no, ci penso un po’ su e poi decido. Dopotutto, caro il mio valido collaboratore, se io un domani ti offrissi il governatorato di quelle terre, tu avresti bisogno di una base teorica da cui partire.
SAN CIUPÀNCIU: Base di cosa?
DON KIXOTU: Teorica, uno studio di fattibilità!
SAN CIUPÀNCIU: Ho capito, e per fare cosa?
DON KIXOTU: Te l’ho detto, il governatore. Perché quando diventerò re dei re di questa mia Sardegna amata, ti nominerò governatore della ragione che tu preferirai, anche del Sàrrabus, perché no?
SAN CIUPÀNCIU: E la gente del Sàrrabus che cosa dirà, si lascerà governare?
DON KIXOTU: Perché non dovrebbe, se glielo chiede il suo signore, il giusto, onesto e prode Don Kixotu.
SAN CIUPÀNCIU: E chi è?
DON KIXOTU: Sono io, non mi riconosci?
SAN CIUPÀNCIU: Non sono sicuro, con tutti questi libri ho la visuale molto limitata.
DON KIXOTU: Hai ragione, mio giovane amico. Pazienta pochi istanti ancora in cotal guisa e poi ti libererò. (Esce e poi ritorna spingendo un grande cubo, che potrebbe essere disposto su rotelle:) Ecco, appiccheremo il fuoco all’interno e daremo alla fiamme i libri più indegni. Vieni, poggia per terra in due pile distinte codesti che reggi e aiutami alla bisogna.
SAN CIUPÀNCIU (rovesciando tutto giù): Va bene, quello che lei mi dice io faccio. A su fogu! Basta che poi mi paghi. E dove me le metto cinquecento monete. Minimo minimo mi sfondano le tasche, mi ci vuole una bella borsa, altro che!
DON KIXOTU (prendendo i libri dalle sacche e lanciandoglieli): Sardegna, quale economia? Nel fuoco.
SAN CIUPÀNCIU: A su fogu!
DON KIXOTU: Leggende vere della Sardegna magica, nella prima pila. Che questa è una vera bibbia.
SAN CIUPÀNCIU: Bruja, tè!
DON KIXOTU: Le tradizioni vere della Sardegna che non muore mai. Tieni, che questo molto ci servirà.
SAN CIUPÀNCIU: A fare una bella fiammata. Aiò!

In quel momento DON KIXOTU si rende conto che l’altro non separa i libri che riceve ma li butta tutti nel fuoco.

DON KIXOTU: Che fai, villico, non attendi alle mie indicazioni e butti tutto nel fuoco?
SAN CIUPÀNCIU: Lìberos sunu, e los appo a brujiare e tottu.
DON KIXOTU: Sciocco zotico, non sai che esistono i libri buoni e i libri no, e quelli buoni vanno salvati, seguiti, curati, cullati come bambini?
SAN CIUPÀNCIU: Sempre libri, sono, fatti di carta e di bugie.
DON KIXOTU: Tu non capisci, non capisci, e adesso dovrai entrare nel fuoco per salavarli.
SAN CIUPÀNCIU: Ite? Che cosa, io nel fuoco per quattro libri che non terrei a casa mia nemmeno se sapessi leggere bene?
DON KIXOTU: Sì, tu immergerai la tua mano nel fuoco ed estrarrai ciò che resta di quelle pagine preziose.
SAN CIUPÀNCIU: Facciamo così, mi dai solo la metà delle monete che avevamo concordato e i libri bruciati te li peschi da solo.
DON KIXOTU: Non ti pagherò, invece, ma ti darò venticinque frustate per ogni libro che avrai ingiustamente danneggiato (sfila il manganello e lo brandisce minaccioso).
SAN CIUPÀNCIU (fugge via e nella corsa rovescia la bicicletta-cavallo, si rialza e poi inciampa nel primo mucchio di libri; trovandosi in difficoltà lancia addosso all’altro i libri): Baidindi, òmine maccu.
DON KIXOTU: Vile, i libri no, non li ho ancora selezionati (intanto si difende dai lanci colpendo i volumi con il manganello e facendoli volare).

La scena può prolungarsi giocando sull’inseguimento e la battaglia libresca oppure interrompersi subito, perché il tettuccio del cubo si è aperto e dall’interno stanno saltando fuori pagine di libro.

2.
Dopo la breve “esplosione” di fogli, dal cubo emergono fraseggi musicali che si fanno sempre più intensi e coerenti. I due si danno tregua per capire di che cosa si tratti. Lentamente acquistano fiducia e coraggio; mentre DON KIXOTU recupera le pagine, SAN CIUPÀNCIU tasta il cubo e cerca di capire che cosa succeda.

SAN CIUPÀNCIU: Vuoto, dal rumore sembra vuoto… e caldo. E certo, dentro c’era il fuoco!
DON KIXOTU (recupera le pagine e legge): «costruiamo simulacri che possano consolarci della perdita del passato lontano e recente; e a quelli attingiamo…»
SAN CIUPÀNCIU: Boh, inoghe b’est su dimoniu. Meh!
DON KIXOTU: «Anche una lingua o un costume possono morire. E ciò non è scandaloso?»
SAN CIUPÀNCIU: Non b’intendo nudda, boh?
DON KIXOTU: «Perché l’universale è concreto, non astratto. Il problema dunque è del come la cultura di un gruppo o di un popolo sia capace di orientare e trasmettere il mutamento della propria eredità sociale, attraverso le proprie istituzioni, politiche e culturali, formative e informative e attraverso il proprio grado di autodeterminazione e di consapevolezza storica».
SAN CIUPÀNCIU: È infuocato ma non brucia, è vuoto ma suona… e ite diaulu?
DON KIXOTU: «Il potere dell’accademia si sta consumando, non può assolutamente niente rispetto alla realtà nuova che matura sempre più velocemente, è tagliato fuori».
SAN CIUPÀNCIU: Non mi rimane altro da fare (prende lo slancio e colpisce con il piede ripetutamente. Ma, in breve, il suo calcio entra in sintonia con la musica e ne segna il tempo).
DON KIXOTU: «Le realtà culturali lavorano per il futuro, preparano opportunità, intervengono e sanciscono corollari sociali, politici, ambientali».
SAN CIUPÀNCIU: Custa est una fattura, balla! Ma fattura bona o fattura mala?
DON KIXOTU: «Laddove tutto è uguale a tutto, e tutto ha valore proprio perché niente vale più, se è vero che l’importante è la presenza. Logiche da talk show televisivo, dove non conta ciò che si dice, ma il modo con cui ci si acconcia i capelli. Logiche che costringono la Sardegna a spettacolarizzarsi ed autodistruggersi: faccenda di cloni, non di uomini».

La musica si interrompe di botto, Pifferaio, aprendo una porticcina, emerge dal cubo con un grido da rapper e invita i due a seguirlo nel refrain.

PFFERAIO:
Massimo, Massimo, Massimo che dici?
Massimo, Massimo, Massimo che dici?
Massimo, Massimo, Massimo che dici?
DON KIXOTU E SAN CIUPÀNCIU:
Massimo, Massimo, Massimo che dici?
Massimo, Massimo, Massimo che dici?
PIFFERAIO:
Laddove tutto è uguale a tutto,
e tutto ha valore proprio perché…
niente vale più
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?),
se è vero che l’importante è la presenza.
Se è vero che l’importante è la presenza.
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?)
Logiche da talk show televisivo,
dove non conta ciò che si dice…
ciò che si dice
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?),
ma il modo con cui ci si acconcia i capelli.
Ma il modo con cui ci si acconcia i capelli.
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?)
Logiche che costringono la Sardegna a spettacolarizzarsi…
Logiche che costringono la Sardegna a spettacolarizzarsi…
ed autodistruggersi.
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?)
Faccenda di cloni, non di uomini.
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?)
Faccenda di cloni, non di uomini.
(Massimo, Massimo, Massimo che dici?)
Faccenda di cloni, non di uomini.

3.
Dopo un istante di panico i due si lanciano addosso a PIFFERAIO costringendolo a scappare e a rifugiarsi all’interno del cubo. Nella concitazione il “dado” viene tirato più volte e, quando i due saranno convinti di avere sconfitto i propri fantasmi, PIFFERAIO vi si siede a gambe penzoloni e suona una musica che riecheggia un “ballu” tradizionale. I due sono esausti e pieni di libri: negli stivali, nel cappello, nella camicia. Se ne liberano anche comicamente (una copertina rigida buca le chiappe di SAN CIUPÀNCIU). Finalmente rimangono con in mano l’ultimo libro: Ricchi con poco, quello del servo, Ebbri d’amore, quello del padrone.

SAN CIUPÀNCIU (legge quasi compitando): «Evitate le boutique, i prodotti di marca e qualunque cosa venga reclamizzato su giornali e tivù…»
DON KIXOTU (declama): «Non accontentatevi mai. La vostra anima gemella non vive sul pianerottolo accanto, ma all’altro capo del mondo!»
SAN CIUPÀNCIU: «Non badate alla forma delle cose ma alla sostanza. E se un cibo non ha esattamente il sapore e la consistenza che vi piacerebbe, pensate a quanto l’avete pagato poco e a quanto state mettendo da parte per il futuro mentre lo masticate».
DON KIXOTU: «Il vostro Lei o Lui è splendido. Al suo passaggio nessuno rimane indifferente, perfino il vento smette di soffiare e il sole ritorna a splendere anche se è notte».
SAN CIUPÀNCIU: «Ricorda: non comprare adesso quello che puoi pagare di meno domani!»
DON KIXOTU: «Ricorda: il vero amore è sempre quello nuovo!»

La musica si intensifica mentre i due rimangono immobili, come a interiorizzare ciò che hanno appena appreso. PIFFERAIO scende dal suo “trono” e va a dialogare con i loro pensieri suonando sempre più addossato ai due. Finalmente decidono. Mentre parlano PIFFERAIO dispone i libri in pile regolari. Piccoli “grattaceli” che si ergono sullo sfondo e una sorta di castello sulla cima del cubo, poi si accovaccia alla “porta” del castello e aspetta.

DON KIXOTU: Andiamo, niente ci lega più a questi luoghi.
SAN CIUPÀNCIU: Andamus.
DON KIXOTU: L’amore non aspetta, e io amo.
SAN CIUPÀNCIU: I soldi non bastano mai, ma io mi basto.
DON KIXOTU: Aiutami a indossare l’armatura e potrai disporre a piacere di ogni mio avere.
SAN CIUPÀNCIU: Quanto?
DON KIXOTU: Una borsa di monetine.
SAN CIUPÀNCIU: Due borse.
DON KIXOTU: Va bene, ma adesso vai e duci meco l’armatura.
SAN CIUPÀNCIU: Andendi soggu. (Va alla bicicletta-cavallo, la svuota degli ultimi libri rimasti e poi esce. Ritorna dopo poco trasportando qualcosa di molto pesante che rovescia ai piedi dell’altro).
DON KIXOTU (a braccia larghe attende la vestizione): Presto, mio fido, allacciami la corazza e passami l’elmo.

SAN CIUPÀNCIU, non sapendo distinguere gli elementi, li prende a caso finché riesce a “costruire” un’armatura plausibile: avvolge il busto di DON KIXOTU in tre o quattro giri di cartone, gli inventa un elmo spaccando un pallone da calcio…

DON KIXOTU: Eccomi pronto alla battaglia, seguimi!
SAN CIUPÀNCIU: Pro su re, e su dinari! (Aiuta l’altro a salire faticosamente sulla bicicletta-cavallo e lo spinge da dietro. Si muovono senza uscire mai realmente di scena).

4.
PIFFERAIO ha incollato su una facciata del cubo, o forse fatto scivolare a mo’ di lenzuolo, l’immagine di un corpo femminile rubato dalle copertine di una rivista porno. Suona malizioso invitando i passanti a entrare nel cubo e a godere delle gioie dell’amore.
I due procedono uno dietro l’altro e ad ogni “grattacielo” si bloccano perché DON KIXOTU cerca di capire di che cosa si tratti. La gag andrà avanti finché SAN CIUPÀNCIU smetterà di spingere il cavallo e si impunterà come un mulo.

DON KIXOTU: Che ti succede, villico, perché già non adempi gioioso al tuo dovere?
SAN CIUPÀNCIU: Ca mi so istraccau! Perché sono stanco di vagare tra questi sentieri montani che conducono dal nulla al niente. Perché non capisco che gusto ci sia a fermarsi davanti ad ognuno di questi orribili pali che girano al vento impedendo il cammino e deturpando il paesaggio!
DON KIXOTU: Quali pali, mio fedele servo, quali pali, non capisci che questa selva di vento ed elettricità è una cattiva magia posta sul mio destino verso l’amore? Non vedi, laggiù, a fondo valle, in quel magnifico castello il volto di lei di tra i merli?
SAN CIUPÀNCIU: Occhi? (Gesticolando malizioso sottolinea le parti anatomiche che la foto mostra generosamente).
DON KIXOTU: I capelli, le mani, le sue labbra.
PIFFERAIO (li invita con insistenza ad avvicinarsi e ad entrare, e perché rompano ogni indugio canta una sorta di minuetto):
Siamo segnati dal divenire.
Un portato dei tempi che viviamo.
Ma sappiamo pure che è importante
sapere chi siamo e da dove veniamo.
Costruiamo continui simulacri
per consolarci della perdita del passato.
Un confronto necessario,
perché le accademie deputate ad insegnare
ed a capire non riescono ad adempiere.
Ma io non mi aspetto, a differenza di Marcello,
la conservazione della memoria
che mi spieghi come posso ingoiare,
consumare, metabolizzare tutto quello che…
Voglio togliere il velo alla patina che tutto ricopre,
mettere a nudo il bluff, mettere a nudo,
nudo, nudo, nudo… nuda!
DON KIXOTU (alla foto): Dite, mia signora, qual è il pegno che io devo pagare per divenire meritevole di un vostro gesto benevolo?
SAN CIUPÀNCIU: C’è scritto qui: «prezzi modici».
DON KIXOTU: Taci, villico. Non il testo scritto deve parlare, ma la voce umana, il cenno del corpo.
SAN CIUPÀNCIU: Lampu! Ma se sta zitta, non è che ti fa lo sconto, poi.
DON KIXOTU (alla foto): Dite, dite, dite. Ogni vostro battito di ciglia sarà per me un comando.
SAN CIUPÀNCIU: Cust’òmine est maccu. Un battito: mi butto dalla finestra; due battiti non mi butto; tre battiti … boh!
DON KIXOTU (alla foto): Qualunque cosa per la vostra beltade, per voi potrei uccidere d’un sol colpo anche il mio fedele scudiero.
SAN CIUPÀNCIU: E chi sarebbe? (Guarda a PIFFERAIO:) Io? Boh, basta, eo mi c’ando!
DON KIXOTU: Presto, mio fido, aiutami a montare in sella al destriero e seguimi nella battaglia. La gentile dama di Sardegna ha espresso il suo voto: distruggerò tutti i mostri elettrici e ventosi che deturpano i suoi monti.
SAN CIUPÀNCIU: E perché?
DON KIXOTU: Perché sono brutti.
SAN CIUPÀNCIU: Ma magari sono utili, serviranno a qualcosa.
DON KIXOTU: Non importa, sono brutti e se ne deve fare a meno.
SAN CIUPÀNCIU: Ma non sono mica mostri!
DON KIXOTU: Mostri, sono, mostri orribili da combattere e distruggere.

Monta a fatica a cavallo e poi parte verso la distruzione. Il primo grattacielo viene facilmente distrutto a manganellate; anche il secondo viene distrutto, anche se non facilmente, e poi il terzo, che è resistente, impossibile da abbattere. DON KIXOTU scende da cavallo e lo affronta alla pari, in una lotta corpo a corpo. Finalmente uomo e pila (di libri) rovinano a terra. SAN CIUPÀNCIU corre ad aiutarlo. PIFFERAIO ha osservato ogni cosa dall’alto del cubo e adesso sottolinea la sconfitta.

SAN CIUPÀNCIU: Ite dannu, ite dannu chi ammu fattu! Già nd’est mortu e tottu!
DON KIXOTU: Aaaah!
SAN CIUPÀNCIU: Già est biu.
DON KIXOTU: Ho vinto? Ho sconfitto il mostro?
SAN CIUPÀNCIU: Vinto? Chi ha vinto?
DON KIXOTU: Io ho vinto, oppure lui, il mostro orrendo di vento ed eletricità?
SAN CIUPÀNCIU: Se mi guardo intorno vedo solo distruzione, e non so se qualcuno possa dirsi vincitore di qualcosa.
DON KIXOTU: Aiutami ad alzarmi, affinché da me medesimo possa scrutare la linea dell’orizzonte.
SAN CIUPÀNCIU: Venite, appoggiatevi.
DON KIXOTU: Ho vinto, ho vinto, io sono l’unico degno del nome di cavaliere. Non ne è rimasto in piedi nessuno di quei mostri. Adesso posso aspirare con successo alla mano della mia bella.
SAN CIUPÀNCIU: Tutto distrutto per un paio di tette… non lo capisco e nemmeno credo sia giusto.
DON KIXOTU: Taci, villico, e accompagnami verso il castello.
SAN CIUPÀNCIU: Andiamo, basta che poi mi paghiate ciò che mi dovete.
DON KIXOTU: Ti pagherò, fido scudiero, vedrai, riceverai esattamente quanto meriti.
SAN CIUPÀNCIU: Speriamo. (Camminano stando fermi sul posto.)

5.
PIFFERAIO spinge il cubo verso il centro della scena, apre uno sportello e si ottiene un teatrino delle marionette. Si distinguono alcuni personaggi: il sardo in berritta con al posto del volto un nuraghe, il cavaliere in doppiopetto che al posto della testa ha un televisore, la bionda vestita da puttana con al posto della testa un albergo, l’uomo casual con al posto della testa un telefono. Muovendo un filo si agitano scomposti mentre Pifferaio suona una sorta di musica dal sapore circense. Poi canta.

PIFFERAIO:
che cosa ha prodotto per la contemporaneità
quest’accumulo di Memoria?
Com’è che i suoi cultori non sanno dei misfatti:
le servitù militari e le scorie nucleari,
l’ambiente e il territorio —costa, boschi e stagni,
fauna, centri storici e paesaggi urbani —
inquinati più dell’identità.
Dov’è l’indignazione, dov’è la denuncia?
Dov’è la risposta alla modernità?
Dov’è la tradizione e il sapere locale?
Che fine ha fatto il mare,
che fine la montagna,
da questa Sardegna
chi è che ci guadagna?
DON KIXOTU: Presto, fidato servo, allacciami il giusta cuore e aggancia alla mia mano il manganello che corro a porre fine a questo sconcio.
SAN CIUPÀNCIU: Ma perché, è divertente. È un teatrino simpatico.
DON KIXOTU: Alle armi, alle armi. Per gli occhi tuoi mia bella, io sono pronto a morire. Viva l’amore, viva me stesso.
SAN CIUPÀNCIU: Aspettate, non è da lì che si passa.

DON KIXOTU e PIFFERARIO si inseguono mentre SAN CIUPÀNCIU sta a guardare. Finché PIFFERAIO entra dentro il cubo. DON KIXOTU lo vede e cerca di entrare anche lui. Quando ci riesce PIFFERAIO ne è già uscito e lo imprigiona mettendo delle sbarre al cubo. DON KIXOTU è prigioniero insieme alle marionette che voleva combattere.
SAN CIUPÀNCIU: si siede al centro della scena dopo avere preso un libro dal mucchio e disponendosi a leggere. Mostra la copertina perché si veda chiaramente il titolo, è il Don Chisciotte di Cervantes. PIFFERAIO: suona marciando e calpestando tutti libri che trova lungo il suo cammino.

DON KIXOTU: «Giunse finalmente l'ultima ora di don Chisciotte, dopo avere avuti tutti i sacramenti e dopo avere abbominati con molte e sode ragioni tutti i libri di cavalleria. Il notaio allora disse ad alta voce: — Non ho mai letto in alcuna opera di cavalleria che un cavaliere errante sia morto nel suo letto così tranquillo e così cristianamente rassegnato come don Chisciotte.» Tra la compassione ed il pianto dei circostanti egli dunque esalò lo spirito, e voglio dire, morì: ed il curato ottenne dal notaio la legale testimonianza che «Alonso Chisciano il buono, chiamato comunemente don Chisciotte della Mancia, era passato da questa presente vita, e morto naturalmente».
SAN CIUPÀNCIU: «Non si registrano in questo luogo le lamentazioni di Sancio, della nipote e della serva di don Chisciotte, né i nuovi epitaffi della sua sepoltura. Sansone Carrasco però gli pose il seguente: “Giace qui il forte hidalgo salito a tal grado di valore, che morte non poté trionfare di lui nel suo morire. Affrontò tutto il mondo e vi recò lo spavento; e fu sua ventura viver pazzo e morir rinsavito». (Chiude il libro, lo poggia, si alza in piedi e svuota le tasche di tutte le monetine che cadono rumorosamente sulla scena).