Antoni Arca - Baratti

Scontri di 28.11.2016

p.8 à 21

ANTONI ARCA

è nato ad Alghero (l'Alguer), un luogo storico-geografico edificato da gente genovese durante il XIII secolo e conquistato e ripopolato da militari e commercianti catalani nella seconda metà del xiv. Da allora, anche se in maniera viepiù sfumata, Alghero è rimasta una colonia catalana, e Arca ne paga ancora le conseguenze possedendo due lingue, due culture e due tradizioni (quella catalana e quella italiana) in maniera incompleta, complementare e talvolta in palese contrasto.

IL TRADUTTORE POLITICO

Nei suoi lunghi anni di carcerazione (1926-1937) Antonio Gramsci si occupò di molte cose, anche di traduzioni. Da studente universitario, a Torino, si era occupato di glottologia e aveva studiato le lingue neolatine, e come giornalista politico e uomo di cultura aveva studiato anche le altre lingue europee; inoltre, essendo sardo ed essendo cresciuto tra Ghilarza, Santo Lussurgiu e Cagliari, conosceva la lingua della Sardegna in molte delle sue varianti. Aveva quindi facilità per le lingue e si era interessato, professionalmente, di tradurre in italiano dal sardo, dal francese e dal russo. Poi, nelle lunghe giornate carcerarie, si era dedicato ad esercitazioni di tradu­zione anche dall'inglese e dal tedesco, notissime sono le sue tradu­zioni di ventiquattro fiabe dei fratelli Grimm.

Finalmente, rifletté sul tema della traduzione in alcune note dei Quaderni e in numerose Lettere dal carcere. In una, in parti­colare, indirizzata a sua moglie Julca e datata 5 settembre 1932, chiarì il suo pensiero a riguardo:

"I fini che tu potresti e dovresti proporti, per utilizzare una parte non indifferente della tua attività passata, sarebbero secondo me questi : di diventare una traduttrice dall'italiano sempre più qualificata. Ecco cosa io intendo per traduttrice qualificata : non solo la capacità elementare e primitiva di tradurre la prosa della corrispondenza commerciale o di altre manifestazioni letterarie che si possono

riassumere nel tipo di prosa giornalistica, ma la capacità di tradurre qualsiasi autore, sia letterato, o politico, o storico o filosofo, dalle origini ad oggi, e quindi l'apprendimento dei linguaggi specializzati e scientifici e dei significati delle parole tecniche secondo i diversi tempi. E ancora non basta : un traduttore qualificato dovrebbe essere in grado non solo di tradurre letteralmente, ma di tradurre i termini, anche concettuali, di una determinata cultura nazionale nei termini di un'altra cultura nazionale, cioè un tale traduttore dovrebbe conoscere criticamente due civiltà ed essere in grado di far conoscere Puna all'altra servendosi del linguaggio storicamente determinato di quella civiltà alla quale fornisce il materiale d'informazione. Non so se mi sono spiegato con abbastanza chiarezza. Credo però che un tale lavoro meriterebbe di essere fatto, anzi meriterebbe di impegnarvi tutte le proprie forze. Aggiungo che sarei molto felice se tu ti dedicassi ad esso in modo sistematico e continuo, in modo da raggiungere il massimo di qualifica, la specializzazione. Cara Julca, ti abbraccio teneramente.
Antonio"
(Gramsci 1996: 613-614)

 

Senza aver letto né Le lettere i Quaderni, pochi anni dopo, un giovane traduttore, a Torino, applicava alla lettera le indica­zioni gramsciane. Afferma Davide Lajolo, che "Il mestiere di traduttore ha tale importanza, non solo nella vita di Pavese, ma per tutta la cultura, da aprire uno spiraglio ad un periodo nuovo della narrativa italiana. Il contributo che Pavese dà come traduttore non tocca soltanto il campo culturale e quello letterario, ma anche quello politico". Una scelta concettuale che, continua Lajolo, dà i suoi migliori frutti nella Torino di Gramsci e Cesare Pavese: "È importante sottolineare che questa pacifica rivoluzione, fatta di traduzioni, di saggi, di articoli, di libri nasce ancora una volta da Torino" (Lajolo 1960: 144).

 

LA TRADUZIONE CONGELATA

 

Non posso dire che le indicazioni di Antonio Gramsci e le scelte di Cesare Pavese siano vere in assoluto (anche se coincidono sostan­zialmente con tutto il discorso di fondo di Eco 2003), posso però affermare che, personalmente, non credo in un altro possibile uso della traduzione. Tradurre è, sempre e comunque, fare politica, esporsi in quanto persona e in quanto membro di una comunità culturale ed ideologica. Anche quando crediamo di rendere semplicemente il senso estetico di un verso o di un intero poema lo stiamo facendo attraverso la nostra personale e privata storia culturale (sociale, morale, psicologica) e in ragione di una proposta culturale (ideologica, estetica, politica) che intendiamo condividere.

Non ci può essere, quindi, la traduzione perfetta, perché ogni lingua è un sistema arbitrario, continuamente suscettibile di modifiche, interpretazioni sinonimiche e costantemente in evolu­zione (o involuzione, perché no ?). E pensare di trasportare da un sistema liùguistico/culturale a un altro un testo senza perderne, durante il viaggio, un "X" è semplicemente impossibile. E come pensare che il cibo surgelato possa davvero conservare gli stessi aromi, gli stessi sapori e le stesse proprietà organolettiche una volta scongelato a distanza di qualche giorno. Ne conserva ancora 1'aspetto, è vero, e grossomodo gli somiglia, inoltre, con l'aggiunta di qualche condimento sfizioso può essere ancora più buono di prima, quel cibo (s) congelato, ma non è più lo stesso cibo.

E per queste ragioni che la traduzione vera, neutrale, apolitica è una bugia. La traduzione è sempre falsa, sempre parti­giana sempre politica. Ne ho avuto consapevolezza fin dalla prima volta che ci dovetti sbattere il muso. Il mio primo giorno di scuola materna, dalle suore, a poco più di tre anni, quando, per la prima volta, qualcuno pretendeva che parlassi l' italiano ; una lingua così distante dal catalano di Alghero della mia famiglia.

 

" MEGLIO LE POESIE ", PURCHÉ BREVI

 

Con gli anni, la questione lingua, ad Alghero, si è completa­mente capovolta, a essere distante dalle famiglie è diventato il catalano, ridotto a lingua di alcune associazioni culturali e/o di partito e a lingua coufficiale durante gli incontri con i Catalani di Spagna e di Francia. Per questo, quando, alla fine degli anni'80, questa situazione sociolinguistica andava viepiù definendosi, pensai che la traduzione poteva essere uno strumento utile al recupero della lingua. Cioè se era un dato di fatto che i giovani algheresi conoscevano meglio la cultura, la storia e la lingua d'Italia molto di più della cultura, la storia e la lingua di Alghero e della Catalogna, motivarli alla tradu­zione di testi dalla lingua catalana alla lingua italiana avrebbe potuto spingerli, in seguito, anche verso un ritorno alla consapevolezza del fatto che il "traduttore dovrebbe conoscere criticamente due civiltà ed essere in grado di far conoscere Puna all'altra servendosi del linguaggio storicamente determinato di quella civiltà alla quale fornisce il materiale d'informazione" (Gramsci, cit.).

Ingenuamente pensai che cominciando con traduzioni poetiche avrei raggiunto più facilmente lo scopo, perché le poesie sono vistosamente più corte, perché i poeti sono vanitosi viaggiatori e spesso, quelli catalani, vengono a prendere il sole ad Alghero e poi, e soprattutto, perché è più semplice ottenere i diritti d'autore senza dover pagare royalties ; i poeti, di più quelli poco laureati, rinunciano facilmente ai proventi dei loro libri, almeno ai diritti di sfruttamento delle prime 1000 copie1.

 

IL FLUSSO CASUALE DELLE LINGUE

 

Prima da solo, poi coordinando un gruppo di aspiranti traduttori, e poi definitivamente da solo, ho curato la traduzione e l'edizione di diverse decine di libri (vedi nota bibliografica), ma perché parlarne ? Sono nati sempre da situazioni quasi casuali, dettate dalle opportunità e da esigenze tutte di carattere politico economico. Non si è mai trattato di tradurre il miglior autore ma il più disponibile tra i miei amici scrittori. Ho sempre tradotto, quindi, per amicizia, e per amicizia talvolta sono stato pagato e più spesso ho pagato di mio. E l'amicizia ha in sé tutto il progetto gramsciano : condivisione di ideologie, epoca e ambizioni culturali.

 

  1. E, dato che mai siamo arrivati a sfiorare le 1000 copie di venduto, mai abbiamo pagato alcun diritto d'autore.

 

Il resto, il come io traduca appartiene alla banalità del sistema diglossico in cui sono cresciuto : sono bilingue in una realtà di frontiera. Ho come mie lingue materne e naturali il catalano e l'ita­liano, e come lingue contigue il sardo e lo spagnolo. Spesso mi capita di far leggere testi italiani ad amici catalani e viceversa. E i Catalani mi dicono : "In italiano sarà senz'altro molto meglio" ! E gli Italiani mi assicurano che: "Si sente che l'hai pensato in catalano, se lo lasci in "originale" è meglio"

È imbarazzante, possiedo due lingue intere e altre due a metà senza averne nessuna come chiusa, definita e perfetta.

Per cui, quando traduco, ciò che faccio è lasciare che il flusso passi spontaneamente da una lingua a l'altra, e solo dopo, molto dopo, rileggo tutto, mi chiedo se funziona e talvolta ricomincio da capo. Una tecnica semplicissima. Non proponibile, me ne rendo conto, perché è frutto del caso : sono nato in un luogo bilingue e ho viaggiato da una sponda all'altra dello stesso mare, poi ho letto libri, visto film, ascoltato canzoni, conosciuto gente. In certe tappe della mia vita di più, in altre di meno, e le mie traduzioni ne risentono. Per alcune ho impiegato giorni, per altre mesi, altre ancora attendono da anni di vedere la luce, incompiute per reciproca insoddisfazione ; forse perché non c'era vera amicizia tra me e gli autori di quelle poesie.

 

QUATTRO ESEMPI

 

Adesso non faccio più proposte di traduzione e accetto solo le offerte che non posso rifiutare. E traduco sempre di meno, forse perché hanno capito che tradurre la poesia è uno sbaglio, forse perché hanno imparato a tradurre da soli.

Ma mi è stato chiesto di esemplificare questo intervento con delle indicazioni di sistema, con degli esempi. Ed ecco di seguito alcuni testi poetici di autori che ho tradotto, e che proverò a commentare, rileggendoli per la prima volta a distanza di anni.

 

1. Caries Duarte

(dal volume La pelle del sogno, 1992, pagg. 56-57

La pell de la terra
que s'estén sinuosa,
els ulls en què es reviu
ara i adés
el procés d'existir,
límits estranys
d'una consciència antiga.

 

Plou.

 

El tacte espès del vidre.

 

Contra el silenci
creixen
somnis, arrels que cuso
amb paraules i afectes
en un gest quotidià.

 

La pelle della terra

che si distende sinuosa,

gli occhi nei quali rivive

adesso e sempre

il percorso dell'esistenza,

limiti estranei

di una coscienza antica.

 

Piove.

 

Il contatto duro del vetro.

 

Contro il silenzio

crescono

sogni, radici che cucio

con parole e affetti

in un gesto quotidiano

Il testo poetico di partenza è piano ed onirico. Il lirismo è tutto interiore, giocato su immagini visibili soltanto agli occhi della mente, la sola certezza è che piove e dentro all'animo della voce narrante prende forma un processo di ricostruzione della memoria attraverso una gestualità in grado di esprimere sentimento e affetto. E tutto ciò è detto in catalano, una lingua che, al contrario di quella italiana, ha molte parole tronche e finali in consonante, oltre che un uso esteso e felicemente dichiarato della vocale "u" e di molte "o" talmente chiuse da suonare false "u". Infine, il registro Iinguistico scelto da Duarte è più colloquiale che aulico. Come si può tradurlo in italiano rispettando i dosaggi vocalici e la scelta lessicale ? Con molta attenzione e molta cura, che io non ebbi, dieci anni fa. Allora mi lasciai trasportare dall'emozione, pensai che la traduzione potesse essere finita quando i due testi riuscivano

trasmettermi le stesse sensazioni. Adesso, a distanza di anni, non mi sarei preso tante libertà, soprattutto nella prima parte, e avrei cercato di metterci quanto meno me stesso possibile.

Senza riuscire ancora a rendere il definitivo merito al testo di partenza, ma certo un maggior rispetto:

 

La pelle della terra

che s 'estende sinuosa,

gli occhi in cui rivivere

ogni tanto

il processo d'esistere,

limiti estranei

d'una coscienza antica.

 

Piove.

 

Il tatto denso del vetro.

 

Contro il silenzio

crescon

sogni, radici che cucio

con parole e affetti

in un gesto quotidiano.

 

2. Miquel Marti i Pol (dal volume Le helle strade, 1993) .

 

Clou-me l'espai

 

Clou-me l'espai, que torno fet cançó

per evocar-te.

 

La solitud se'm fa mirall de tu,

i pel coll del silenci

travesso la frontera que ens separa,

mentre al defora el vent esfulla crits.

Clou-me l'espai, que jo amb les mans dibuixo,

a poc a poc, els mots que et representen.

 

Chiudimi lo spazio

 

Chiudimi lo spazio, che ritorno fatto canto

per evocarti.

La solitudine mi si fa specchio di te

e lungo il valico del silenzio

attraverso la frontiera che ci separa,

mentre di fuori il vento sfoglia grida.

Chiudimi lo spazio, che io con le mani disegno,

a poco a poco, le parole per rappresentarti.

 

Marti i Pol non lo conosco personalmente, so solo che è fra i maggiori poeti viventi e dell'intero Novecento catalano ; le sue poesie ottengono immediatamente il gradimento del pubblico e danno all'autore grande notorietà. Forse perché non hanno mai bisogno di spiegazioni, perché sono immediate. Perché sono facili anche se infarcite di attenzioni lessicali coite. Che cosa si potrebbe aggiungere o togliere per fare arrivare il testo d'origine al lettore in lingua italiana ? Niente, è tutto chiaro, e io, traduttore, ho tradito il testo nell'ultimo verso: dove l'autore possiede "i termini che rappresentano", io propongo "i termini per rappresentare". È una scelta politica. È ovvio.

 

3. Franziscu Masala (dal volume Pa negre, 1993)

 

Ho anche tradotto al catalano, a dimostrazione che quello degli algheresi è (potrebbe essere) un bilinguismo perfetto. E ho proposto l' edizione catalana di Pane Nieddu, un libro in cui Masala coniuga sardità e terra, sardità e mare, sardità e progresso, sardità e alienazione.

 

Cantone de su crabarzu de sa Costa Ismeralda

 

Fizu meu est bènnidu a su mundu

subra unu saccu `e paza :

fit una notte `e istìu

e s'Aga Kan faghìat sonnios de oro

in sos lettos de seda

da sa Costa Ismeralda.

(Su entu de Limbara

s'impiccat a sos chercos,

àmas de nues paschene

nieddas subra sa Iuna,

sos suèlzos lantàdos

dae istrales de sambene,

sa figuindia tùnciat

in chelos de ispinas,

su cane berdulàriu

appèddat a sa luna,

picaròlos de crabas

piànghen subra sas roccas.)

Sa vida est chei su entu : fizu meu,

in sa notte `e Nadale, est diventadu

tilighèrta de astràu,

e como ch'est tres prammos sutta terra.

Istìos, ièrros, atùnzos e berànos,

su tempus est che bentu.

 

Balada del cabrer de la Costa Esmeralda

 

El meu fill ha vingut al món

sobre d'un sac de palla :

fou una nit d'estiu

i l'Aga kan tenia somnis d'or

en llits de seda ficat

de la Costa Esmeralda.

(El vent de Limbàra

s 'ha penjat a les alzines,

ramats de núvols negres

pasturen lluna amunt,

les alzines sureres sagnen

nafrades per destrals,

la figa de moro gemega

cels espinosos endins,

el gos vagabund

lladra a la Iluna,

cascavells de cabres

ploren recolzats a les roques.)

La vida només és vent : fill,

la nit de Nadal ha esdevingut

una sargantana de gel,

i ara es troba tres pams sota terra.

Estius, hiverns, tardors, primaveres,

el temps només és vent.

 

L'immagine è semplice. È Natale, ma il capraio della Costa Smeralda non gode di nessuno dei privilegi de l'Aga Kan, il suo posto è sul monte Limbara, ventoso in ogni stagione, e in questa notte le nuvole sono pecore nere, e le querce da sughero piangono per le ferite d'ascia, il cane vagabondo abbaia alla Iuna e le capre fanno tintinnare i loro campanelli. Ma soprattutto, malgrado sia nato in una stalla su un giaciglio di paglia, adesso suo figlio è sottoterra, perché il tempo è soltanto vento, qualunque sia la stagione.

Come tradurla ? Alla lettera, cercando di conservane ritmo e immagine, e credendo che, trent'anni dopo il Sessantotto, ancora si possa parlare di poveri e ricchi senza tenere conto della globalizza­zione, che tiene i poveri ben lontani dai luoghi dei ricchi concen­trandoli in nonluoghi dove possano essere controllati e invisibili. Non c' è più nessun capraio sul monte Limbara, ma se ancora ci fosse, i turisti della costa Smeralda pagherebbero profumatamente per poterlo vedere da vicino.

 

4. Antoni Arca

(dal volume Memòries d'un dia llarguíssim, 1993)

 

Chiudo con me stesso perché anch'io, un tempo, ho creduto d'essere poeta. Ma non era vero, semplicemente cercavo di imparare due lingue, il catalano e l'italiano e credevo che quei rigurgiti lessicali che m'invadevano la mente fossero versi. In realtà erano scampoli di discorsi senza più nessuna collocazione, nient'altro che ciò che dichiaro qui sotto.1.1

 

 

Perquè no ho sôc, poeta,
jo robo versos al fill,
als alumnes i a mi
mateix ; que sempre
em dic que cap
jutge em faria anar a la
presó, quan també
em pesquessin. No s'ha
vist mai que als poetes
i no no els deixin
treure la paraula de
la boca dels nens i de
les arrugues de la pell.

 

 

 

Perché non lo sono, poeta,

rubo versi a mio figlio,

ai miei alunni, a me

stesso ; e sempre

mi dico che nessun

giudice mi manderebbe in

carcere, quand' anche

mi pigliassero. Non si è

mai visto che i poeti

e non non possano

arraffare parole dalla

bocca dei bambini e dalle

rughe della pelle.

 

 

Si tratta, evidentemente, di un esempio di traduzione perfetta, perché, appunto, non è una traduzione, ma una doppia scrittura, un testo è strettamente legato all'altro e nessuno dei due è leggibile in maniera autonoma. Al di là del reale valore della lirica, il gioco del passaggio da un codice linguistico all'altro funziona alla perfezione. Perché l'autore è lo stesso, un unicum provvisto di due lingue, dove è evidente che Puna influenza l'altra, che una versione è debitrice dell'altra e viceversa e non si sa quale delle due sia l'originale perché non cisono due testi di cui il secondo è la traduzione del primo, ma un unico testo direttamente scritto in due lingue dallo stesso autore.

È un segno di forza ?

No ! Certamente no. È un segno di debolezza linguistica. Il gesto poetico è simbolico ma il testo poetico non è riuscito. Perché le lingue utilizzate non sono né vero catalano né vero italiano, ma soltanto un tentativo d'approssimazione a ognuna delle due lingue.

Alla fine, non c'è né una reale traduzione né una reale poesia.

 

POSTSCRIPTUM

Una notte, il secolo scorso, un poeta di València mi ospitò nella sua casa. Stava traducendo Sandro Penna, e mi chiese di dargli una mano. Mi disse di non avere ancora una perfetta conoscenza dell'italiano, poi scoprii che era pessima, ma affermi) che non aveva nessuna importanza, in quanto, ciò che lui voleva ottenere era che il nome del poeta Sandro Penna entrasse nelle lettere catalane attraverso di lui, cioè che quel poeta romano, almeno nel dominio linguistico culturale catalano, fosse per sempre legato al nome del poeta di València. Perché la traduzione sempre è e fa politica, anche piccola e detestabile, talvolta.