di CORTE

Capitolo quinto


....di CORTE

deI Museo di Corsica, della cittadella e della città, che secondo me dovrebbe fare lo sforzo di crescere


   Quando entro nel Museu di a Corsica, che è stato aperto nella vecchia caserma Sérurier della cittadella di Corte, ho l'idea di un parco di divertimenti. Lo penso senza ironia: del parco di divertimenti ha molte caratteristiche. Passeggio in una grandissima sala con un pavimento di vetro sotto il quale sono state sistemate le carte del piano territoriale fatte dopo l'ingresso dell'isola nel dominio francese. E la prima volta che mi capita di camminare su una carta geografica e di accovacciarmi per trovarvi qualcosa. E divertente.
   Le sale del museo antropologico sono doppie: da una parte bianche e piene di luce, dall'altra nere, a forma quasi di caverna, illuminate artificialmente e solo nelle teche. Forse dico qualcosa di spiacevole per l'architetto, il torinese Andrea Bruno: la sequenza un po' somiglia a una sfilata di baracconi da fiera. L'impressione mi diventa quasi certezza quando arrivo a una sala più grande dove, per vedere qualcosa, bisogna mettere il naso dentro curiosi imbuti, ultime imitazioni di antiche meraviglie novecentesche: da qualche parte non trovo niente, da altre parti ammiro vecchi manifesti turistici dell'isola: spiagge di Calvi che sembrano in Costa Azzurra, pini di Capo Còrso omologati a quello più famoso del Golfo di Napoli. Uno spasso. Più avanti, accanto alle scale, trovo tre cabine in plexiglas. Diffondono i suoni della Corsica: sacri e profani, dal canto di chiesa, alle filastrocche, ai campanacci delle vacche. Le cabine sono molto aperte e salto facilmente da una all'altra: il divertimento maggiore è sedersi sulle comode poltrone che stanno lì vicino e osservare gli altri che lo fanno. Ma la prova provata che il Museu di a Corsica è il parco di divertimenti maggiore dell'isola sta, secondo me, nel biglietto che mi dà diritto a fare poi, gran finale, il giro di tutta la cittadella.
   Dopo aver percorso la ciclopica carta geografiea, dopo aver visitato le caverne e sbirciato i manifesti, mi arrampico fino in cima a ispezionare le feritoie. Ce n'è qualcuna che mi dà l'illusione di essere in elicottero, un elicottero senza pale e senza rumore. In questo la cittadella di Corte era il più popolare parco di divertimenti dell'isola anche prima che le aggiungessero il museo.
Uscirei divertito, se non m'avesse lasciato di pessimo umore una scritta posta sopra l'ingresso della caverna che fa da sala di proiezione. La scritta è doppia come l'ingresso: da una parte si legge a lettere maiuscole CINEMA, dall'altra in uguali caratteri vedi scritto SINEMA.
Della scritta CINEMA c'è poco da dire: i caratteri maiuscoli la dispensano dall'accento acuto sulla e del francese cinéma. Dello scrupolo bilinguistico soddisfa chiaramente la parte francese. Il caso delle maiuscole, null'altro che un caso, la rende perfettamente leggibile anche al visitatore italiano. Mettiamo dunque da parte il CINEMA e andiamo al SINEMA. Con tutta probabilità dovrei leggere sinemà e con altrettanta probabilità, se la scritta fosse stata minuscola, sarebbe stata sinemà. Questo, signore e signori, è il vocabolo còrso: sta al Museu di a Corsica così come il cinéma sta al Musée de la Corse.
Tocco con mano il famoso problema del vocabolario moderno della lingua còrsa e si rifanno largo le più nere riflessioni su pre¬sente e futuro di questa lingua, che non potrà certo salvarsi con la traduzione fonetica del vocabolario francese
(simu noi à fà spiccà issu parè)
Esco dal museo e dalla cittadella e incontro la Place du Poilu, che sarebbe come dire la piazza del fante della grande guerra. Da una parte un casermone quadrato e tozzo, orgoglioso della sua mala grazia ancor prima che del nome e della storia: è il Palazzu Naziunale, la sede del governo di Pasquale Paoli e dell'università da lui fondata. Dall'altra parte della piazza una casa con una lapide all'ingresso per ricordare che Il sono nati nel1768 Giuseppe Bonaparte e dieci anni dopo il cugino Jean-Thomas Arrighi de Casanova, glorioso generale napoleonieo.
   Dei due, mi affascina più Arrighi, forse per quel curioso titolo di duca di Padova datogli dall'imperiale cugino. Fa pensare al teatro elisabettiano, a quei nobiluomini di storia o d'invenzione che accompagnano la vicenda drammatica più che farla, ma spesso la sanno interpretare molto meglio dei protagonisti. Quale demone shakespeariano puo aver spinto Napoleone a chiamare Padova il cugino? Ho cercato il motivo o l'occasione: finora non ne ho trovato traccia. Quel titolo così volatile, immateriale, riporta a una prospettiva di favola. Come se l'imperatore si fosse immaginato per un momento drammaturgo di se stesso e dei suoi e avesse cer¬cato il nome più favoloso, roboante e vuoto, alla fine, come alla fine di un soffio -Padoue in francese -per stabilire la nobiltà del valoroso cugino.