Versione :
Talianu

SA PARISTORIA DE MARIA INTAULADA


(Finito di scrivere nel 2005)

 

Personaggi

IL RE
LA REGINA
LA PRINCIPESSA MARIA, poi MARIA INTAULADA
L’ASSASSINO
LA PADRONA
IL PADRONCINO
L’ORCO

I diversi personaggi potrebbero anche essere interpretati da due soli attori: LA REGINA, LA PRINCIPESSA MARIA, MARIA INTAULADA e L’ORCO dall’attrice; tutti gli altri dall’attore.

1. L’ANELLO
IL RE, POI LA REGINA, POI I DUE INSIEME

La scena potrebbe rappresentare una “normale” sala del trono, ma, da qualche particolare, deve essere chiaro che siamo in Sardegna. La musica è Il Mattino dal Peer Gynt eseguita però alla sarda, cioè come un canto a tenores e/o, al posto dei violini, strumenti ritmici sostenuti da chitarra e organetto.
IL RE e LA REGINA entrano in scena e si comportano da innamorati da carosello. Il quadro si darà per terminato quando sarà chiaro a tutti che IL RE e LA REGINA (che ha un incredibile anellone al dito) si amano. I due usciranno insieme e, subito dopo, rientreranno, separatamente.

IL RE: Ah! Eo so su re. So su re e, comente re, eo so preocupadu, emmo!, so preocupadu proite unu regnu est una cosa sèria. Lampu! Non est chi si pòdat governare supra sa terra e sa zente chena si preocupare unu pagu. E eo mi preocupo, de note, de die, a manzanu chito, a su sero, a pùstis de gustare, àntis de gustare, a totora eo penso in su bene de sa corte, de sa terra e de sa zente mia.
Però, comente òmine, non so preocupadu nudda, nudda, nudda. Antzis, comente òmine eo so felice. Però felice, felice, felice. Felice, ca mi so cojuadu cun d’una fèmmina bella, bella, bella. E chie, in piùs a èsser bella, mi chèret de amore sintzeru. Eo la cherzo a issa, e issa mi chèret a mie. Eo mi istimo a issa e issa s’istìmat a mene. Cantu so preocupadu comente re, e canto so cuntentu comente òmine.

Esce IL RE ed entra LA REGINA.

LA REGINA (Con una evidente cadenza veneta): Si vede? Si vede che sono regina? I casi della vita! Prima ero una povera ragazza. Insomma, non proprio povera, che il babbo mio ha tanti bei soldini, che ha quattro navi, dieci gondole e una barchetta. Però non era nobile, ecco, non era nobile la famiglia mia. E per questo, quando sto bel moretto qui. Questo re sardignolo è venuto in vacanza al lido, che tutte le ragazze se lo mangiavano con gli occhi, io mica ci potevo pensare che lui avrebbe guardato solo me, per tutto il tempo!
E una mattina, s’è avvicinato, e mi ha detto: Bella, bella comente su sole sese, tue! Che ora io non lo dico bene come lo dice lui, che lui parla sardo, che a me pare proprio latino di vescovo, però, contento lui! Dunque, mi dice questo, che sono una bella giovane, che gli piaccio molto, anzi, che gli piaccio meda, mi ha detto lui. E io, povera me, a protestare che non sono mica una di quelle?, che io sono una brava ragazza e certe cose non le faccio nemmeno morta! E lui, con quella sua bella voce profonda come il mare, mi dice che vuole sposarmi. Che sono troppo bella e che lui è un re, e i re fanno tutto ciò che piace a loro!

Entra IL RE.

IL RE: Istimada mia, comente ses galana. Sa muzere piùs bella de su mundu, ses tue. Comente poto fàcher a viver chena ‘e te?
LA REGINA: Non le pensare nemeno, certe cose. Vivremo sempre insieme tu e io, che siamo giovani.
IL RE: E tando, si as a mòrrer, dami unu basu. Unu basu minore minore in punta a sa buca mia.
LA REGINA: Sempre a pensare a quelle cose! Ma non ti stanchi mai.
IL RE: E tando si so istracu! Istracu mortu so, che fàcher sas cosas de su re istràcat meda. E pro custu mi lu as a dare unu basiddu. E damìlu.
LA REGINA: E va bene, perché sei tanto stanco, eccoti un bacetto.

Si baciano come farebbero Braccio di Ferro e Olivia in un cartone animato.

IL RE: Ite cosa bella. A mi lu das un àteru ancora?
LA REGINA: Va bene, va bene. Te lo do un altro bacetto, però se chiudi gli occhi.
IL RE: Totu su chi chères tue.
LA REGINA: Chiudili, allora!
IL RE: Como lus serro, sos òjos.

Lui chiude gli occhi e lei mette il dorso della mano sulla bocca di lui. IL RE si lascia andare ad un bacio appassionato, e solo quando cerca di abbracciare LA REGINA si accorge dell’inganno.

IL RE: Ingannadu mi as; e tando, como ti appo a basare dùas bòrtas.

Lei scappa e lui la insegue. L’inseguimento continua fin dietro le quinte, da dove arrivano strani muggiti. Finalmente IL RE e LA REGINA rientrano cercando di risistemarsi abiti e corona.

LA REGINA: Che cosa hai fatto oggi? Hai ammazzato qualcuno? Hai condannato qualche ladro? Hai fatto giustizia?
IL RE: E tando si nd’appo fattu, de justìssia. Appo cundannadu tres òmmines, una fèmmina e unu pitzinnu.
LA REGINA: Anche un piccino? E perché, poveretto, che cosa aveva mai fatto?
IL RE: Lampu! Su piùs malu de totu fìat isse, su pitzinnu. Cun s’icuja ch’est minoreddu, isse si nche arrampicaìat a subra de sos mùros de sos palàtos e si fichìat in domo dae sas ventànas piùs minòres.
LA REGINA: Povero piccolino. E la sua mamma?
IL RE: Lampu, sa mama sua aisetaìat in sa janna, a bìder cando torràbat su mere.
LA REGINA: E quando ritornava il padrone, che cosa faceva lei?
IL RE: Cando si nche torràbat su mere o calicunu de sa domo. Custa fèmina mala finghìat de s’intèder male, e gai, su pitzinnu e sos òmines iscappaìant con totu sa roba.
LA REGINA: Che furbi, però. E tu, che condanna hai emesso?
IL RE: Sa furca a totu càntos sunu.
LA REGINA: Troppo. Mi sembra un ciccinino esagerato, ammazzarli tutti, per così poco.
IL RE: E tando?
LA REGINA: Non so, un po’ di prigione, due o tre anni.
IL RE: Essi a bìdere. (Va verso le quinte e grida:) Oh! Oh! E tando? ... Ah!
LA REGINA: E allora, li hai salvati?
IL RE: Eh, gai e gai.
LA REGINA: Come, così così, li hai salvati o no?
IL RE: Nono. Los hant mortu como como.
LA REGINA: Oh, poveretti. Tutti, anche la donna?
IL RE: Sa muzeri puru.
LA REGINA: Anche il piccolino?
IL RE: Su pitzinnu puru.
LA REGINA: Peccato!
IL RE: E ite chères fàcher, gai est sa vida. Però, non ti pònzas triste como. Dami unu basiddu. E damìlu.
LA REGINA: Dopo. Non posso ora. Dopo però te lo darò, un bacino.
IL RE: E ite ses pensende?
LA REGINA: A Maria, a nostra figlia.
IL RE: E tando?
LA REGINA: Lei bella...
IL RE: Tue ses piùs bella.
LA REGINA: No, Maria è più bella di me, perché è più giovane. E poi lei è elegante...
IL RE: Tue puru ses galana.
LA REGINA: Sì, però lei di più, che ha studiato moda a Parigi e Milano.
IL RE: E tando, ite mi chères nàrrer?
LA REGINA: Che nostra figlia Maria, è bella, è elegante e intelligente.
IL RE: Lampu, con totu su dinari che mi còstat de la fàcher istudiare in Isvitzera.
LA REGINA: Ecco, pensavo che la nostra Maria è fortunata, lei non sarà mai come quel povero bambino che hai fatto ammazzare.
IL RE: Già lu creu, Maria est fiza de re.
LA REGINA: Eh, figlia di re o figlia di non re, Maria è intelligente, è bella ed è elegante. Non si metterà mai a rubare, la mia figliolina santa.
IL RE: E dammi unu basu.

Escono.

2. LA PROMESSA
IL RE E LA REGINA

È notte, magari si sente qualcuno russare. Poi, improvvisamente, un grido. In pigiama regale e senza corona, IL RE entra concitato in scena.

IL RE: Unu mèdicu, unu duttori! A b’est unu duttori inoghe? In presse, aiò, chi muzere mia s’intèndet male. Unu mèdicu! Su regnu meu pro unu mèdicu.

Entra LA REGINA. È affranta e boccheggia. Come in un vecchio film muto chiede al marito di avvicinarsi. Lui la sosterrà come si trattasse di un drammatico tango col casqué.

LA REGINA: Io...
IL RE: Tue...
LA REGINA: Muoio...
IL RE: Mòrres... Ite?
LA REGINA: Sì, muoio.
IL RE: Nono, tue non mòrres, como bènit su mèdicu, ti dat sa meighina e tue ti sànas chitto chitto chitto.
LA REGINA: No, io muoio, ma tu non devi piangere.
IL RE: E ite ses nende?
LA REGINA: No, tu non devi soffrire per me, anzi, dovrai gioire e, soprattutto, non devi rimanere vedovo.
IL RE: Ite?
LA REGINA: Giurami che non rimarrai vedovo più di una settimana.
IL RE: Totu su chi chères tue? Duttori! E cando bènit su mèdicu?
LA REGINA: Io muoio, lo sento, ma tu, dovrai vivere felice, con un’altra donna.
IL RE: Mai, cun un’àtera muzeri, mai.
LA REGINA: Sì, invece, tu ti sposerai di nuovo, ma non voglio che tu prenda una moglie qualunque. La tua nuova sposa dovrà avere qualcosa di me, ecco. Prendimi l’anello.
IL RE: Sisse.
LA REGINA: Hai visto, questo è un anello magico, che si trasmette alle femmine della mia famiglia da generazioni. La donna che riesce a indossarlo, non potrà mai più toglierlo, fino alla morte. E se tu sei riuscito a sfilarmelo è perché io sono morta.
IL RE: Nono, non ti pòdes mòrrere!
LA REGINA: Sono già morta, ormai. Promettimelo, proverai questo anello a tutte le donne del regno, quella dal cui dito non potrai più sfilarlo, quella sarà la tua nuova moglie.
IL RE: Muzere mia, muzere mia.

Buio. La musica è quella di un attitu.

3. FIDANZAMENTO OBBLIGATO
IL RE E MARIA

IL RE: Non de poto piùs. E pone, e lea. E pone, e lea. E pone e lea, e pone e lea, e pone e lea, pone e lea. Est possibile chi in totu sa corte, chi in totu su regnu non b’est una fèmmina, nen manna, nen minore, nen fea nen bella, nen rassa nen lanza chie li àndet bene cust’aneddu? E ite dimoniu! Non bi la fatto piùs. Eo so unu re, un òmine importante, non poto andare dae unu logu a s’àteru pedinde a sas muzères si si pòdent proare s’anneddu. “E pro ite? “, mi pregùntant ìssas, “nudda, una cosighedda gai “, li fatto eo. E tando si pènsant chi su re si est giradu a maccu. E ite fatto?, li naro chi muzere mia, àntis de si nche mòrrer, m’at nadu chi eo mi appo a cojuare cun sa fèmmina chi li àndet bene cust’aneddu?

Entra MARIA. È identica alla madre, se ne distingue per l’abito, le guance troppo rosse e il portamento più giovanile. Vedendola IL RE si mette l’anello in tasca.

LA PRINCIPESSA MARIA: Babu, babu meu, coment’istàs?
IL RE: Fiza mia cara. Torrada ses?
LA PRINCIPESSA MARIA: Emmo, como como so arrivida dae s’Isvitzera.
IL RE: Ite cosa bella, beni chi ti baso.
LA PRINCIPESSA MARIA: Ahi, babu meu, poverita sa mama mia.
IL RE: Povera muzere mia, ite morte mala chi at fatu.
LA PRINCIPESSA MARIA: Mala? E comente est morta mama mia?
IL RE: Nono, non cherìa nàrrer custu. Intedìa nàrrer chi est morta zovana e bella, in custu sensu est morta male.
LA PRINCIPESSA MARIA: Za tènes rezone, o ba’. Troppu zovane fit mama mia, troppu bella, troppu galana.
IL RE: Eh, tue puru za ses bella e galana, essi a bìder, bella ses, veramente bella.
LA PRINCIPESSA MARIA: E non mi abaidés gai, o ba’, chi mi ponzo ruja ruja.
IL RE (cambiando di tema per superare l’imbarazzo): Marì, cun totu su dinari chi appo ispesu pro ti fàcher istudiare, za mi pòdes faeddare italianu, però.
LA PRINCIPESSA MARIA: E pro ite?
IL RE: Boh, chi mi pàret piùs finu chi un fèmmina faèdet s’italianu. Ite ti appo a nàrrer, su sardu est una limba de òmines e de bètzos. Fami custu piaghere, Marì, faeddami in italianu.
LA PRINCIPESSA MARIA: Va bene, se tu è così che vuoi, ti parlerò in italiano.
IL RE: Ite cosa bella. Nàrami ite as fattu totu custu tèmpus passadu.
LA PRINCIPESSA MARIA: Ho studiato, ho imparato, ho girato il mondo, ho visto.
IL RE: E ite as vistu?
LA PRINCIPESSA MARIA: Ho visto le alpi, ho visto i fiumi navigabili, i grandi castelli, le grandi chiese, gli animali feroci, gli animali esotici, i musei, le biblioteche, ho visto tutto.
IL RE: E sas fèstas, sos bàllos?
LA PRINCIPESSA MARIA: Ho partecipato anche a feste reali e a balli di corte. Ho visto tutto, te l’ho già detto.

Dai gesti di IL RE sembrerà che qualcuno lo stia chiamando.

IL RE: E ite chères? Aisetta. Aisetta! Éia! Éia, arrivinde so.

IL RE si allontana, dalla tasca gli cade l’anello. MARIA lo raccoglie lo guarda e se lo infila al dito.

LA PRINCIPESSA MARIA: Papà, ti è caduto qualcosa. Papà. Oh, ma guarda, è l’anello della mamma, com’è bello. Povera la mia mammetta. Non mi è rimasto niente di lei, niente, tranne quest’anello. Chiederò a papà se me lo lascia portare, per sempre.

MARIA si è infilata l’anello al dito e, malgrado tutti gli sforzi, non riesce più a toglierselo. Rientra IL RE.

LA PRINCIPESSA MARIA: Papà, guarda che cosa ti era caduta dalla tasca.
IL RE: S’aneddu de mama tua. Damìlu.
LA PRINCIPESSA MARIA: Ecco, papà, io vorrei chiederti, se è possibile, ecco, vorrei tenerlo io, l’anello della mamma; come suo ricordo.
IL RE: Non est possibile. Non est cosa, damìlu e boh. Leadìlu.
LA PRINCIPESSA MARIA: Ecco, papino, io credo che tu dovrai darmelo comunque.
IL RE: E pro ite?
LA PRINCIPESSA MARIA: Perché non mi va via in nessun modo, sembra incollato al mio dito.
IL RE: Ite?

Spaventato IL RE cerca di togliere l’anello dal dito di MARIA, ma non c’è niente da fare.

LA PRINCIPESSA MARIA: Papà, ma perché ti agiti tanto, dopo tutto è soltanto un anello?

Buio. Musica sarda da festa matrimoniale.

4. I TRE VESTITI
MARIA, IL RE, L’ORCO

LA PRINCIPESSA MARIA: È la fine. È una cosa terribile. Non c’è più niente da fare, sono disperata. Domani dovrò sposare mio padre oppure morire. Maledetto anello. Ma che cosa dico? Scusami mamma, non hai nessuna colpa tu, non potevi immaginare che sarei stata tanto stupida da infilare il tuo anello fatato. Oppure tu lo sapevi? Lo sapevi, mamma, che sarebbe finita così?
Ma perché proprio a me. Perché io debbo essere la figlia che sposerà il proprio padre? Perché io, e perché papà è così superstizioso da non voler rompere il giuramento fatto ad una morta?
Sulle prime io pensavo che scherzasse, che fosse la follia di un momento, ma che poi avrebbe capito e lui stesso mi avrebbe detto che si era trattato di uno scherzo, di cattivo gusto, ma sempre di uno scherzo. E invece no, lui faceva seriamente. “L’anello di tua madre ti sta a pennello, non c’è modo di poterlo levare se non tagliandoti il dito e perciò tu sarai mia moglie “. Ma sono tua figlia, dicevo io, “moglie, figlia, sempre donna, sei “, diceva lui. “E poi, ricordati, la volontà dei morti è sacra, e la volontà di una mamma morta è più sacra ancora. Perciò, domani facciamo la festa di fidanzamento e domenica ci sposiamo e tutti contenti “.
Ma come tutti contenti, io sono disperata. Non posso sposare mio padre. In nessun modo, non voglio. Allora, per cercare di farlo ragionare, per fargli capire l’assurdità della sua pretesa, gli ho chiesto un assurdo dono di fidanzamento. Un vestito tessuto con le nuvole del cielo.

MARIA è avvolta dal buio e la luce illumina IL RE.

IL RE: E comente fato como? Inue l’acciappo unu vestire de nùes de su chelu? Custa fiza mia at istudiadu tantu, però non at imparadu nudda. E comente poto fàcher, como? Gai bi ghèret calicunu ispeciale. A chie poto pedire azudu, a chie poto preguntare? A babu Orcu. E tzertu, a babu Orcu, chi est fradile meu.
Babu Orcu! Babu Orcu! Babu Orcu!

Si affaccia il mascherone di L’ORCO, il quale, al contrario del generico accento logudorese di IL RE, potrebbe avere un chiaro accento barbaricino.

L’ORCO: Chie mi cràmat?
IL RE: Eo so, fradile tou su re.
L’ORCO: E ite chères, a cust’ora de note?
IL RE: A ti invitare a sa festa de fidanzamentu meu.
L’ORCO: Ite?
IL RE: Éia, duminiga mi appo a cojuare.
L’ORCO: E muzere tua?
IL RE: Morta est.
L’ORCO: Cantu mi dispiàghet, fiat gai bella.
IL RE: Eh, però, sa muzere noa est piùs bella ancora.
L’ORCO: Za so cuntentu. E chie est?
IL RE: Fiza mia.
L’ORCO: Lampu, ti chères cojuare cun Maria? E pro ite?
IL RE: Proite est bella meda.
L’ORCO: Custu za est beru.
IL RE: Isculta, fradile me’, a mi lu fàches unu piaghere?
L’ORCO: E ite?
IL RE: Maria ghèret unu vestire de nues de su chelu.
L’ORCO: Lampu!

IL RE è avvolto dal buio e MARIA riprende il dialogo col pubblico.

LA PRINCIPESSA MARIA: E così, grazie alla magia dello zio Orco, mio padre mi ha regalato questo magnifico vestito di nubi del cielo. E io che pensavo di avergli chiesto una cosa impossibile, o almeno una cosa che avrebbe richiesto mesi, se non anni, per essere realizzata. Invece, in una sola notte, ecco qua il vestito! Allora, più disperata di prima, non riuscendo a capire che lo zio Orco avrebbe aiutato lui e non me, ho chiesto un vestito speciale per il viaggio di nozze. Un vestito cucito con stoffa ricavata dalle onde del mare in burrasca.

MARIA è avvolta dal buio e la luce illumina IL RE.

IL RE: Babbu Orcu! Babbu Orcu, fradile tou so!

Si affaccia il mascherone di L’ORCO.

L’ORCO: Ite chères, como?
IL RE: Nudda, una cosighedda.
L’ORCO: E ite?
IL RE: Unu vestire pro Maria.
L’ORCO: Torra. E comente at a èsser custu?
IL RE: De mare in burrasca.
L’ORCO: Lampu!

IL RE è avvolto dal buio e MARIA riprende il dialogo col pubblico.

LA PRINCIPESSA MARIA: Ed eccolo qua il vestito di mare in burrasca. Come è bello. Guardate! E sentite! Quando lo si indossa, ad ogni movimento riproduce il rumore del mare. È davvero bravo, mio zio Orco. Ma io, che ancora non avevo capito, ho chiesto un altro vestito, uno intessuto con campanule d’oro, per la cerimonia nuziale.

MARIA è avvolta dal buio e la luce illumina IL RE.

IL RE: Babbu Orcu! Babbu Orcu, fradile tou so!

Si affaccia il mascherone di L’ORCO.

L’ORCO: Ite tènes, como?
IL RE: Maria ghèret s’úrtimu vestire.
L’ORCO: Boh, boh, custu contu incumìntzat chi non mi piàghet. Isculta, fradile me’. Nàrami una cosa, tue ti chères cojuare a Maria, e Maria, a si chèret cojuare con tecus?
IL RE: E tando!
L’ORCO: Ma già est beru?
IL RE: Éia!
L’ORCO: Boh, a mie mi pàrret cosa de màcos.
IL RE: E tando, a mi lu fàches custu vestire de campanèddas de oro?
L’ORCO: Emmo!

IL RE è avvolto dal buio e MARIA riprende il dialogo col pubblico.

LA PRINCIPESSA MARIA: Ed ecco L’ultimo vestito. Domani dovrò sposare mio padre, oppure morire. Ed io, fra le due cose, ho scelto di morire. Ho mandato un messaggio a zio Orco e lui dovrebbe arrivare da un momento all’altro.

Si affaccia il mascherone di L’ORCO.

L’ORCO: Chie mi cràmat?
LA PRINCIPESSA MARIA: Sono io, zio.
L’ORCO: Maria, comente ses bella.
LA PRINCIPESSA MARIA: Ciao, zio, come stai?
L’ORCO: Eo za istò bene, e tue, già ses cuntenta, chi cras manzanu ti còjuas?
LA PRINCIPESSA MARIA: No. È per questo che ti ho mandato a chiamare, perché sono disperata.
L’ORCO: E pro ite?
LA PRINCIPESSA MARIA: Perché io non voglio sposarmi con mio padre.
L’ORCO: Poverita poverita, sa piciochedda de babu Orcu.
LA PRINCIPESSA MARIA: Aiutami, zio. Non so più che cosa fare. Pensa che, per rimandare le nozze, ho chiesto a papà delle cose assurde.
L’ORCO: E ite li has pedidu?
LA PRINCIPESSA MARIA: Prima un vestito di nubi del cielo, poi un vestito di onde del mare, e poi un altro di campanule d’oro. Perché credevo che mai e poi mai lui sarebbe riuscito a portare queste cose in tempo per le nozze; e così, col trascorrere dei mesi e degli anni, lui avrebbe capito che follia è, sposarsi con la propria figlia. E invece, qualche mago malvagio lo ha aiutato. Ed ecco qua i vestiti.
L’ORCO: Povera neboda mia, e como comente faghìmus?
LA PRINCIPESSA MARIA: Non mi rimane altro che una sola cosa da fare.
L’ORCO: E ite?
LA PRINCIPESSA MARIA: Morire.
L’ORCO: Nono, custu mai!
LA PRINCIPESSA MARIA: Sì, invece. Voglio morire, e tu devi mandarmi il miglior assassino del regno, caro zio Orco. È l’ultima cosa che ti chiedo.
L’ORCO: Ma tue, Mariedda mia, a beru ti chères morta?
LA PRINCIPESSA MARIA: No, io non vorrei morire, però, domani non voglio sposare mio padre.
L’ORCO: Za àndat bene, como ti morzo eo. Ti mando su Cadelanu, s’assassinu più terribile de su regnu. Aisetta, aisetta inoche.

5. MARIA INTAULADA
MARIA E L’ASSASSINO

Dopo la scomparsa dell’ORCO, tenendosi di spalle alla donna, entra L’ASSASSINO. Parla con un marcato accento barcellonino.

L’ASSASSINO: On és la persona que haig de matar? Serà aquesta, la noia? Si que serà ella.
LA PRINCIPESSA MARIA: È lei?
L’ASSASSINO: M’ha sentit!
LA PRINCIPESSA MARIA: Non si preoccupi, non mi metterò a gridare, non la denuncerò. La sola cosa che le chiedo è di non farmi troppo male. Non mi spari, non mi accoltelli, non mi uccida in modo cruento, la prego.
L’ASSASSINO: Està boja!
LA PRINCIPESSA MARIA: Non sono pazza, e sarebbe troppo lungo da spiegare, la prego, mi avveleni, mi faccia bere un dolce veleno, voglio morire così, avvelenata.
L’ASSASSINO: D’acord. Li donaré un verí. Giri’s, sisplau!
LA PRINCIPESSA MARIA: Adesso mi volto.
L’ASSASSINO: Ai, quina noia més bella. Vós sou un somni del cel, jo no us puc pas matar.
LA PRINCIPESSA MARIA: Fate presto, datemi il veleno.
L’ASSASSINO: D’acord, ara t’enverino, però jo no et mataré.
LA PRINCIPESSA MARIA: Presto, datemi da bere.
L’ASSASSINO: Beu, bella, beu que et salvaràs.

Buio. La musica è quella di un attitu. Quando ritorna la luce, in scena c’è L’ASSASSINO, il quale armeggia attorno a una bara. Aiutandosi con un piede di porco solleva il coperchio, guarda il bel volto di MARIA, la bacia, le solleva la testa e poi la costringe a bere il liquido di una bocetta. Poi scompare. MARIA, che non ha più l’anellone al dito, indossa uno dei vestiti magici ed ha gli altri accanto a sé.

LA PRINCIPESSA MARIA (Risvegliandosi da un lungo sonno): Dove sono? All’inferno? In paradiso? Dove? Che strano, non credevo che da morti si sentissero ancora i morsi della fame, della sete ed anche quei bisogni molto meno nobili come la cacca, la pipì. Ma, ma io sono viva. Sono Viva, mentre tutti mi credono morta!
VOCE DI L’ORCO: Adiosu, Maria Intaulada!
LA PRINCIPESSA MARIA: Grazie, zio Orco.

MARIA, quasi a passo di danza, si spoglia del ricco vestito e, insieme agli altri lo mette in una sacca. Per coprirsi trova un sacco di juta al quale pratica dei fori per la testa e le braccia.
Buio. La musica potrebbe essere una ninna nanna tabarkina.

6. PORCARA
MARIA E LA PADRONA

MARIA, vestita di stracci, bussa al portone di un palazzo.

MARIA INTAULADA: C’è nessuno in casa.
LA PADRONA (con un chiaro accento genovese): Ma chi è che bussa a quest’ora della notte?
MARIA INTAULADA: Sono la principessa Mar...
LA PADRONA: Arrivo, un momento, non mi buttate giù la porta, che costa denari.
MARIA INTAULADA: Sono Maria, una mendicante.
LA PADRONA: Allora, chi è che mi disturba a quest’ora della notte?
MARIA INTAULADA: Eo so Maria.
LA PADRONA: E chi se ne frega!
MARIA INTAULADA: So bènida inoghe pro pedire azudu.
LA PADRONA: Va bene, vuoi aiuto. (Come se chiamasse qualcuno nell’altra stanza:) Aiuto, aiuto! Sei contenta adesso, oppure te ne occorre de l’altro? Aiuto, aiuto!
MARIA INTAULADA: Mi dispiàghet meda de l’àer disturbada. Però eo so poera, tenzo fàmine, e appo pensadu chi sa mere de una domo gai bella aìat a èsser zentile puru. Adiosu. Bonu note!
LA PADRONA: Ma dove vai? Vieni dentro, che sono gentile anch’io.
MARIA INTAULADA: Grazie!
LA PADRONA: Grazie di cosa, se non ti ho dato niente, ancora? Dimmi, che cosa ti posso dare, e bada, chiedimi tutto, ma niente soldi, che tanto non te ne darei.
MARIA INTAULADA: Su chi ghelzo eo non est nuda, tribagliu ghelzo, tribagliu solu.
LA PADRONA: Vuoi lavorare, di quello ne ho quanto ne vuoi. Che cosa sai fare, dimmi, sai cucinare?
MARIA INTAULADA: Nono.
LA PADRONA: Sai cucire?
MARIA INTAULADA: Nono.
LA PADRONA: Sai lucidare l’argenteria.
MARIA INTAULADA: Nono.
LA PADRONA: Sai badare alla casa, scopare, lavare, passare la cera?
MARIA INTAULADA: Nono.
LA PADRONA: Ma che cosa sai fare?
MARIA INTAULADA: Nudda!
LA PADRONA: Ma come posso aiutarti?
MARIA INTAULADA: Non ghelzo dinari, solu unu logu pro drommire e una cosighedda de màndigu.
LA PADRONA: Io te lo darei pure, un giacciglio e un tozzo di pane, ma non sai fare proprio nulla; nemmeno avessi fatto la regina, fino a sta note?
MARIA INTAULADA: Rezina eo? Poverita de mene!
LA PADRONA: E va bene, lo so io che cosa puoi fare, lo so proprio io. La vedi quella porticina, quella là in fondo? Ecco, tu arrivi fin lì, la apri e poi continui per tutto il corridoio che troverai, poi scenderai le scale, poi un’altra porticina ti aprirà sul cortile e lì, non puoi sbagliare, segui il tuo naso e vedrai che sei arrivata. Non puoi proprio sbagliare, segui la puzza e arrivi al maiale.

MARIA segue il labirintico percorso e arriva alla porcilaia. L’incontro con i suini potrebbe suggerire una coreografica danza del maiale.

7. AL BALLO
MARIA E IL PADRONCINO

È passato qualche giorno.

MARIA INTAULADA: Che bella vita la mia. Davvero non si può dire che non sia movimentata. Da studentessa dei più esclusivi college di tutto il mondo a guardiana di porci. Che carriera che ho fatto. E dire che, se non fosse per i miei pregiudizi, adesso sarei una regina, sposata a mio padre, ma sempre regina. Invece, sono una principessa morta reincarnata nel corpo di una guardiana di porci, chi potrà mai credere che io sia la principessa Maria? Nessuno, la principessa Maria è morta, l’at intaulada su babu matessi, l’ha chiusa in una cassa di tavole il suo stesso padre; ed è ciò che io sono, Maria Intaulada, una ex morta, una donna che non sa fare niente, se non pulire le stalle, i pollai e i porcili. (Cantando:)
Eo so nàschida rezina,
como so una poverita.
Eo so nàschida rezina,
como sufro fìnas sìdis.
Eo fia bella e ricca meda,
como so istracca e fea.

Arriva un giovane a cavallo, è IL PADRONCINO, MARIA lo guarda innamorata.

IL PADRONCINO: Mamma, sono tornato. Preparami un bel bagno caldo che sono tutto sudato. Mamma. Sono io, vieni ad aprire, presto, che ho tante cose da raccontare. Sapessi in quanti posti sono stato. Ho visto mille cose. Donne alte, donne basse, bionde, more, magre, grasse, ho visto tante e tante donne, ma le brutte non le ho guardate mai. Mamma, vieni ad aprire, mamma!
MARIA INTAULADA: Com’è bello! Com’è bello!
IL PADRONCINO: Mamma, che cos’è questo avviso che c’è sulla porta? Ma è un invito a corte. Al ballo annuale del re. Mamma, non mi aspettare, torno stasera, o forse domani. Io vado al ballo di corte, mi comprerò un vestito nuovo prima di arrivare a palazzo.

IL PADRONCINO riparte al galoppo e MARIA tenta di bloccarlo.

MARIA INTAULADA: O su donnu, aisèttet. Fàttat reposare su caddu.
IL PADRONCINO: Chi sei?
MARIA INTAULADA: Maria so.
IL PADRONCINO: Senti Maria, lascia le redini del mio cavallo e ritorna ai tuoi maiali. Mamma mia quanto puzzi!
MARIA INTAULADA: Si aisèttat unu mamento eo mi c’ando a samunare.
IL PADRONCINO: Ma vuoi andartene via?
MARIA INTAULADA: Si eo mi samuno bene bene, a mi jughìdes cun bòis a su ballu?
IL PADRONCINO: Ma nemmeno se muori due volte, vattene via, brutta e puzzolente.
MARIA INTAULADA: Jughìdemi cun bòis!
IL PADRONCINO: Dì, hai mai ascoltato il canto della frusta?
MARIA INTAULADA: Nono.
IL PADRONCINO: E allora ascoltalo adesso!
MARIA INTAULADA: Ah!

Subito dopo la frustata de IL PADRONCINO la scena si fa buia. Poi, lentamente, una fioca luce illumina MARIA, la quale, cantando la sua canzone, estrae il vestito di nubi dalla sua sacca e lo indossa. MARIA adesso è bellissima. La musica e i rumori sono quelli di un ballo di corte. La luce illumina i soli MARIA e IL PADRONCINO, i quali, intanto che parlano, fingono di salutare molta gente.

IL PADRONCINO: Sapete, ho viaggiato tanto, conosco mezzo mondo.
MARIA INTAULADA: Beautiful!
IL PADRONCINO: Siete francese.
MARIA INTAULADA: No, i’m not!
IL PADRONCINO: Siete russa
MARIA INTAULADA: No, i’m not russian!
IL PADRONCINO: Di dove siete siete, ma siete così bella. Vi dona talmente questo vestito, che sembrate immersa in una nuvola.
MARIA INTAULADA: Really?
IL PADRONCINO: Siete turca?
MARIA INTAULADA: No, you are wrong.
IL PADRONCINO: Io non capisco ciò che dite, ma vi prego, balliamo!
MARIA INTAULADA: Yes, thank you.

Ballano, poi le luci cominciano a spegnersi, la festa volge al termine.

IL PADRONCINO: La festa finisce. Tutti vanno via, ditemi il vostro nome?
MARIA INTAULADA: I’m Mary.
IL PADRONCINO: Non capisco, ditemi di dove siete, da dove venite.
MARIA INTAULADA: I’m from Lash Country.
IL PADRONCINO: Di dove siete?
MARIA INTAULADA: From Lash Country.

Siamo di nuovo nelle stalle. MARIA è un’altra volta la porcara. IL PADRONCINO parla con la madre, la quale è fuori scena.

IL PADRONCINO: Avessi visto com’era bella, mamma. Sembrava discesa da una nuvola. Ma parlava una lingua così strana. Non ho capito nemmeno una parola di ciò che ha detto. Le ho chiesto il nome e lei mi ha risposto: Am-meri.
MARIA INTAULADA: Mi jàmant Maria.
IL PADRONCINO: Lo so che ti chiami Maria, non mi interrompere. E lei, la bellissima, mi ha detto: Am-meri.
MARIA INTAULADA: Su nòmene meu est Maria.
IL PADRONCINO: Non voglio sentirti più, ammutolisci, se non vuoi che ti batta ancora.
MARIA INTAULADA: Eo li so nende chi sa fèmina chi li piàghet a vostè si jàmat Maria. Mary, in ingresu, est Maria.
IL PADRONCINO: Tu conosci quella lingua così strana?
MARIA INTAULADA: Sisse, e non est difìtzile, ingresu est.
IL PADRONCINO: E che cosa significa Lasc-cantri?
MARIA INTAULADA: Bidda de su fuettu.
IL PADRONCINO: Il paese della frusta. Il paese della frusta. Ma certo. Dammi il cavallo presto.
MARIA INTAULADA: Inue corrìdes?
IL PADRONCINO: Mamma, io parto, vado a cercare la mia bella Maria nel paese delle fruste, non mi aspettare per cena, dovessi stare lontano da casa anche un anno, non tornerò senza di lei. Addio!
MARIA INTAULADA: Adiosu!

8. SECONDO BALLO
MARIA, LA PADRONA, IL PADRONCINO

È passato un anno, MARIA lavora in casa e LA PADRONA la controlla.

MARIA INTAULADA (canta):
Eo so nàschida rezina,
como so una poverita.
Eo so nàschida rezina,
como sufro fìnas sìdis...
LA PADRONA: E brava la mia Maria. Guarda quante cose hai imparato in un anno soltanto. Adesso non solo sai cucire, ma sai anche ricamare; non soltanto sai cucinare il pane, ma anche i pasticcini. E come tieni pulita la casa! E come canti bene.
MARIA INTAULADA: Làstima che calicunu non si abìzat de nudda.
LA PADRONA: Peccato che tu non abbia ancora imparato a lavarti come si deve. Puzzi talmente di maiale.
MARIA INTAULADA: Sa faìna mia est, atentzionare sos pòrcos.
LA PADRONA: E poi, sempre con questi due stracci addosso. Ma brava come sei a cucire, potresti farti un vestitino grazioso. Mah, fammi andare via, vah, che mi sembra che arrivi qualcuno. (Esce.)
MARIA INTAULADA (canta):
Eo so nàschida rezina,
como sufro fìnas sìdis.
Eo fia bella e ricca meda,
como so istracca e fea...

Entra IL PADRONCINO.

IL PADRONCINO: Mamma, mamma! Sono Tornato. Quella stupida Mary non sono riuscito a trovarla nemmeno dopo un anno intero. E dire che ho girato per tutto il regno di Britannia e ne ho perfino imparato le lingue. Yes! Però, di quella Mary nemmeno l’ombra. Ma che mi importa, ne ho conosciute rosse, castane, alte, altissime, grandi, piccine. Quante donne ho conosciuto in Inghilterra, mamma mia.
MARIA INTAULADA: E Maria?
IL PADRONCINO: Maria chi?
MARIA INTAULADA: S’ingresa.
IL PADRONCINO: Ma lasciami in pace, puzzona puzzolente.
MARIA INTAULADA: Gai te l’istìmas, a cudda pitzinna vestida de nùes?
IL PADRONCINO: Oh, senti un po’, non posso mica correrle dietro per tutta la vita, un anno di ricerche mi sembra che basti. E poi, a te che cosa importa, pussa via!
MARIA INTAULADA (porgendogli un foglio): Abbaidade custu.
IL PADRONCINO: Che cos’è? L’invito annuale al ballo di corte. Sono arrivato giusto in tempo, che meraviglia. Non scendo nemmeno da cavallo e vado. Nella sacca ho ancora dei magnifici vestiti di taglio inglese. Farò un figurone.
MARIA INTAULADA: A mi jughìdes cun bòis.
IL PADRONCINO: Ma lasciami in pace.
MARIA INTAULADA: Jughìdemi cun bòis.
IL PADRONCINO: Ma vattene via, non trattenere il cavallo.
MARIA INTAULADA: Pro caridade, lassàdemi venire a su ballu.
IL PADRONCINO: Ti piace il canto delle redini?
MARIA INTAULADA: Non lo connoto.
IL PADRONCINO: E adesso l’hai conosciuto.
MARIA INTAULADA: Ah!

Subito dopo la frustata de IL PADRONCINO la scena si fa buia. Poi, lentamente, una fioca luce illumina MARIA, la quale, cantando la sua canzone, estrae il vestito di onde del mare dalla sua sacca e lo indossa. MARIA adesso è bellissima. La musica e i rumori sono quelli di un ballo di corte. La luce illumina i soli MARIA e IL PADRONCINO, i quali, intanto che parlano, fingono di salutare molta gente.

IL PADRONCINO: Sapete, ho viaggiato tanto, conosco mezzo mondo.
MARIA INTAULADA: ¡Què maravilla!
IL PADRONCINO: Siete francese.
MARIA INTAULADA: ¡No, que no lo soy!
IL PADRONCINO: Siete russa
MARIA INTAULADA: Ni de Francia ni de Russia, yo soy.
IL PADRONCINO: Di dove siete siete, ma siete così bella. Vi dona talmente questo vestito, che sembrate emergere dalle onde del mare.
MARIA INTAULADA: ¿Verdad?
IL PADRONCINO: Siete turca?
MARIA INTAULADA: No, te equivocas.
IL PADRONCINO: Io non capisco ciò che dite, ma vi prego, balliamo!
MARIA INTAULADA: Con mucho gusto.

Ballano, poi le luci cominciano a spegnersi, la festa volge al termine.

IL PADRONCINO: La festa finisce. Tutti vanno via, ditemi il vostro nome?
MARIA INTAULADA: Me llamo María.
IL PADRONCINO: Non capisco, ditemi di dove siete, da dove venite.
MARIA INTAULADA: Yo soy del Pueblo de las rendas.
IL PADRONCINO: Di dove siete?
MARIA INTAULADA: Del Pueblo de las rendas.

Siamo di nuovo nelle stalle. MARIA è un’altra volta la porcara, IL PADRONCINO parla con la madre che non c’è.

IL PADRONCINO: Avessi visto com’era bella, mamma. Sembrava appena emersa dalle onde del mare. Ma parlava una lingua così strana. Non ho capito nemmeno una parola di ciò che ha detto. Le ho chiesto il nome e lei mi ha risposto: Me-gliamo-Ma-ria.
MARIA INTAULADA: Mi jàmant Maria.
IL PADRONCINO: Lo so che ti chiami Maria, non mi interrompere. E lei, la bellissima, mi ha detto: Me-gliamo-Ma-ria.
MARIA INTAULADA: Su nòmene meu est Maria.
IL PADRONCINO: Non voglio sentirti più, ammutolisci, se non vuoi che ti batta ancora.
MARIA INTAULADA: Eo li so nende chi sa fèmina chi li piàghet a voste si jàmat Maria. Maria, in ispagnolu, est su matessi chi in sardu e in italianu.
IL PADRONCINO: Tu conosci quella lingua così strana?
MARIA INTAULADA: Sisse, e non est difìtzile, ispagnolu est.
IL PADRONCINO: E che cosa significa Pueblo de las rendas?
MARIA INTAULADA: Bidda de sos redrinàcos.
IL PADRONCINO: Il paese delle redini. Il paese delle redini. Ma certo. Dammi il cavallo presto.
MARIA INTAULADA: Inue corrìdes.
IL PADRONCINO: Mamma, io parto, vado a cercare la mia bella Maria nel paese delle redini, non mi aspettare per cena, dovessi stare lontano da casa anche due anni, non tornerò senza di lei. Addio!
MARIA INTAULADA: Adiosu!

9. L’ULTIMO BALLO
MARIA, LA PADRONA, IL PADRONCINO

Sono passati due anni, MARIA lavora in casa e LA PADRONA la controlla.

MARIA INTAULADA (canta):
Eo so nàschida rezina,
como so una poverita...
LA PADRONA: E brava la mia Maria. Guarda quante cose hai imparato in tre anni soltanto. Sai cucire, sai anche ricamare, sai cucinare ogni cosa, tieni la casa una meraviglia, l’orto sembra un paradiso terrestre e gli animali non sono mai stati così pasciuti e sani! E come canti bene!
MARIA INTAULADA: Làstima che calicunu non si abìzat de nudda.
LA PADRONA: Peccato che tu non abbia ancora imparato a lavarti come si deve. Puzzi talmente di maiale.
MARIA INTAULADA: Sa faìna mia est, atentzionare sos pòrcos.
LA PADRONA: E poi, sempre con questi due stracci addosso. Ma brava come sei a cucire, potresti farti un vestito grazioso. Mah, fammi andare via, vah!, che mi sembra che arrivi qualcuno. (Esce.)
MARIA INTAULADA (canta):
Eo so nàschida rezina,
como sufro fìnas sìdis.
Eo fia bella e ricca meda,
como so istracca e fea...
Entra IL PADRONCINO.

IL PADRONCINO: Mamma, mamma! Sono Tornato. Quella stupida Maria non sono riuscito a trovarla nemmeno dopo due anni. E dire che ho girato per tutti i regni di Spagna, sono arrivato anche nelle nuove Indie e ne ho imparato ogni dialetto. Patata, tomato, maís, cioccolate! Però, di quella Maria nemmeno l’ombra. Ma che mi importa, ne ho conosciute more, bionde, piccole, piccolissime, ma tutte formose. Quante donne ho conosciuto nelle Spagne, mamma mia.
MARIA INTAULADA: E Maria?
IL PADRONCINO: Maria chi?
MARIA INTAULADA: S’ispagnola!
IL PADRONCINO: Ma lasciami in pace, puzzona puzzolente.
MARIA INTAULADA: Gai te l’istìmas, a cudda pitzinna vestida òndas de su mare?
IL PADRONCINO: Oh, senti un po’, non posso mica correrle dietro per tutta la vita, due anni di ricerche mi sembra che bastino. E poi, a te che cosa importa, pussa via! (Scrollandosi di dosso un uccello che gli finisce sul capo:) Che cos’è, un piccione viaggiatore, che bello!, l’invito annuale al ballo di corte, sono arrivato giusto in tempo, che meraviglia. Non scendo nemmeno da cavallo e vado. Nella sacca ho ancora dei magnifici vestiti di taglio americano. Farò un figurone.
MARIA INTAULADA: A mi jughìdes cun bòis.
IL PADRONCINO: Ma lasciami in pace.
MARIA INTAULADA: Jughìdemi cun bòis.
IL PADRONCINO: Ma vattene via, non trattenere il cavallo.
MARIA INTAULADA: Pro caridade, lassàdemi venire a su ballu.

IL PADRONCINO lo schiaffeggia.

MARIA INTAULADA: Ah!

Subito dopo lo schiaffo del IL PADRONCINO la scena si fa buia. Poi, lentamente, una fioca luce illumina MARIA, la quale, cantando la sua canzone, estrae il vestito di campanule d’oro dalla sua sacca e lo indossa. MARIA adesso è bellissima. La musica e i rumori sono quelli di un ballo di corte. La luce illumina i soli MARIA e IL PADRONCINO, i quali, intanto che parlano, fingono di salutare molta gente.

IL PADRONCINO: Sapete, ho viaggiato tanto, conosco mezzo mondo.
MARIA INTAULADA: Ite bellu!
IL PADRONCINO: Siete sarda?
MARIA INTAULADA: Sisse!
IL PADRONCINO: Ma guarda! Comunque, anche se siete sarda, siete così bella. Vi dona talmente questo vestito, che sembrate avvolta nella polvere d’oro.
MARIA INTAULADA: Beru est?
IL PADRONCINO: Ma guarda, una sarda! Volete ballare, con me?
MARIA INTAULADA: Emmo!

Ballano, poi le luci cominciano a spegnersi, la festa volge al termine.

IL PADRONCINO: La festa finisce. Tutti vanno via, ditemi il vostro nome?
MARIA INTAULADA: Maria so.
IL PADRONCINO: Che nome stupendo. Dove posso trovarvi?
MARIA INTAULADA: In donzi logu, in domo tua puru.
IL PADRONCINO: Non scherzate, tenete questa perla, come pegno del mio amore.

10. UN SACCO DI VESTITI
MARIA E IL PADRONCINO

Siamo in casa IL PADRONCINO fa colazione bevendo il latte da una ciotola e parla con la mamma che anche stavolta non si vede.

IL PADRONCINO: Avessi visto com’era bella, mamma. Sembrava avvolta nella polvere d’oro. E la cosa più incredibile è che è una sarda, capisci, mamma, una di qui e in più, si chiama Maria. Come la nostra porcara. (Il latte gli è andato di traverso:) Ahi! Che cosa c’è in questo latte? Ma è la perla che ho regalato a Maria. Mamma, chi mi ha preparato il latte? ... Maria la porcara? (Chiamando a gran voce:) Maria, Maria, vieni subito in casa, corri, ti voglio parlare.

Entra MARIA trascinando la sacca.

IL PADRONCINO: L’hai messa tu questa perla nel mio latte? Chi sei veramente? Tu conosci tante lingue, sai fare tante cose. Come hai avuto questa perla?, parla, puzzona! Ma, tu sei la Maria inglese, e sei anche la Maria spagnola e la Maria sarda, naturalmente, sei tu, sempre tu, solo tu, la donna che io ho cercato per tanti anni.
Maria, sposami.
MARIA INTAULADA (mostrandogli un lembo del vestito di nubi): Piàghidu t’est su vestire de nùes?
IL PADRONCINO: Sì.
MARIA INTAULADA (mostrandogli un lembo del vestito di onde del mare): Piàghidu t’est su vestire de ùndas de su mare?
IL PADRONCINO: Sì.
MARIA INTAULADA (mostrandogli un lembo del vestito di campanule d’oro): Piàghidu t’est su vestire de campanèddas de oro?
IL PADRONCINO: Sì.
MARIA INTAULADA (rovesciandogli sul capo gli indumenti contenuti nella sacca): E tando, cojuatìche cun ìssos! Adiosu!

S I P A R I O