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Talianu

Tempo di guerra

Avevo l’abitudine di parlarmi dentro perché nessuno potesse ascoltarmi,
e tutti sospettavano scaltrezza in quel mio silenzio!
Il turco era pericoloso, non doveva esser parlato,
ed il greco assolutamente proibito…
I miei vecchi, che volevano salvarmi, stavano aspettando,
ognuno di loro col dito sul grilletto di una mitraglietta.
E comunque, ciascuno d’essi era volontario soldato.
L’inglese restava in posizione mediana,
un esile tagliacarte per tagliare le pagine dei libri di scuola,
una lingua da parlare in certi momenti
specialmente coi greci!
Io ero spesso incerto in quale idioma versare lacrime, ché
la vita che vivevo non mi era straniera, ma una delle sue traduzioni –
la mia madre lingua era una cosa, la mia madre patria un’altra
ed io, ancora, del tutto diverso…
Anche in quei giorni di blackout divenne dunque ovvio
che mai sarei potuto diventare il poeta di alcun paese,
poiché appartenevo ad una minoranza. E Libertà è ancora
una piccola precaria parola nel lessico di ogni nazione…
Nelle mie poesie, dunque, quelle tre lingue conducono ad un groviglio selvaggio:
né i turchi, né i greci
possono udire la mia voce di dentro, né gli altri…
Ma non li biasimo, era tempo di guerra.