Nettunaria
Puesia
quattordici febbraio. le correnti
trascinano su di me macchie di carburante
come nuvole di gloria senza senso.
se mi fermo a sfiorare la superficie
intuisco brezze, luce dall’altra parte
a increspare la mia pelle
per il crepuscolo delle crociere.
aspetto ancora un navigante astuto
da odiare, marinaio di strategie
chiare, amato dagli dèi, rotte
oblique verso il faro di due trecce
per salvarlo, forse mio malgrado.
è odisseo la mia nostalgia, perché ormai
non vale la pena convocare tempeste:
il mio regno è una vasca d’annegati.
arrivano senza chiamarli. sommersi
nella terra, non c’è piacere nella loro cattura.
di notte mi affaccio sulle stelle,
ripasso i loro percorsi, detto nomi
di vènti al silenzio, di leggende
che stracciavano le vele degli alberi maestri,
ma ormai nessuno naviga, né vede;
nella profondità ascolto mostri
che gli umani ignorano, vivo
sconosciuto nei sogni dei naufraghi,
prigioniero nelle mie stesse alghe, trasparente
come un dio che invecchia,
solitario
dove il durare non ha fondamento.